La Rai per il governo. Viale Mazzini per palazzo Chigi. Il controllo della tv pubblica per la tutela dell’interesse pubblico. Siamo alle solite. Ma questa volta il ricatto del centrodestra si gioca sulla pelle del Paese, di tutti noi cittadini, sudditi del regime televisivo, proprio in un momento cruciale per le sorti dell’economia nazionale e dell’intera collettività nazionale. Ricatto, non c’è termine più appropriato per definire l’ultimatum del partito-azienda. O la borsa o la vita, insomma. O la consegna della Rai oppure la sopravvivenza del governo.
È fin troppo trasparente ed esplicito il senso dell’avvertimento lanciato dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, per giudicare l’affidabilità del quale basterebbe constatare lo stato di crisi in cui è ridotto il sistema produttivo italiano. Se non fosse stato per l’intransigenza dell’ex presidente della Rai, Lucia Annunziata, a suo tempo l’azienda pubblica avrebbe speso cento milioni di euro per acquistare un “pacchetto” di frequenze televisive di cui non aveva bisogno, già appartenute in gran parte a emittenti locali gestite in precedenza proprio dall’ineffabile ex ministro. Un “affare” di Stato che fortunatamente non andò a buon fine.
All’insegna del più bieco avventurismo, la protervia del centrodestra si spinge fino a minacciare la “vita” del governo in cambio della “borsa” della Rai. Pazienza per lo spread, per il risanamento dei conti pubblici, per gli impegni e gli accordi europei. E quanto alla signora Merkel — come hanno auspicato con eleganza intellettuale i giornali dell’azienda-partito, all’indomani della vittoria (calcistica) dell’Italia sulla Germania — la Cancelliera può anche andare a quel paese, per non usare qui espressioni più volgari. Ciò che conta è tenere sotto controllo la televisione pubblica, per tenere sotto controllo l’opinione pubblica: e contemporaneamente, per salvaguardare la televisione privata che fa capo ancora all’ex premier-tycoon.
Dire che tutto questo è indecente e inaccettabile, è troppo poco. A che cosa serve rievocare l’eterno conflitto di interessi che grava come un’ipoteca inestinguibile sul nostro sventurato Paese? A questo punto dovrebbe risultare evidente a tutti che al Cavaliere la conservazione dello “statu quo” televisivo preme come e più della normalizzazione della giustizia, più di qualsiasi altra questione o riforma, anche più dell’interesse generale.
Al centrodestra non è bastato desertificare la Rai, espellendo giornalisti e dirigenti “scomodi”, molti dei quali sono passati alla concorrenza. Né insediare alla direzione del Tg1 e dei Gr “fiduciari” di palazzo Grazioli o del Vaticano.
E neppure inscenare l’indegna pantomima rappresentata nei giorni scorsi sul palcoscenico della Commissione parlamentare di Vigilanza, secondo il più classico copione dei giochi di potere, sotto la discutibile regia di un presidente del Senato che ha dismesso i panni e le responsabilità della seconda autorità dello Stato, per agevolare la sua parte politica.
No, tutto questo non basta ancora alla voracità predatoria di un partito-azienda che ormai equivale a una ristretta minoranza del Paese. Adesso il centrodestra impugna come un’arma letale la scellerata legge firmata dall’ex ministro Gasparri, per imporre un “voto di scambio” sulla nuova presidenza della Rai che deve ottenere la maggioranza qualificata dei due terzi nella Vigilanza: o la “governance” dell’azienda resta in mano al consiglio di amministrazione nominato dalla partitocrazia oppure salta il banco, magari anche quello del governo. Ed è appena il caso di rilevare che in questa bassa manovra di sottopotere romano la Lega di Maroni si ritrova di nuovo al fianco del Pdl, a dispetto delle più recenti dichiarazioni di distacco e d’indipendenza padana.
