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"Il Presidente maggiordomo", di Curzio Maltese

NO, non è la Bbc. Questa è la Rai, la Rai tribù. Ogni volta che un nuovo vertice di viale Mazzini addita il modello della più prestigiosa tv pubblica del mondo, come hanno fatto per ultimi il presidente e il direttore generale nominati dal governo, Tarantola e Gubitosi, subito gli stakanovisti della lottizzazione s’incaricano di smentire. Ieri è stata un’altra giornata campale per le nomine Rai. Il Pdl e la Lega, caduti in letargo da mesi se non da anni su tutte le grandi questioni nazionali, dall’economia alle riforme istituzionali, si sono risvegliati di colpo e hanno lanciato una battaglia alla morte per non mollare le poltrone di viale Mazzini. Si sono contati feriti e morti, soprattutto dal ridere, ma alla fine gli eroici guardiani della mangiatoia televisiva ce l’hanno fatta, rimandando di un altro giorno l’avvento alla Rai di un vertice di persone serie. Un’ipotesi intollerabile per loro e per la vasta comitiva di imbucati, raccomandati, fidanzate e servi piazzati in ogni angolo della tv di stato a spese del gentile abbonato.
Sono passati sei mesi da quando Mario Monti, intervistato da Fazio, aveva giurato di rinnovare la Rai in una settimana. In questi sei mesi il premier ha trattato, spesso con successo, con sindacati e industriali, banche centrali e vertici europei, Cina e America. Ma sulla Rai non è riuscito a fare mezzo passo in avanti. Da mesi il centrodestra boicotta il rinnovamento, arrivando infine a far mancare per tre volte il numero legale nella commissione addetta alla lottizzazione, detta non si sa (più) perché «commissione di vigilanza». Vigilanza di che? L’ultimo atto della guerriglia è stato la rimozione da parte del presidente del Senato Schifani, di un membro di commissione del Pdl, il senatore Paolo Amato, colpevole di aver disobbedito agli ordini di partito e rimpiazzato al volo con il collega Viespoli. Il blitz di Schifani non ha precedenti nella storia delle istituzioni. Peccato perché nel disperato tentativo di rimuovere il ventennio berlusconiano, c’eravamo ormai quasi dimenticati, fra le tante nefandezze imposte dal Cavaliere, anche la nomina di un maggiordomo alla seconda carica dello Stato. Schifani, col suo gesto, ha voluto ricordarcelo a ogni costo.
Portata a termine l’ultima pagliacciata di una lunga serie, il Pdl oggi dovrebbe finalmente presentarsi in commissione per votare il nuovo cda di viale Mazzini. Nel caso in cui non lo facesse, Bersani e Casini propongono che il governo nomini un commissario in viale Mazzini. Secondo noi, sbagliano. Non a invocare il commissario governativo, ma a dare un’altra possibilità al centrodestra. Basta, finiamola qui. La politica faccia un passo indietro subito, dopo aver condotto la Rai, come del resto tutto il Paese, sull’orlo del fallimento. I partiti lascino a Monti il compito di nominare un salvatore della patria a viale Mazzini che rimetta in ordine i conti e prepari un piano di privatizzazione, come gli italiani hanno chiesto con il voto referendario. Tutti si riempiono la bocca con le riforme del lavoro, tema sul quale l’Italia sarebbe in ritardo di un decennio sulla Germania. Bene, qualcuno forse dovrebbe ricordare che sulla riforma e la privatizzazione del servizio pubblico televisivo il ritardo italiano su Germania, Francia e Gran Bretagna è di trent’anni. Un ritardo che ha un nome, un cognome e una ragione sociale, Silvio Berlusconi e il conflitto d’interessi. Fra l’altro, liberati dalla loro principale occupazione, la lottizzazione Rai, i partiti forse troveranno il tempo nei prossimi mesi di fare le riforme o almeno una decente legge elettorale. Il tempo, se non la voglia, di occuparsi insomma di tutti i compiti che hanno trascurato per discutere appassionatamente di direttori dei telegiornali e di rete, vallette e casting di sceneggiati, presentatori in livrea e appalti agli amici.

La Repubblica 05.07.12

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