Ieri la Lega ha celebrato la successione. Da Bossi a Maroni. Si è trattato di un congresso difficile, perché la Lega, in due anni, è passata dal successo alla crisi. Alle Regionali del 2010 aveva ottenuto circa il 12% ed eletto i presidenti di Veneto e Piemonte. Inoltre, aveva allargato il confine padano, penetrando nelle zone rosse. Emilia Romagna, Toscana e Marche, sopra tutte.
Due anni dopo, ha subito un pesante ridimensionamento. Alle elezioni amministrative di maggio, fra i 12 sindaci leghisti dei Comuni sopra i 15mila abitanti dove si votava, ne sono stati rieletti solo due. Uniche città dove la Lega abbia vinto, in questa occasione. A Verona e Cittadella. Inoltre, i sondaggi la stimano fra il 4 e il 5%. In pratica, meno della metà rispetto alle Regionali. Bisogna fare attenzione, comunque, prima di dare la Lega per finita. L´ho già scritto qualche tempo fa. Non ho cambiato idea. La stima elettorale che le viene attribuita oggi, in fondo, non è diversa dal risultato ottenuto alle elezioni politiche del 2006. Superiore a quello conseguito alle elezioni fra il 1999 e il 2005. Peraltro, è possibile che il dato attuale sia sottostimato dai sondaggi, per il disagio di molti elettori nel dichiararsi a favore della Lega, dopo gli scandali dei mesi scorsi. In fondo, avveniva lo stesso negli anni Novanta, quando puntualmente la Lega, alle elezioni, otteneva risultati molto più elevati rispetto ai pronostici.
D´altronde, la Lega ha sempre seguito un andamento elettorale oscillante. In alcuni momenti e in alcune fasi, ha allargato la sua base “fedele”, intorno al 4%, a settori di elettorato deluso degli altri partiti, soprattutto di centrodestra. Oppure intenzionato a far sentire la propria insoddisfazione, nei confronti dello Stato centrale. Oppure ancora, attratto dalle principali “politiche” annunciate dalla Lega. Il federalismo e il controllo (meglio: la chiusura, nei confronti) dell´immigrazione. La Lega ha, cioè, agito come un imprenditore politico flessibile, in grado di captare i principali motivi di malessere degli elettori del Nord e, sempre più, del Centro Italia. Ora, però, questa impresa le riesce difficile. Per motivi interni ed esterni, piuttosto evidenti.
Sul piano interno, è profondamente divisa. Il Congresso invece di sancire l´alleanza e il passaggio fra i due leader, Bossi e Maroni, ne ha evidenziato la distanza. Anzi, il distacco. Bossi, in particolare, non pare disposto a fare il “padre nobile” (dopo le vicende che hanno coinvolto i suoi familiari sarebbe difficile). Chiede poteri reali, posti sicuri per i “suoi” nelle liste, alle prossime elezioni. Peraltro, i congressi territoriali non hanno determinato la vittoria schiacciante della corrente di Maroni. Hanno, al contrario, confermato come il partito sia spaccato in due. Maroni per primo, d´altronde, è consapevole come non sia possibile una Lega “senza” o peggio “contro” Bossi. Al quale egli stesso è legato, personalmente, per ragioni di biografia personale e politica. Tuttavia, al congresso, ieri, ha sentito il bisogno di sottolineare che governerà la Lega “senza tutele”.
Né vi sono altri leader che possano subentrare, al posto loro. I Presidenti, Zaia e Cota, contano e pesano solo nelle loro Regioni. Tosi, il sindaco di Verona, è certamente visibile e riconosciuto, mediaticamente. Ma non riflette la tradizione leghista. Come la sua città, che ha, semmai, un retroterra di destra e si è avvicinata alla Lega solo negli ultimi anni. Dopo l´avvento di Tosi.
Ma i problemi maggiori, per la Lega, vengono dall´esterno. Dalla difficoltà di recitare il ruolo e il copione che le hanno garantito il successo.