Per un grottesco paradosso che assume il valore di una clamorosa autosconfessione, ora il centrodestra rivendica al Parlamento il controllo della Rai, dopo averlo indebitamente trasferito al governo proprio in forza della pseudo-riforma televisiva introdotta con l’autoritarismo di un editto. Quello che andava bene ieri, non va più bene oggi. Quello che valeva per Berlusconi, Gasparri e Romani, non vale più per Monti e per Passera. In un tale cortocircuito mediatico e politico, si arriva così a ricattare il “governo di impegno nazionale” per paralizzare la Rai e favorire la principale azienda concorrente, vale a dire Mediaset. Ma soprattutto per continuare a condizionare la formazione e l’aggregazione del consenso attraverso la tv, pubblica e privata, in vista delle prossime elezioni. È questa la maggiore preoccupazione del centrodestra, la sua priorità assoluta, mentre la disoccupazione aumenta, i salari diminuiscono, il debito pubblico incombe e il Paese, mortificato da vent’anni di berlusconismo, rischia di regredire ulteriormente.
La repubblica 08.07.12
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“Sulla presidenza Rai no ai ricatti Pdl o sarà commissariata”, di ALBERTO CUSTODERO
È scontro sui maxi poteri alla neo presidente Rai Anna Maria Tarantola. Il Pdl si mette di traverso, ma il premier Monti non è intenzionato a fare retromarcia. Al contrario. Nel caso si tentasse di bloccare la nomina della Tarantola, il Professore potrebbe persino ventilare il commissariamento della tv pubblica. «Dopo l’elezione del cda della Rai, ora è urgente la convocazione della commissione di Vigilanza per votare subito il presidente, in modo da affidare deleghe e poteri adeguati ad affrontare la gravità della situazione che sta attraversando la Rai». L’ultimatum del Pd, reso noto in un comunicato del partito, acuisce la tensione fra i maggiori partiti che sostengono il governo Monti sulla questione televisiva.
«Qualora ciò non accada — avvertono i democratici — e vi siano ulteriori resistenze a completare l’iter di nomina dei vertici aziendali, per il Pd sarebbe inevitabile chiedere il commissariamento della Rai, con la stessa determinazione e rapidità avuta in occasione di altri provvedimenti». Se per il partito di Bersani «la modifica della governance del servizio pubblico radio-televisivo è una priorità» da porre «come uno dei primi provvedimenti di cui si dovrà occupare il prossimo governo», per gli “alleati” del Pdl la questione Rai resta un tema di scontro. Nel mirino del partito di Berlusconi restano soprattutto le super-deleghe alla nuova presidente designata dell’azienda di viale Mazzini. Anna Maria Tarantola, secondo il progetto del governo, dovrebbe infatti assumere maggiori poteri rispetto a quelli del suo predecessore.
L’altro ieri Paolo Romani ha minacciato di non dare la fiducia a Tarantola martedì prossimo. Ieri, l’ex ministro dello Sviluppo — plenipotenziario del Pdl per le questioni tv — è tornato alla carica. E ha lanciato al governo l’accusa di violare la legge. «Ho un grande rispetto e stima nei confronti di Tarantola
e Gubitosi — dice Romani — ma resta il problema del rispetto delle procedure e della legge ». La competenza sulla Rai, secondo Romani, spetta al Parlamento e non al governo, che, in questo caso, sarebbe intervenuto, appunto, «al di fuori della legge». L’ex ministro si «dispiace poi che una richiesta da parte nostra di rispettare la norma e le procedure conseguenti venga interpretata come un no alla nuova governance del servizio pubblico radiotelevisivo». Rodolfo De Laurentiis, confermato in cda coi voti del Terzo polo, tenta una mediazione. «Non facciamo guerre — esorta — sono convinto che all’interno del cda si troveranno le formule migliori». Ma la tensione resta al calor bianco. Per il deputato pd Michele Meta, al Pdl «interessano più le nomine che il rilancio dell’azienda». Anche Giuseppe Giulietti, di Articolo 21, attacca. E riferendosi alla Mediaset di Berlusconi, respinge «le minacce del partito del conflitto di interessi».
