«Come abbiamo sperimentato in questi anni, ritenere irreversibili gli annunci di Berlusconi è un azzardo». Però ci sta che si candidi a premier, non crede onorevole Franceschini? «Dal suo punto di vista certamente, ha ancora molti interessi in campo e pur sapendo che non ha alcuna possibilità di vincere le elezioni sa anche che perderle al meglio, con liste decise da lui, è preferibile all’ipotesi di passare il testimone e scomparire». La candidatura di Berlusconi implica un confronto destra-sinistra e cancella l’ipotesi di un Monti-bis sostenuto da Pd, Pdl e Terzo polo?
«L’ipotesi non c’è, comunque. Non può esserci un nuovo governo sostenuto da avversari. L’esecutivo Monti ha una missione straordinaria, dovuta alla situazione d’emergenza e alla necessità di salvare il Paese dopo il disastro provocato da Berlusconi. Alla scadenza naturale della legislatura, si torna al fisiologico confronto: progressisti contro conservatori».
E il centro?
«Da due anni diciamo che per avere la certezza di vincere, per ragioni di stabilità in entrambe le Camere e soprattutto per riuscire a governare il Paese nel corso di una legislatura che sarà molto difficile, serve uno schieramento più ampio possibile, che parli a laici e cattolici, operai e imprenditori». Non è però un rischio l’apertura all’Udc, se fa perdere pezzi del tradizionale centrosinistra?
«Noi parliamo di un allargamento del nostro campo, che da solo non è sufficiente alla di ricostruzione necessaria, non di sostituire l’Udc con Vendola». Di Pietro però viene escluso.
«A parte che in uno schema che prevede un’alleanza tra progressisti e moderati possono starci Pd, Sel e Udc, mentre sarebbe difficile collocare Di Pietro. Dopodiché io non escludo nessuno a priori, è lui che deve decidere se seguire Grillo sulla strada dell’anti-politica o se è disposto a stare in una coalizione di governo, con regole precise. Purtroppo, tutti i comportamenti di Di Pietro, da quando è nato il governo Monti, segnano una deriva verso Grillo e non hanno traccia di cultura riformista. Speriamo si ravveda». Nel Pd c’è chi sostiene che l’agenda del prossimo governo debba essere in continuità con quella dell’attuale esecutivo: secondo lei?
«Io toglierei dal dibattito il tema della continuità. Monti sta affrontando con
strumenti di emergenza una situazione di emergenza. Ed è questo il motivo per cui lo sosteniamo anche se le scelte di questo governo non ci piacciono al cento per cento. Sapevamo che non essendo cambiata la maggioranza in Parlamento, ogni scelta sarebbe scaturita da una mediazione, e il nostro compito è apportare miglioramenti. Lo abbiamo fatto sulle pensioni, sull’articolo 18. E lo faremo sulla spending review. Tagliare la spesa pubblica va bene, ma se i tagli fanno diminuire i servizi e si colpiscono sempre gli stessi, perché qualcuno può per- mettersi di rivolgersi al di fuori della sanità pubblica e molti invece pagano sulla propria pelle le conseguenze dei tagli, allora delle correzioni vanno fatte». Allora ammette che pagano sempre gli stessi, anche con Monti premier. «L’emergenza costringe il governo a fare cassa il più rapidamente possibile, anche se con Monti è stata avviata una lotta meritoria contro l’evasione fiscale. Però è chiaro che siamo ancora dentro uno schema per cui i costi della crisi li pagano i lavoratori, i dipendenti, i pensionati, gli enti locali. Il prossimo governo dovrà affrontare il problema della redistribuzione, delle garanzie sociali, delle tutele a chi oggi non ne ha. Battaglie su cui progressisti e moderati possono trovare un terreno comune».
Casini dice che uno schieramento del genere può essere guidato sia da Monti che da Bersani: lei che dice?
«In ogni Paese si segue il principio per cui è il leader del partito più grande a guidare un governo di coalizione. Sia che l’alleanza sia limitata al nostro campo sia che ci si allei con alcune forze moderate, non c’è ragione perché non sia premier il segretario del partito che da solo fa più dei due terzi della coalizione».
Bersani ha però annunciato le primarie.
«Intanto vediamo con quale legge elettorale si andrà a votare, e poi con quale coalizione. Dopodiché vedremo come scegliere il candidato premier. Se fosse necessario fare le primarie, sarebbero da intendere come lo strumento rafforzativo della leadership del Pd». Sembra scontato che a correre nel Pd non sarà solo il segretario, però…
«Può anche essere che si candidino altri iscritti al Pd, ma logica, buon senso e statuto del partito dicono che non sono sullo stesso piano del segretario, che resta il candidato del Pd».
Dice che prima di tutto bisogna vedere con quale legge elettorale si andrà a vo- tare: il Pdl propone le preferenze.
«Per restituire agli elettori il diritto di scegliersi i propri eletti servono collegi uninominali, e mi chiedo se siamo un Paese senza memoria. Le preferenze fanno aumentare a dismisura i costi delle campagne elettorali e i rischi di corruzione. Nel ‘92, hanno originato la gran parte dei processi di tangentopoli. E ci sarà una ragione se in nessun grande Paese europeo ci sono le preferenze».
La concertazione genera mali, come dice Monti?
«Se concertazione vuol dire che non si può far nulla se non c’è il sì di tutti, non va bene. Ma se vuol dire che prima di approvare una riforma si cerca il massimo consenso con le parti sociali, è diverso. Soprattutto in una fase in cui c’è rischio di forti tensioni sociali non si può governare col pugno di ferro. Si deve cercare il massimo consenso e poi, senza accettare veti da parte di nessuno, si decide».
l’Unità 13.07.12