Grandi manovre sono in corso per restringere sine die lo spazio della politica. E non è un caso che a distinguersi nelle operazioni per bloccare sul nascere ogni tentazione di ritorno a un normale gioco politico sia il Corriere della Sera. L’immaginario del quotidiano di via Solferino prevede un bizzarro condominio. Da una parte abita Monti, celebrato con aggettivazioni persino mitiche quando gonfia i muscoli e mette a tacere i partiti e le organizzazioni sociali. Dall’altra imperversa Grillo, osannato perché i suoi seguaci sono degli abili tecnici in pectore, con l’aggiunta di un giovanile vitalismo, da benedire soprattutto quando si scaglia contro gli odiati «capponi di partito».
È chiaro che se questo è lo scenario agognato, un carnevale in cui il tecnico e il comico conducono la danza, non rimane che gettare polvere addosso al solo partito rimasto faticosamente in vita in questi anni turbolenti. Antonio Polito nell’articolo di fondo di ieri arriva a scomodare il massimo della ingiuria rivolta a un politico di sinistra, cioè quella di essere in preda alla demoniaca doppiezza togliattiana (è inutile rammentare all’editorialista che Togliatti fu il critico della doppiezza).
Il Pd sarebbe un inaffidabile manipolatore che finge di appoggiare il governo in nome della responsabilità nazionale, ma poi in sostanza lo avversa in maniera subdola distinguendosi in modo aperto dai provvedimenti sgraditi.
La stravaganza dell’argomentazione lascia senza parole. Su materie altamente simboliche (la riforma dell’articolo 18), e su scelte dell’esecutivo che incidono in maniera pesante sulla vita delle persone (i tagli lineari alla sanità e alla ricerca, gli annunciati licenziamenti nel pubblico impiego, la questione scottante degli esodati), un partito proprio perché responsabile non può certo tacere. Deve anzi esplicitare in modo forte la sua critica e cercare ogni strada parlamentare utile per correggere in maniera significativa delle decisioni che paiono non solo sbagliate, ma anche inefficaci. Che un partito, per un malinteso senso del dovere, debba crocefiggersi, spezzare legami con la sua parte di società (quella peraltro che paga i costi più elevati delle riforme strutturali avviate), lasciare che il Paese si abbandoni in una spirale recessiva è una classica pretesa inesigibile perché del tutto sciocca.
L’interdizione della sinistra politica e sindacale, pronta a esercitare terribili ricatti, non c’entra proprio nulla. A nessun partito può essere chiesto il gesto estremo del suicidio. Davvero poi è un interesse generale del Paese che il maggior partito, impegnato nell’arduo compito di evitare la catastrofe economica sostenendo una maggioranza anomala anche al prezzo di una emorragia di consenso, venga travolto dalle macerie di una società presa dallo sconforto dinanzi a una crisi senza prospettive? Appoggiare, correggendole, le scelte necessarie per il risanamento, evocando al tempo stesso che il tempo del governo del centrosinistra avrà un’altra attenzione al malessere sociale non solo non è una pratica disdicevole, ma aiuta il sistema politico a non restare vittima di spinte irrazionali in agguato.
Il silenzio dei partiti pronti a scattare sull’attenti per obbedire ai comandi, quali che siano, non aiuta affatto la capacità della democrazia di gestire la crisi. È un colossale errore tecnico quello di auspicare l’afonia dei partiti. Essi al contrario devono parlare, e anche contrastare le tendenze istituzionali deteriori (come il ricorso costante ai voti di fiducia).
È vergognosa la descrizione che Polito fa degli scenari politici che si aprirebbero con la prospettiva che il Pd guidi uno schieramento di progressisti e moderati dopo il voto del 2013. Sembrano di nuovo annunciarsi orde di cosacchi pronti a spezzare ogni vincolo europeo, a ballare ubriachi dinanzi alla tragedia del default, a spezzare ogni vincolo di bilancio per scialacquare la residua ricchezza della nazione. Stupidaggini colossali, che cozzano contro ogni verità storica. I bistrattati governi dell’Ulivo e dell’Unione hanno portato al minimo storico il rapporto tra debito e Pil (venti punti in meno di quelli raggiunti da Berlusconi, a cui andava il sostegno colpevole di buona parte delle classi dirigenti nostrane). Il governo Prodi invece ha portato l’Italia nell’euro. Il bilancio del governo D’Alema vanta tuttora il minimo di spesa pubblica dell’ultimo trentennio. E la lista potrebbe continuare a lungo. Nessuno impedisce al Corriere di sognare ad occhi aperti una grande coalizione permanente. Però potrebbe evitare di tacciare come traditore della patria chi opera per non chiudere la democrazia (che sa gestire l’emergenza con le sue risorse), per dare un programma coerente e quindi più incisivo al governo (purtroppo quello attuale non è un vero programma perché poggia sulla non ostilità esplicita di forze politiche che non si reputano neppure alleate).
Il teorema di Polito, per cui alla maggioranza attuale non ci sono alternative perché solo chi ha votato la fiducia al governo Monti (quindi anche Di Pietro?) e chi non si è opposto in aula ad esso (quindi anche Vendola che non ha seggi?) può stringere un patto per la prossima legislatura è solo una cattiva metafisica. Chieda pure alla Merkel se, dopo la Grande coalizione, ha rinunciato ad allearsi con i liberali perché erano all’opposizione. O lo chieda alla Spd se ha deciso di troncare per sempre ogni patto di governo con i Verdi perché erano rimasti fuori dalla grande Coalizione. Tutti gli argomenti del Corriere zoppicano, proprio come un sistema politico dove i sostenitori dei tecnici e quelli del comico si danno la mano per sospendere la politica.
L’Unità 12.07.12