Tra i berlusconiani, tuttavia, si registra un accenno di “fronda”. «Tarantola — dice Raffaele Lauro, componente pdl in commissione Vigilanza — rappresenta l’ultima spiaggia per evitare il commissariamento». «La sosterrò — aggiunge — con convinzione e con determinazione nell’azione di risanamento finanziario, e per porre fine alla dissennata e suicida pratica degli appalti esterni e degli intoccabili orticelli di potere dei partiti».
08.07.12
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“Paralizzano la tv di Stato per fare favori a Mediaset”
«Il governo ha già subìto un veto non riformando la governance della Rai. Sono certo che non vorrà subirne un altro sulle deleghe alla nuova presidente». L’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni, pd, sprona Monti a non farsi intimidire. Perché dietro le minacce — dice — c’è sempre «un insostenibile conflitto di interessi».
Il Pdl va avanti con le sue richieste. Cosa accadrà martedì?
«Le minacce hanno un obiettivo evidente. Lasciare in Rai le cose come stanno. Sono dieci anni, dal febbraio 2002, che la Rai ha una maggioranza di centrodestra, e sono dieci anni che la legge Gasparri ha esasperato la lottizzazione come criterio di gestione dell’azienda. Se le cose non cambiano, il futuro della Rai è a rischio».
«Noi ci aspettavamo, dopo l’annuncio fatto da Monti a gennaio, un cambiamento radicale, basato sull’efficienza aziendale, sul recupero della diversità del servizio pubblico e su una Rai che finalmente investe su Internet e sul futuro. Ci siamo accontentati di una minicorrezione della governance che almeno dia più forza ai vertici e meno potere di paralisi ai partiti».
«Non posso credere che Monti, che ha alzato la voce con Angela Merkel, si faccia intimidire da Gasparri. Se il Pdl facesse i giochetti che qualcuno preannuncia, il governo non potrebbe fare altro che introdurre una norma che consenta un commissariamento di fatto».
Cosa c’è dietro l’atteggiamento del Pdl?
«Il congelamento di una Rai paralizzata e immobile non è solo un danno al servizio pubblico. È
un’assicurazione sulla vita per Mediaset, che dopo le difficoltà legate all’operazione Endemol e alla crisi della sua pay-tv ha un bilancio che non naviga in acque sicure. Ancora una volta sulla tv si resuscitano cose che apparivano sepolte: il patto di ferro tra Lega e Pdl, e il conflitto di interessi».
Stallo a parte, non sarebbe ora di fare una nuova legge?
«Ce l’aspettavamo da questo governo perché aveva una maggioranza che numericamente lo consentiva. Sicuramente ha subìto un veto, sono certo che non cederà ancora».
Sulla tv si resuscitano cose che apparivano sepolte: il patto di ferro tra Lega e Pdl e il conflitto di interessi.
08.07.12
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“Il governo: nessun passo indietro rispetto dei patti o intervento drastico”, di Annalisa Cuzzocrea
Risponde con la fermezza, Mario Monti, alle minacce del Pdl. Chi gli ha parlato in queste ore si è sentito dire che sulla Rai il governo non intende fare alcun passo indietro. Anzi, potrebbe farne uno avanti. Se davvero il centrodestra decidesse di bloccare la nomina della presidente Anna Maria Tarantola, e di andare avanti con un cda a 8 che sarebbe presieduto dal membro più anziano, Guglielmo Rositani, il premier non esiterebbe a tirare fuori la carta del commissariamento. Anche perché, erano stati fatti degli accordi. E il partito di Silvio Berlusconi se li sta rimangiando uno a uno.
