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"Il paese delle donne che fanno paura alle cosche", di Giulia Veltri

La lotta alla criminalità organizzata in Calabria cammina sempre più spesso sulle gambe delle donne. Amministratrici in prima linea, le prime a pagare sulla propria pelle la violenza e le prove di forza messe in atto da mani criminali. E’ accaduto, ad esempio, a Clelia Raspa, una signora che nella vita fa il medico all’Asp di Locri ed è anche capogruppo di maggioranza al Comune di Monasterace, piccolo paesino sulla statale ionica in provincia di Reggio Calabria. Schierata, Clelia Raspa, a fianco di un’altra amministratrice donna, il sindaco Maria Carmela Lanzetta, che si era dimessa a marzo, proprio a seguito di una serie di intimidazioni, per poi decidere di rimanere in carica.
All’alba di sabato, la parte posteriore dell’Alfa Romeo Mito del capogruppo non c’era più, risucchiata dalle fiamme appiccate da qualcuno che è arrivato a pochi metri dall’abitazione della donna, ha appiccato il fuoco e se ne è andato indisturbato.
E così torna la paura nel paese in cui si sono precipitati qualche mese fa, subito dopo le dimissioni del sindaco Lanzetta, il ministro dell’Interno Cancellieri e il segretario nazionale del Pd Bersani. Anche sull’onda di questa catena di solidarietà e di vicinanza istituzionale, a marzo, la Lanzetta ha deciso di ritornare in sella al Comune. E da allora, suo malgrado, è diventata un simbolo dell’impegno civile in terre di illegalità. Le hanno distrutto la farmacia di famiglia e la sua auto è stata tempestata di proiettili e ieri ha trascorso tutta la giornata accanto all’amica e sostenitrice politica.
Nessun dubbio sul fatto che il destinatario finale dell’intimidazione fatta al capogruppo sia il sindaco: «E’ un regalo che hanno fatto a me – dice la Lanzetta – domani (oggi per chi legge, ndr) è una giornata speciale per il paese, perché ospitiamo Salvatore Settis (storico calabrese e direttore della Scuola Normale di Pisa) per la prestazione nazionale dei quaderni della Normale, dedicati per la prima volta agli scavi archeologici di Monasterace. Mi hanno voluto fare male un’altra volta – confessa lei che oggi vive sotto scorta – ma io provo ad andare avanti, finché posso, finché ce la faccio».
E’ difficile? «Sì certo che è difficile – risponde il sindaco – abbiamo avviato una serie di progetti con il ministero dell’Interno ma è il giorno dopo giorno che tempra e richiede tanto impegno. Le stanno provando tutte per convincermi a mollare».
In prima linea, le più esposte ma non sole in una quotidiana azione di resistenza alla criminalità organizzata. Non solo il caso Monasterace racconta di una Calabria di donne e amministratici che per muoversi nel solco della legalità e del buon esempio, convivono con auto bruciate, lettere intimidatorie, messaggi di morte. Da Monasterace a Rosarno, nel cuore della piana di Gioia Tauro – sempre in provincia di Reggio Calabria – dove comandano i Pesce e i Bellocco, e qui nel 2010 è scoppiata la rivolta degli immigrati costretti a vivere in capannoni distrutti.
Proprio nel 2010, qualche mese dopo gli scontri, è stata eletta Elisabetta Tripodi a capo di un’amministrazione di centrosinistra, che con il Comune si è costituita in tutti i processi di mafia e riceve continuamente lettere di minaccia.
A Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, un’altra storia di donne coraggio, con Carolina Girasole, biologa e sindaco dal 2008. Qui dove comandano gli Arena, le hanno provate un po’ tutte per convincerla a lasciare il municipio. Auto incendiate, portoni degli uffici sfondati, luoghi privati ripetutamente violati. Carolina resta al suo posto e insieme ad Elisabetta, Maria Carmela e altre ostinate e orgogliose amministratrici gira la Calabria e non solo, parlando di resistenza alle inciviltà, di buon esempio nell’agire pubblico, di determinazione e passione.

La Stampa 02.07.12