Tre settimane per trovare un’intesa sulla legge elettorale, era stata la sfida lanciata da Alfano. Bersani l’ha raccolta. E però ora che le tre settimane sono abbondantemente passate, non è stato siglato alcun accordo per superare il “Porcellum”. Anzi, ultimamente le distanze tra Pdl e Pd sono aumentate, ed è già alle spalle l’ipotesi di una legge che assegni il 50% di seggi in collegi uninominali a un turno e l’altro 50% col proporzionale in circoscrizioni medio-piccole e lo sbarramento al 5%.
È soprattutto su due punti che si è bloccata la trattativa: quale meccanismo introdurre per permettere agli elettori di scegliere i loro rappresentanti in Parlamento e come garantire la governabilità. Insomma, i due punti cardine. E a poco è servito che sia cambiata la compagine degli sherpa che stanno portando avanti il confronto. Gli ultimi colloqui tra Maurizio Migliavacca (Pd), Denis Verdini (Pdl) e Ferdinando Adornato (l’Udc) non sono bastati a trovare la quadra.
PREFERENZE CONTRO COLLEGI
A rendere impossibile l’accordo, spiegano nel Pd, sono le divisioni e le ambiguità che dominano nel Pdl. Nel Pdl puntano invece il dito contro il niet posto dal Pd all’introduzione delle preferenze. Sono vere entrambe le cose.
I vertici di via dell’Umiltà sono divisi tra chi vuole le preferenze, chi i collegi uninominali e chi delle liste bloccate corte. E un vertice notturno a palazzo Grazioli non è servito a scegliere una posizione univoca. Berlusconi, spiega chi ha partecipato all’incontro, si sarebbe detto favorevole alle preferenze (opzione che per l’ex premier premierebbe la scelta di presentare insieme alla lista del Pdl una serie di liste civiche utili a interecettare il voto degli indecisi). In questo segnalando già un primo asse con il leader leghista Roberto Maroni («utile introdurre almeno una preferenza, dice). Ma già ieri mattina una fetta del partito si è scagliata contro l’ipotesi, parlando del «peggio della vecchia politica (Capezzone) e di aumento esponenziale dei costi della politica «con tutte le conseguenti degenerazioni (Calderisi e La Loggia).
È esattamente questa la posizione del Pd, che per la scelta dei parlamentari propone di ricorrere ai collegi: anzitutto maggioritari, per ricostruire un legame con i territori, ma con una quota anche di proporzionale. Bersani, dopo il muro alzato dal Pdl nei confronti del doppio turno, ha inviato alla controparte un messaggio molto esplicito sul fatto che il suo partito non accetterà una riforma al ribasso basata sul sistema delle preferenze. È vero che tra i Democratici c’è anche ci non vede di cattivo occhio questo strumento (Beppe Fioroni in primis). Ma non si aprirà su questo nessun braccio di ferro, nel Pd. Anche perché l’Udc, storicamente difensore delle preferenze, è disposto a rinunciarvi pur di portare a casa una riforma che faccia superare il “Porcellum”.
IL NODO PREMIO DI MAGGIORANZA
C’è poi un’altra questione su cui Pd e Pdl sono in disaccordo: come garantire la governabilità. Il che si traduce in una discussione sul premio di maggioranza. Il Pd non accetta che si assegni il 55% dei seggi alla Camera a chi arriva primo qualunque sia la percentuale di voti incassata alle urne. Tra le ipotesi in discussione c’è la previsione di un premio che vada dal 10 al 15%, e che verrebbe assegnato soltanto in caso di un 35-40% ottenuto alle urne (al di sotto scatterebbe un meno consistente premio di consolidamento).
Dopodiché la discussione non manca su chi potrebbe ottenere il premio, ovvero il partito o la coalizione. E anche, nel caso si decida per la seconda opzione, se escludere dall’assegnazione dei seggi ulteriori le forze della coalizione che non abbiano superato la soglia di sbarramento (che dovrebbe essere fissata al 4 o 5%).
l’Unità 05.07.12