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"Ricerca choc. Sono i figli le altre vittime della violenza domestica", di Mariagrazia Gerina

Federico, lo chiameremo così, ha solo undici anni. Sua sorella, appena nove. Ma sa già come funziona la violenza, sa che ha un andamento ciclico. Sa che per quanto terribile sia l’esplosione di rabbia, prima o poi, finirà. E dopo, comunque, tornerà una specie di calma. Per questo mentre guarda sua fratello che si dimena, non si scompone. Federico sembra una furia. Urla, tira calci. Non c’è verso di calmarlo. E chi ci prova, si ritrova un morso sul braccio. Sua sorella, invece Sofia la chiameremo se ne resta in disparte. Assiste impassibile alla scena. «Non vi preoccupate», rassicura le operatrici del Centro Antiviolenza dove lei e Federico sono ospiti da qualche giorno insieme alla madre: «Fra un po’ si calma, papà fa la stessa cosa con mamma e poi smette…».
Scene dall’inferno domestico, da cui con fatica le donne vittime di violenza cercano di risalire, insieme ai loro bambini. In un anno, più di mille donne vittime di violenza si sono rivolte al Telefono Rosa, in cerca di aiuto. In nove casi su dieci, a picchiarle sono i loro mariti, compagni, fidanzati. In otto casi su dieci, le donne sono madri. E questo significa che dietro di loro, ci sono altre vittime, i loro figli: 760 minori, 404 di età compresa tra gli 0 e gli 8 anni, 356 ragazzini tra i 9 e i 17 anni, 438 maggiorenni, che da bambini non hanno ricevuto l’aiuto di cui avevano bisogno.
Il paradosso è che spesso proprio il pensiero dei figli a convincere le madri a restare, almeno fin tanto che sono «troppo piccoli». «Meglio un padre violento che nessun padre», è la regola che si ripetono per uno, due, cinque anni. Molte si illudono di poter tenere al riparo i bambini. Con stratagemmi che riempiono di pena. «Ormai ha spiegato una giovane madre a Paola Matteucci, psicologa e volontaria del Telefono Rosa so riconoscere quando arriva l’esplosione di violenza: mi prende per i capelli e allora io piano piano mi trascino in stanza da letto, così i bambini non vedono e non sentono nulla».
Poi, arriva il giorno che anche quella convinzione crolla. E le madri sono costrette a fare i conti oltre che con la loro sofferenza con quella inflitta ai loro figli. La letteratura scientifica la chiama «violenza assistita», ma è un termine che non dà abbastanza conto dell’orrore che i bambini nati in una delle tante case dove si consuma la violenza sulle donne sono costretti a subire. Figli di padri violenti e vittime, come le loro madri, anche quando sembrano non vedere e non sentire quello che il papà fa alla mamma. La «trasmissione della violenza» avviene lo stesso. Di padre in figlio, di madre in figlia, seguendo tutte le traiettorie possibili. Le bambine reagiscono chiudendosi in se stesse, con una timidezza che non lascia varchi. I bambini invece più spesso reagiscono imitando il padre. E allora le esplosioni di rabbia, i calci, i morsi. Violenza infantile, che è ripetizione della violenza adulta.
A SCUOLA
Nel caso di Federico e di Sofia è successa una cosa a che purtroppo spesso non accade. A scuola, gli insegnanti si sono accorti che qualcosa nel loro comportamento non andava. E da lì è iniziata la risalita. Per loro, e per Antonia. La chiameremo così, la loro mamma.
Un giorno, Antonia, dopo l’ennesimo episodio di violenza, si è presentata a scuola con i suoi figli, esausta. Aveva appena capito sulla sua pelle che poteva davvero rimetterci la vita. E ha chiesto aiuto. La preside ha chiamato i carabinieri. E quando il papà è andato a prendere i bambini lo hanno arrestato.
Ora lui è agli arresti domiciliari. Mentre lei, dopo tre mesi presso il Centro Antiviolenza gestito dal Telefono Rosa, è tornata a casa. Insieme ai suoi bambini. Il cerchio si è spezzato, la vita è ricominciata. La violenza, almeno per loro, è una trasmissione interrotta.
«Anche questa storia ci dice che è la scuola il luogo più importante dove agire», spiega la presidente di Telefono Rosa Maria Gabriella Moscatelli: «È lì che dobbiamo intervenire in aiuto dei bambini e degli insegnanti che hanno bisogno di strumenti mirati per imparare a riconoscere nei bambini i comportamenti sintomo di violenza domestica». Con il Dipartimento delle Pari Opportunità, durante la settimana contro la violenza, il Telefono Rosa quest’anno è riuscito a raggiungere 100 scuole. Ma la prevenzione dovrebbe essere condotta a tappeto, «anche a partire dalla scuola dell’infanzia». Il punto attacca Maria Moscatelli è che «per portare avanti delle politiche all’altezza dell’emergenza che abbiamo davanti, 71 donne uccise dai loro mariti dall’inizio dell’anno ad oggi, ci vorrebbe un ministero vero con poteri e portafoglio».

L’Unità 06.07.12

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