Bersani: «Cercare soluzioni senza toccare la risposta sociale». Sarà anche vero che, come dice D’Alema, sulla spending review non sarà facile «raggiungere i record che raggiungemmo noi», eppure tra i partiti della “strana” maggioranza la preoccupazione c’è. Perché tutti pensano alle elezioni, sia pure nel 2013; perché il successo di Mario Monti in Europa ha reso più difficile “trattare” i contenuti dei tagli che il governo si appresta a varare; perché, infine, è altamente probabile che le misure vengano imposte per decreto.
Uno scenario, questo, di fronte al quale sia il Pdl sia il Pd stanno cercando di prepararsi allestendo, se non delle contromisure, almeno delle indicazioni di direzione di marcia, magari non per l’oggi, ma per il prossimo domani. Sembra non avere questo assillo l’Udc, che del sostegno granitico a Monti ha fatto la sua ragion d’essere fin dallo scorso novembre. Nell’ex Terzo polo c’è poi chi, come Mario Baldassarri, esponente del Fli e presidente della commissione finanze del senato, lancia un warning preventivo su un singolo aspetto contenuto nelle indiscrezioni di questi giorni: la chiusura della Fondazione Ime, l’istituto europeo di ematologia. Diverse le condizioni in cui si trovano ad affrontare la situazione il Pdl e il Pd. Anche e soprattutto perché le divisioni nel partito di Alfano e Berlusconi sono diventate così platealmente vistose in parlamento da rendere difficile a loro stessi l’adozione di un atteggiamento coerente e riconoscibile. Così ieri Maurizio Gasparri preferiva commentare le future alleanze nel centrosinistra secondo le interviste del week end, mentre nelle seconde file si insisteva nella difesa delle forze di polizia: Cicchitto poi si limitava a dire che sulla spending review «siamo in attesa di saperne di più», annunciando «precise proposte» del Pdl.
Dismesso il tono minaccioso del giorno dell’approvazione della riforma del lavoro («questa è l’ultima fiducia»), il capogruppo Pdl alla camera ha chiesto che i partiti siano informati. Soltanto Maurizio Lupi dichiarava dispiacere per l’intenzione ipotizzata dall’«amico Bonanni» di proclamare uno sciopero generale. Ben diversa la situazione del Pd. Perché è il più grande vero partito del paese e anche la spending review, come già la riforma pensionistica e quella sul mercato del lavoro, può incidere nella carne viva del proprio elettorato di riferimento; perché l’opposizione di Nichi Vendola e Antonio Di Pietro – con i quali le distanze si stanno allargando – rischia di far presa in parte di quell’elettorato, tanto più che dati come quelli diffusi ieri dall’Istat sulla disoccupazione giovanile (36,2 per cento) non rasserenano certo il clima; perché l’allarme dei sindacati potrebbe far ritrovare i dem dalla parte opposta rispetto alle confederazioni unite.
Così Pier Luigi Bersani, parlando ieri alla conferenza programmatica del partito a Livorno, ha messo i suoi paletti: «Dobbiamo trovare altre soluzioni, discutendo dell’attesa della pubblica amministrazione, senza andare a toccare la sostanza e la risposta sociale, che per noi non sarebbe accettabile». Il segretario chiede di poter discutere: i tagli, ammonisce, non sono «solo una cosa da funzionari del tesoro». Poi invita il governo a non avere «il pregiudizio» del dialogo nei rapporti sociali e sindacali: «Ho promesso che saremmo stati leali. Noi non facciamo scherzi e sosteniamo la transizione per tutto il tempo necessario. Ma questi pregiudizi devono essere evitati». Senza dimenticare gli esodati, che per il Pd sono 270-280 mila, ma spostando in là la soluzione del problema: «Su come affrontarlo, vedremo quando andremo al governo».
da Europa Quotidiano 03.07.12