Non convincono gli argomenti del Governo a sostegno dell’ultimo decreto. Non è una spending review, è una manovra di tagli lineari, alquanto rozza soprattutto per la sanità e i Comuni. La vera spending review fu impostata dal compianto Padoa Schioppi con il suo ambizioso progetto di riforma della spesa pubblica. L’alta burocrazia statale, in primis la Ragioneria, lo bloccò convincendo il ministro Tremonti peraltro desideroso di prendere le distanze dal predecessore. Si poteva immaginare che il governo tecnico riprendesse il progetto e invece, dopo aver perso otto mesi, procede per decreto all’ennesimo intervento emergenziale, scopiazzando alcune parti del documento del 2007, che nella sostanza viene archiviato e usato solo come foglia di fico. Da dieci anni si approvano decreti con tagli lineari, scritti dagli stessi burocrati ieri e oggi, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti: la spesa è aumentata e la qualità dell’amministrazione è crollata. È una logica sbagliata e dannosa per almeno quattro motivi: a) il taglio a sciabolata ignora le differenze di qualità dell’Amministrazione e di solito mette in difficoltà i settori più innovativi, senza mai impensierire le varie cricche che infatti sono prosperate; b) gli obiettivi fissati apoditticamente, senza un reale governo dei processi, rinviano i problemi che si ripresentano poi in maniera aggravata, come avrebbe dovuto insegnare la vicenda degli esodati (e ancor di più il caso storico del Gosplan sovietico); c) le sventagliate di micro norme in tutti i settori ripetute ogni anno, senza mai tentare un approccio organico, aggravano la burocrazia e i contenziosi nella fase attuativa; d) il blocco del turn over a prescindere dalla valutazione delle esigenze impedisce l’accesso dei giovani nativi digitali ai ruoli dirigenziali e priva l’Amministrazione della linfa vitale per l’innovazione.
Da un governo tecnico ci si poteva attendere un discorso inattuale e quindi davvero impopolare del tipo: «La spesa pubblica italiana non è più alta che negli altri Paesi, è molto meno efficace; per riqualificarla occorre una profonda riforma che non durerà meno di dieci anni; se lo avessero fatto i predecessori oggi saremmo un Paese diverso; noi comunque proponiamo un progetto serio che non potrà essere eluso dai governi successivi sia di destra sia di sinistra».
Per quanto riguarda le tasse si è detto che non ne sarebbero state introdotte di nuove. Non è vero. Purtroppo, il decreto contiene il raddoppio Ma quale spending review, sono sciabolate Grave il raddoppio delle tasse universitarie delle tasse universitarie, in modo furbesco, senza neppure dirlo nel comunicato ufficiale, tramite una revisione del calcolo del limite del 20% rispetto ai contributi statali agli atenei. È un meccanismo complesso che potrà comportare anche un aumento di circa mille euro per figlio a famiglia.
Gli atenei avranno la possibilità di chiedere agli studenti una somma aggiuntiva di oltre un miliardo di euro. Potrebbero anche non farlo ma saranno costretti dal corrispondente taglio che hanno subito per il 2013: 400 milioni già deciso in precedenza, 150 milioni alle borse e all’attività di ricerca e meno 200 milioni con l’attuale decreto tramite il blocco del turn over che costringerà migliaia di talenti italiani ad emigrare.
Il raddoppio delle tasse è benzina sul fuoco rispetto al crollo delle immatricolazioni universitarie del 10% solo nell’ultimo anno. Si scoraggiano le famiglie e i giovani che già oggi sotto i colpi della crisi economica non ce la fanno a sostenere i costi degli studi.
Intollerabile poi è la norma che incentiva gli atenei ad aumentare le tasse ai giovani immigrati, che è un atto discriminatorio che nega la cittadinanza alle seconde generazioni nate o cresciute in Italia. Si diffonde inoltre lo sconcerto in tutta Europa per il taglio all’istituto di ricerca (Infn) che è stato protagonista del grande successo per la scoperta del bosone di Higgs.
Sul capitolo recessione, doveva cominciare la seconda fase della crescita e della lotta alla disoccupazione. Dopo lungo meditare a Passera l’ideona non è venuta, la montagna ha partorito il topolino del decreto sviluppo e si continua con tagli e tasse. Secondo il governatore della Banca d’Italia la stretta recessiva degli ultimi mesi ha contribuito per un terzo all’attuale diminuzione del Pil. Se continua così, per fermare il deficit si rischia di dover prendere altri provvedimenti che aggraveranno il deficit. Nel frattempo rimane alto il famoso spread per ragioni che attengono agli errori della politica europea. Il premier va facendo molto per rimuovere le cause vere del problema. Anche per questo non può dire che lo spread aumenta quando viene criticato il governo.
l’Unità 10.07.12