Quanto alla protesta contro i partiti “nazionali”, la Lega, in questa fase, deve fare i conti con un concorrente temibile. Il M5S ispirato da Beppe Grillo. Tra il 20% e il 30% degli elettori leghisti, alle regionali del 2010, alle elezioni amministrative di maggio, nelle principali città del Nord dove si è votato, ha scelto il candidato del M5S (come mostrano i flussi dell´Istituto Cattaneo). Mentre, nel Nordest, patria storica del leghismo, il 25% di coloro che oggi voterebbero per il M5S nel 2008 aveva votato per la Lega (stime dell´Osservatorio Elettorale del LaPolis su dati Demos, giugno 2012). Il M5S, d´altronde, può gestire in modo flessibile le sue strategie. Non è vincolato ad alleanze. Non deve vincere le elezioni e neppure governare. (Se gli capitasse sarebbe un problema…). Mentre la Lega ha il problema contrario. Oggi è “sola contro tutti”. Lega di opposizione. Ma non può permettersi di restare troppo a lungo in questa posizione. Rischierebbe, altrimenti, di risultare “inutile” agli occhi degli elettori “tattici”, che la votano per ottenere risultati concreti. Per “premere su Roma”. Non solo per protestare.
Ma la Lega, oggi, incontra grandi difficoltà nel perseguire, in modo convincente, i progetti che ne hanno caratterizzato l´azione e l´identità nel passato (non solo) prossimo.
Gli scandali recenti ne hanno eroso l´immagine della “diversità”. Il partito puro e duro, senza compromessi. Oggi appare assai meno puro e più compromesso di ieri. Così resta sospesa, come in Lombardia. Dove continua a sostenere la giunta Formigoni. E minacciare di uscire. Una Lega di governo e di opposizione. A disagio in entrambi i ruoli.
La “paura dell´altro”, la protesta contro l´immigrazione e l´integrazione (un tema, peraltro, accarezzato anche da Grillo), in questa fase, appare oscurata da altre paure. Dettate dalla crisi economica, dalla disoccupazione, dalla condizione di vita delle persone. Oggi incombono anche nelle aree dove la Lega è più forte.
Il federalismo: dieci anni al governo, insieme al centrodestra, non sono serviti ad affermarlo. Ne hanno, semmai, mostrato la faccia meno attraente. Costringendo gli amministratori locali a chiedere ai cittadini più tributi senza produrre più servizi. Semmai, il contrario.
Ma, soprattutto, si sta assistendo all´eclissi, se non al declino, della “questione territoriale”. Per prima: la “questione settentrionale”, a cui la Lega ha dato visibilità e voce, fino ad oggi. Perché, forse, è vero che “Non c´è Nord senza Sud”, come titola un bel saggio di Carlo Trigilia (appena pubblicato dal Mulino). Ma oggi entrambi, il Nord e il Sud, sembrano svanire, risucchiati nella crisi europea. Insieme all´Italia, tutta insieme, senza distinzioni. In tempi nei quali la politica è affidata ai tecnici. Per tutti: Mario Monti. Unico garante di fronte ai mercati e ai grandi del mondo.
Così diventa difficile fare la Lega padana, il sindacato del Nord. Quando il Nord non è solo a Nord del Sud. Ma (come ha suggerito Lucio Caracciolo) è, a sua volta, a Sud dell´euro – una moneta senza Stato. Il Nord padano: a Sud della Germania. Una periferia americana. All´estremo occidente della Cina e dell´India.
La Repubblica 02.07.12
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“Nasce la Lega di Maroni Bossi gli rovina la festa”, di CURZIO MALTESE
MUOIA Bossi con tutti i filistei del nuovo corso leghista. L´affascinante suicidio della Lega Nord, in corso ormai da mesi, è precipitato in uno psicodramma collettivo, con tanto di scena madre.
Proprio nel giorno dell´atteso congresso che doveva segnare la rinascita dal fango degli scandali. Si doveva celebrare l´incoronazione di Bobo Maroni, con la benedizione di Bossi. Ma in tre minuti il Senatur ha fatto il presepe allestito dai maroniani e ha trasformato il Maroni day in un personale “Vaffa-day” ai successori, un addio amaro e polemico.
