Giorgio Squinzi è un noto appassionato di ciclismo. Sarà forse per questo motivo che ha deciso di ispirare la sua personale interpretazione del ruolo di Presidente di Confindustria al temperamento di un corridore di altri tempi. Ogniqualvolta si trova a commentare una qualche scelta del governo, non trova di meglio che ripetere la celebre frase di Gino Bartali al termine di ogni gara in cui non avesse trionfato: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare». Peccato che ciò su cui viene chiesto il parere di Squinzi non sia il risultato di una tappa del Giro, ma le scelte di un governo che opera in condizioni di emergenza con gli occhi del mondo puntati addosso. Peccato che Squinzi non si riferisca come Bartali a una sua prestazione, non parli del tempo da lui impiegato nella salita dello Stelvio, ma intervenga a nome di tutti gli industriali italiani, impegnati oggi in una prova molto più difficile di una salita di 24 chilometri. C’è sempre un tempo di apprendimento nel cambiare mestiere e speriamo che Squinzi rapidamente capisca che il suo nuovo ruolo gli pone nuove responsabilità anche sul piano della comunicazione. Ma quello che preoccupa delle esternazioni di sabato di Giorgio Squinzi non è solo lo stile. Confindustria, a quanto pare, ha nostalgia dei governi politici. Lo si capisce non solo dal voto insufficiente attribuito al governo Monti (dal 5 al 6), ma anche dal suo condividere “al cento per cento” le affermazioni del segretario della Cgil, Susanna Camusso, quando invoca un cambiamento di metodo nello stile di governo. Ci sono due possibili interpretazioni di questa presa di posizione. La prima è che Confindustria senta di poter condizionare maggiormente un governo politico di un governo tecnico e reputi questa possibilità di condizionamento più importante di qualsiasi altra cosa nel valutare l’operato di un esecutivo. In altre parole, per l’associazione Confindustria conta solo poter giustificare la propria esistenza, come gruppo di pressione, di fronte ai propri iscritti. Se vuole fugare questo dubbio, Squinzi dovrebbe rivelare il voto che attribuisce al governo Berlusconi che ci ha portato sull’orlo del baratro, concedendo però ampio spazio ai tavoli della concertazione. Non ha fatto un bel nulla per riformare il Paese, ma ha offerto ampia esposizione mediatica alle parti sociali, facendole entrare nelle cucine degli italiani in tempo per l’edizione serale dei Tg.
La seconda spiegazione è che Squinzi voglia genuinamente contribuire a migliorare la qualità delle scelte di politica economica, con l’intento di minimizzare gli errori di un governo che, a differenza del precedente, sta cercando di agire per affrontare
la crisi. Si sa che quando si fanno delle cose, si commettono inevitabilmente degli errori e il leader degli industriali vuole contribuire a farne il meno possibile, apportando il contributo pragmatico della categoria che rappresenta. Se è valida questa seconda interpretazione, bene allora che Squinzi proponga un metodo, il più possibile lontano dai riflettori e incentrato sull’esame nei dettagli delle norme in discussione. Niente più riunioni attorno al tavolo verde di Palazzo Chigi, dove si discute di nulla perché manca un testo di riferimento (come nella “concertazione” sulla riforma del mercato del lavoro), ma quel che conta è tenere la conferenza stampa sui banchi del governo al termine della riunione. Al posto di questo inutile teatrino, chieda allora il leader degli industriali al governo di avere i testi di legge prima che questi vengano presentati in Parlamento e un tempo ragionevole (una settimana dovrebbe essere sufficiente in considerazione delle condizioni di emergenza economica) per poter esprimere un proprio parere circostanziato, in maniera riservata. Questo permetterebbe poi al governo di apportare eventuali correttivi prima della trasmissione in Parlamento. Certo, ci rendiamo conto che questo governo sta ricorrendo spesso alla decretazione d’urgenza, ma anche in questo caso è possibile esprimere un parere prima dell’emanazione dei decreti e, in ogni caso, si ha tutto il tempo di farlo prima della conversione in legge degli stessi. Siamo anche consapevoli del fatto che le parti sociali cercano di influire sulle scelte politiche proprio mobilitando i loro iscritti e l’opinione pubblica, ma questa possibilità l’avrebbero comunque. Quello che conta, soprattutto in questo momento, è far precedere l’esternazione da una valutazione approfondita.
Non sembra, questo, il caso dei giudizi affrettati espressi in questi giorni sulla spending review. A proposito, il sospetto è che Squinzi non ami le verifiche sull’efficacia della spesa perché è difficile per lui giustificare l’esistenza di un’organizzazione così costosa come Confindustria. Soprattutto dopo che, forzando lo statuto, ha imposto la nomina di undici vicepresidenti, cinque presidenti di comitati tecnici e due delegati del presidente per un totale di diciotto (dicasi diciotto!) membri della presidenza. I datori di lavoro oggi tartassati e forzati a versare quote associative importanti si chiederanno: che senso ha pagare tutto questo per mantenere in piedi una struttura che si dichiara in tutto e per tutto d’accordo con la Cgil?
La Repubblica 09.07.12