Monti aveva avuto il via libera dal Pdl sia sui nomi di Tarantola e Gubitosi, sia sull’estensione delle deleghe. Aveva deciso di sua iniziativa, ma Gianni Letta gli aveva comunicato il consenso di Berlusconi sul manager Wind e sul vicedirettore di Bankitalia prima ancora che il centrosinistra ne sapesse
nulla. E quindi, è davanti a un patto violato che si trova ora il presidente del Consiglio. Ovviamente, non gli passa neanche per la mente di rinunciare ad Anna Maria Tarantola. Sa bene, il premier, che non è quello il punto. La minaccia verte su quel nome – che la Vigilanza martedì deve ratificare con i due terzi – solo perché il Pdl ha bisogno di “alzare la voce”. La vera questione in ballo è quella delle deleghe, che sia Monti che l’assemblea degli azionisti hanno chiarito dovranno andare alla nuova presidente. Si tratta della possibilità di gestire – insieme al solo direttore generale – i contratti fino a 10 milioni, e di quella di occuparsi delle nomine considerate “non editoriali”. È questo, il boccone più indigesto per il Pdl. Tranne che per i direttori di Rai Uno, Rai Due e Rai Tre, e dei rispettivi tg, infatti, le altre caselle (ce ne sono circa duecento) sarebbero scelte senza il contributo dei consiglieri. Che tradotto significa, senza l’ingerenza della politica.
Finora, dai compromessi e dagli scambi fatti al tavolo del cda sono
dipesi i direttori di Rai Trade, Rai Fiction, Rai Cinema, i responsabili dell’intrattenimento, quelli del personale, gli amministrativi. Le attrici da piazzare, le veline da promuovere, i manager da premiare. La cosidetta “miniriforma” di Monti, quella che ha convinto il Pd a scendere dall’Aventino su cui era salito dopo aver chiesto un totale cambio di governance, voleva evitare tutto questo. Ora, però, tutto è rimesso in discussione. E come in un perverso gioco dell’oca, tutto rischia di ripartire
da zero.
Perché se davvero la Vigilanza non votasse Tarantola con i 27 voti necessari, a sostituirla in cda sarebbe il membro anziano Rositani.
Così, il blocco del centrodestra – che oltre a quelli di Antonio Verro, Antonio Pilati e Luisa Todini avrebbe il voto “doppio” del presidente – straccerebbe su ogni decisione i due rappresentanti delle associazioni eletti dal Pd, Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, il consigliere Udc de Laurentiis e quello espresso dal Tesoro Marco Pinto. Che tra l’altro, non sono certo un blocco omogeneo. Basti pensare che de Laurentiis ha già espresso tutti i suoi dubbi sulle deleghe “forti” della Tarantola, lui che è già consigliere dal 2009, e che a quelle decisioni, alle auto blu, agli appuntamenti settimanali e alle mille telefonate si era già abituato.
Perché il punto è anche questo: il disegno che Monti ha cercato di attuare è quello di un cda meno costoso, cui sono stati ridotti gli stipendi e i benefit, e che non dovrà certo riunirsi ogni mercoledì come era solito fare, ma – libero dalle scelte che spettano solo a presidente e direttore generale potrebbe vedersi una volta al mese, «come i cda delle aziende normali », commentano a palazzo Chigi.
Davanti a questo, i plenipotenziari televisivi di Silvio Berlusconi, Maurizio Gasparri e Paolo Romani, sono pronti a nuove barricate. «Con questa forzatura sulle deleghe, con quella già fatta sul direttore generale, il governo sta creando un pericoloso precedente – dice l’ex ministro dello Sviluppo – ci sono tre sentenze della Corte costituzionale che dicono che non può farlo. Noi vogliamo solo far rispettare la legge». Agiamo «in punto di diritto», ripete più volte. E quindi, se non ci sarà un ripensamento dell’esecutivo, la Tarantola rischia di essere bocciata dalla Vigilanza, dove l’avvento del senatore Viespoli al posto del dissidente Amato ha riportato i numeri a favore del centrodestra.
«È chiaro che fanno sul serio dice il responsabile Cultura del Pd Matteo Orfini – e questo dimostra quanto sia stato sbagliato non fare la riforma della governance». Le forzature, però, a Mario Monti non sono mai piaciute. Lo ha dimostrato in Europa, lo ha fatto sulla spending review. Potrebbe farlo sulla Rai, commissariandola direttamente o attraverso un decreto. Che poi il Parlamento dovrebbe votare, certo, ma il Pdl è disposto a far cadere il governo sulla Rai? Per saperlo, basta aspettare martedì.
La repubblica 08.07.12