attualità, politica italiana

"Premio di coalizione, male del sistema", di Claudio Sardo

Cambiare la legge elettorale è un dovere politico e morale. Pur di arrivare a un’intesa che cancelli il Porcellum bisogna accettare rinunce e sacrifici. In Europa le preferenze sono quasi sconosciute: il collegamento tra elettore ed eletto è assicurato dal collegio uninominale oppure da circoscrizioni ristrette. Le preferenze sono state da noi, soprattutto nell’epilogo della cosiddetta Prima Repubblica, una fonte di corruzione. È giusto battersi fino in fondo per i collegi uninominali: se tuttavia le preferenze fossero il solo modo per evitare lo scempio delle lunghe liste bloccate, probabilmente bisognerà accettare anche questo terreno di confronto, magari combinando l’«anomalia» con rigorosi limiti di spesa alle campagne elettorali e con più piccole circoscrizioni. Speriamo che non sia necessario.

C’è tuttavia un punto del Porcellum che rappresenta il suo nucleo fondante, e al tempo stesso la sua distorsione più grave rispetto a qualunque altro sistema occidentale: è il premio di coalizione. Se non si cambia qui, non si può dire di aver cambiato davvero il Porcellum. Una riforma che conservi il «maggioritario di coalizione» non sarebbe una riforma, ma solo una verniciatura a un impianto senza eguali in Paesi dotati di Costituzione democratica.

Purtroppo questo rischio c’è. Anzi, è un rischio molto alto. E speriamo che la buona volontà e il buon senso riescano infine a prevalere, dopo l’ennesima, estrema spinta che il Capo dello Stato ha dato al Parlamento.
L’argomento ricorrente usato a sostegno del premio di coalizione è che i cittadini sarebbero così posti nelle condizioni di conoscere in anticipo le alleanze tra i partiti, e dunque disporrebbero di maggior potere. Che si tratti di un argomento estremamente fragile è dimostrato dall’intero ciclo della Seconda Repubblica. Le alleanze si sono composte e sfasciate in Parlamento come prima, hanno prodotto molto più trasformismo di prima e hanno recato danni istituzionali assai maggiore di prima (basti pensare che un partito ha incassato il premio di coalizione e poi, nella stessa legislatura, è finito all’opposizione). La verità è che il premio di coalizione è stato, nella torsione plebiscitaria di Berlusconi, il surrogato di un presidenzialismo di fatto, il trampolino su cui lanciare il mito del premier «eletto direttamente». Questo è il cuore, o forse sarebbe meglio dire il morbo, del Porcellum.

Non c’è Paese democratico in cui le elezioni non siano competizione tra partiti. E ovviamente non c’è Paese dove i partiti nascondano le proprie intenzioni (cioè il leader e le alleanze) agli elettori. Qualcuno davvero pensa che in Italia le forze politiche, in un sistema che torna normale dopo la stagione del Porcellum, farebbero domani la campagna elettorale senza dire nulla agli elettori? Sia in Germania, che in Gran Bretagna, che in Spagna, che in Svezia la sera del voto è chiaro a tutti (salvo eccezioni rarissime determinate da sostanziali pareggi, dunque dalal volontà del popolo) chi sarà il premier e quale sarà la composizione del governo. Non fa differenza il proporzionale pieno, il proporzionale corretto, il maggioritario assoluto: perché non è il modello elettorale a determinare il vincolo di maggioranza. La prova è semplice: in tutti gli altri Paesi le eventuali coalizioni reggono una legislatura senza avere il premio di coalizione, mentre da noi non reggono nonostante il premio. Tra gli imbrogli della Seconda Repubblica c’è anche questo: aver detto che il maggioritario di coalizione serviva a stabilizzare i governi. Una fesseria colossale e una mostruosità giuridica: per stabilizzare gli esecutivi servono regole parlamentari, come insegnava il costituente Perassi, ideatore della «sfiducia costruttiva» poi applicata in Germania.

Il maggioritario di coalizione è stato il giogo per impedire ai partiti di avere autonomia politica, di rispondere direttamente ai cittadini, di contrastare il potere crescente delle oligarchie del Paese. È stato anche il cavallo di Troia dei partiti personali, della frammentazione esasperata, dunque dell’impotenza dei governi. Bisogna reagire. È difficile, costoso, ma guai a perdere l’occasione. Per il Pd è particolarmente difficile perché, in un passaggio così complicato, tornare a una decenza costituzionale rischia di indebolire la sua politica di alleanze. Ma il Pd è o non è il partito della Costituzione? Dalle difficoltà può anche nascere una virtù. Perché le primarie del Pd, da organizzare insieme a Sel e ai movimenti civici, non possono diventare il perimetro di un partito rafforzato e rinnovato? La possibilità di cancellare davvero il Porcellum esiste: lo hanno dimostrato le trattative di questi mesi. Si può dare un premio al partito primo arrivato (fino al 10%): non sarebbe un unicum europeo e non potrebbe mai consegnare il potere ad un partito privo di solide basi di consenso. Ancor meglio si può riprendere il modello «ispano-tedesco» ch12e, pur senza premi, rafforza i partiti maggiori, tiene alto lo sbarramento e consente una eventuale maggioranza parlamentare senza troppi partiti. Cambiare si può.

l’Unità 12.07.12