La frase del premier Mario Monti sull’incertezza politica del dopo-voto in Italia non ha turbato Pier Luigi Bersani più di tanto. Il segretario del Partito democratico non l’ha interpretata (o non ha voluto interpretarla) come una riproposizione anche per il futuro dell’attuale grande coalizione, guidata magari dallo stesso presidente del Consiglio. Secondo il leader del Pd si tratta di «una normale constatazione», dovuta al fatto che, tra grillini, Pdl versione Berlusconi e problemi economici, per qualsiasi governo la prossima non sarà una legislatura facile. Anzi. E «comunque è la straordinarietà dell’oggi» che, per Bersani, «porta necessariamente all’interrogativo sul domani».
E la «straordinarietà dell’oggi» è questa maggioranza, non politica e non coesa, litigiosa e poco affine, che regge un esecutivo tecnico. Perciò il segretario del Pd non ha dubbi: «Tocca a noi — ripete spesso e volentieri — costruire un programma di governo per il 2013, con una maggioranza solida politicamente». È una sfida difficile, il leader del Partito democratico non vuole nasconderlo, ma è anche una sfida che il Pd «dovrà giocare in prima persona, mettendoci la faccia».
Dunque, non sono le parole di Mario Monti sulla vaghezza della politica italiana a preoccupare il segretario. Semmai ciò che lo impensierisce è altro, ossia una spending review che, pur «avendo dei punti validi», presenta alcuni risvolti che «potrebbero produrre costi sociali insostenibili». Sono «i tagli lineari alla sanità, alle Regioni e ai Comuni» a preoccupare Bersani, perché, a suo avviso così verranno colpiti enti locali e servizi sociali, con il rischio di ridurre in povertà persino una parte del cosiddetto ceto medio. È per questa ragione che il segretario del Pd annuncia già da ora: «Correggeremo la manovra in Parlamento, è il nostro fermo intendimento». Con un obiettivo ben preciso: quello della maggiore equità sociale. Bersani ha parlato di questi problemi non solo con il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani e con quello dell’Anci Domenico Delrio. Ne ha discusso anche con il segretario della Cgil Susanna Camusso, che si oppone con grande determinazione alla spending review. E questo vale per l’oggi. Ma il leader del Partito democratico ha un programma anche per il domani, quando, e di questo è convinto, la politica tornerà a farla da protagonista e il centrosinistra governerà il Paese.
Per questo motivo da qualche tempo in qua Bersani ha cominciato a delineare il futuro che verrà. E sarà un futuro di segno riformista in cui la coalizione che dopo le elezioni prenderà le redini della situazione lo farà «in continuità con il meglio del governo Monti, ma facendo anche cose nuove». Non ci sta, il segretario del Pd, a sentire il rosario dei «luoghi comuni» secondo cui la politica e il dialogo sociale impediscono di prendere le decisioni. Per questo, ogni volta che può, ricorda che è stato proprio un governo politico, di centrosinistra, a fare «lo spezzatino Enel» e a «liberalizzare le licenze del piccolo commercio». E per la precisione è stato proprio lui, quando era ministro, a fare tutto ciò. Ma Bersani non lo dice per farsi bello. Non è nel suo stile. Lo ricorda soltanto per sottolineare che la politica non è un magma indistinto e che non tutti i partiti sono uguali. Proprio per questa ragione sta preparando con cura la carta d’intenti del Partito democratico, ossia il manifesto programmatico che il Pd offrirà alle altre forze dell’alleanza che verrà. Alleanza che, assicura il leader, «non sarà certamente un bis dell’Unione o il vecchio centrosinistra». Sa che con un’improbabile macchina da guerra di questo tipo si possono pure vincere le elezioni, ma non varare «le riforme di cui il Paese ha bisogno in questa fase così complicata».
Il segretario non nega le difficoltà («sappiamo che sarà dura e che la recessione si farà sentire ancora nella prossima legislatura»), ma ripete a tutti i compagni di partito quello che per lui è diventato una sorta di mantra: «Non possiamo tirarci indietro». E Pier Luigi Bersani, per quanto lo riguarda, non si tirerà indietro nemmeno di fronte alla sfida di palazzo Chigi.
Il Corriere della Sera 09.07.12