Fra le numerose decisioni dell’Eurogruppo di ieri c’è stata anche quella di confermare il semaforo verde al cosiddetto «fondo antispread», per il quale Monti si è adoperato. Dopodiché, secondo alcuni analisti, i mercati hanno reagito con una perplessità che ha frenato il miglioramento dello spread, quando Monti ha ammesso che sarebbe «arduo» escludere che l’Italia abbia bisogno dell’intervento del fondo. Finora aveva detto non solo che l’Italia non ne chiedeva l’intervento ma che questo non sarebbe servito, visto che la stessa esistenza del fondo avrebbe calmierato lo spread sui titoli italiani. C’è un equivoco?
Proviamo a chiarire. La sostanza della richiesta italiana è stata che il fondo possa intervenire per contenere i tassi sui titoli di Stato di Paesi in regola coi programmi di riforme e di aggiustamento del deficit concordati con la Commissione. Per questi Paesi, fra i quali è l’Italia, occorrono difese speciali per frenare attacchi speculativi che non sono giustificati dalla loro indisciplina o dai loro squilibri ma sono il riflesso di disordini finanziari che investono l’eurozona come sistema.
Per il contagio di problemi radicati altrove, dalle banche spagnole ai guai di Atene, ma anche, un domani, di Parigi o del dollaro. Il debito pubblico italiano, anche se noi rimarremo virtuosi nel fermare il deficit, sarà elevato ancora per diversi anni, durante i quali, nei momenti di tensione e di maggior avversione al rischio dei mercati, i titoli italiani saranno sfavoriti. Nella misura in cui sapremo rimanere «virtuosi» con le nostre politiche economiche, è interesse di tutta l’eurozona che la solidarietà europea faccia sì che i rischi sistemici non si moltiplichino contagiando i titoli italiani. Anche perché, oltre a diminuire per noi l’incentivo alla virtù, il contagio rimbalzerebbe dappertutto complicando la vita di tutti.
Questo tipo di aiuto è diverso da quello richiesto da un Paese che ha bisogno di prestiti e di tempo per ridurre il proprio deficit o avviare le riforme, cioè da un Paese che non può ancora rispettare gli indirizzi di disciplina comunitari. E’ un aiuto che, essendo nell’interesse dell’eurozona e volendo rimediare a conseguenze di problemi altrui, dovrebbe avere due caratteristiche: non essere nemmeno richiesto dal Paese, bensì deciso autonomamente dal fondo responsabile della stabilità sistemica dell’eurozona, e non essere condizionato all’adozione di programmi speciali di aggiustamento, visto che si tratta di Paesi che rispettano i piani di stabilità convenuti con la Commissione.
Purtroppo il Trattato che costituisce il fondo europeo di stabilità non gli consente di fare operazioni non richieste esplicitamente dal Paese del quale vengono acquistati i titoli, come se l’aiuto fosse giustificato da guai suoi; né consente aiuti non specificamente condizionati all’adozione di discipline speciali. Credo che lo sforzo di Monti sia stato quello di convincere i colleghi europei a interpretare il Trattato nel modo più prossimo possibile a quel che occorrerebbe per questo genere di «aiuto ai virtuosi». E penso che lo sforzo abbia avuto successo: la richiesta di intervento, che pur ci deve essere, sarà limitata alla semplice e rapida sottoscrizione di un documento predisposto in modo da servire al caso; e, soprattutto, non sarà richiesta altra misura speciale di aggiustamento per il Paese «aiutato» se non il proseguimento del rispetto dei programmi concordati con la Commissione, cioè il tipo di programmi che esistono sempre per tutti i Paesi dell’eurozona.
E’ quindi ora di smettere di domandarsi se l’Italia chiederà o no l’intervento del fondo antispread. Dipenderà da come vanno le cose attorno al nostro Paese, dai pericoli di contagio, dagli atteggiamenti più o meno lungimiranti degli speculatori. E se lo chiederà sarà solo perché, per ora, ogni intervento va formalmente richiesto: ma la richiesta sarà nell’interesse di tutta l’eurozona e nel quadro della gestione di problemi «sistemici» che non sono causati dai nostri specifici squilibri. Per godere dell’«aiuto», inoltre, basterà continuare a rimanere nelle regole comunitarie. Questo è importante anche perché rivaluta la disciplina comunitaria che altrimenti sarebbe sminuita da speciali superdiscipline dettate da istituti intergovernativi quali il fondo europeo di stabilità dove, fra l’altro, rischia di prevalere la logica del Paese più forte o di quello che, per fare il furbo, scambia favori o commina punizioni agli altri in cambio o in vista di altre decisioni su terreni diversi.
L’insistenza del nostro governo sembra avere ottenuto un risultato importante: concordando annualmente con Bruxelles, come tutti i Paesi membri, un programma di politica economica adeguato a farci crescere in modo equilibrato ed efficiente e a contribuire alla convergenza e alla stabilità dell’Ue e attenendoci a tali programmi, avremo diritto anche a una speciale forma di solidarietà comunitaria, quella «del secondo tipo», come ha detto Monti nella conferenza stampa, quella garantita non a chi ha un aggravamento di problemi suoi ma a chi soffre temporaneamente di problemi del sistema dell’eurozona nel suo complesso. Fra gli altri Paesi che potrebbero approfittare presto di questo tipo di aiuto c’è la Francia che rischierebbe di entrare nel mirino speculativo proprio quando riconoscesse con più trasparenza i suoi squilibri e diventasse più evidentemente virtuosa nell’affrontarli.
Ieri è arrivata anche la diagnosi del Fmi: l’Italia è sul cammino virtuoso degli aggiustamenti e delle riforme: basta che il suo scenario politico interno sia in grado di mantenerla nella virtù anche dopo il governo «strano». Per come stiamo camminando, i rischi per noi provengono dal possibile contagio di un’eurozona che è lungi dall’avere tutto in ordine e manifesta ancora qualche incertezza su come affrontare il disordine. Un’incertezza che però gli ultimi vertici europei paiono veramente intenzionati a rimuovere.
La Stampa 11.07.12