Due schiaffoni del fondatore hanno preceduto e seguito il discorso d´insediamento di Maroni, molto programmatico, piuttosto lungo, un po´ noioso. Il vecchio leone invece ha dato spettacolo. Nel primo intervento Bossi ha distribuito una serie di pesanti messaggi alla nuova reggenza leghista. Un misto di accuse dirette e allusive, ironie sui moralizzatori con la scopa in mano, sospetti feroci di complotto ordito all´interno della Lega, perfino minacce di scissione («se non ci fosse più questa Lega, ci sarebbe un altro movimento»), i cui bersagli mai nominati ma evidentissimi erano Maroni e i suoi grandi elettori veneti, Zaia e Tosi. Tanto che Zaia è intervenuto per fermarlo, ricordando che il nuovo statuto è stato approvato all´unanimità. E qui Bossi ha tirato il primo schiaffo: «Vado a vedere se mi avete imbrogliato». Gli ha voltato le spalle e se n´è andato. Dopo l´arringa di Maroni, il Senatur è tornato sul palco per prendersi l´ultima parola e raccontare la famosa storia delle due madri davanti al re Salomone. Metafora chiarissima, dove la madre buona (Bossi), pur di salvare la vita del bambino conteso (la Lega), lo cede alla madre usurpatrice (Maroni). Due belle mazzate, non c´è che dire.
Ora, il passaggio di consegne fra Bossi e Maroni sarebbe stato arduo anche con alle spalle un partito unito e solidale, ma così diventa un suicidio politico. Perché la Lega è stato il più personale dei partiti, il più dipendente dalla figura del capo e fondatore, dal quale discendeva la stessa identità del movimento. Più delle idee, dei progetti e dei sogni, più del federalismo e della secessione, del mito Padania e di «Roma ladrona», la Lega è stata per vent´anni l´immagine riflessa di Umberto Bossi. Un uomo delle valli con una canottiera azzurra, il sigaro appeso al sorriso strafottente, e sullo sfondo le villone di Berlusconi e i palazzi del potere. Prima di ieri, era problematico sostituire questa immagine rozza e potente con quella di un avvocato della Varese bene, simpaticamente innocuo, con l´hobby del sax e una collezione di vezzosi occhialini colorati. Ma dopo la maledizione del fondatore, diventa impossibile.
Nella migliore delle ipotesi, la Lega di Maroni può provare a blindarsi nelle roccaforti locali, diventando una filiale provinciale del berlusconismo. Sembra più o meno questo il progetto del nuovo direttorio composto da Maroni, Zaia, Tosi e Salvini. Se Berlusconi accetta di mollare Formigoni, nella primavera prossima Bobo Maroni si candiderà alla successione del governatore in Lombardia per il centrodestra. L´elezione non è affatto scontata, ma la Lega punta sul solito masochismo del centrosinistra e sull´aiuto esterno di Grillo, che potrebbe abbassare di molto la quota necessaria per vincere. Con il governo delle regioni dove si producono due terzi del Pil nazionale, la Lega di Maroni potrebbe quindi garantirsi un altro decennio di potere. Niente più sogni di gloria e miraggi rivoluzionari, s´intende, ma ancora posti, soldi, poltrone importanti, sia pure nella ridotta, ma comoda dimensione di un partito «catalano». Stare al governo in Lombardia e in Veneto, ma all´opposizione a Roma, sarebbe la condizione ideale per proseguire anche nella stagione maroniana il gioco fortunato della Lega di lotta e di governo, un piede dentro e uno fuori le istituzioni. Il punto debole di questo progetto è che si fonda sull´alleanza con Berlusconi, al quale della sopravvivenza della Lega e perfino del Pdl, non frega nulla. A Berlusconi interessa non far fallire le proprie aziende e quindi stare al governo, con chiunque.
Nella peggiore delle ipotesi, la nuova Lega rischia di implodere in una guerra per bande locali e di consegnare altre quote di voti a Beppe Grillo, fino alla completa estinzione. I segnali ci sono già. La minaccia di Bossi di fondare un nuovo movimento non è affatto campata in aria. Il Senatur tiene famiglia, com´è noto, e controlla ancora un pezzo del movimento. Se i successori non gli daranno una quota di nomine, lui ha chiesto il 20 per cento, è pronto a chiamare le truppe alla rivolta.
Nel caos dei prossimi mesi, è difficile prevedere come e dove andrà a finire la Lega. Conta anche la sorte e Maroni finora non è stato un principe fortunato. Ha lanciato la candidatura alla vigilia di una tremenda batosta elettorale, si insedia nel fuoco delle polemiche. Perfino il giorno del congresso, deciso da mesi, coincide con una giornata storta per la Lega, quella della finale di calcio, col Paese imbandierato di tricolori.
La Repubblica 02.07.12