Il Consiglio dei ministri per fortuna ieri non c´è stato. Sarebbe stato una specie di gabinetto di guerra, con misure draconiane da adottare per rassicurare i mercati in caso di fallimento del vertice europeo. In questo pericolo scampato, il principale risultato raggiunto a Bruxelles. C´è stato un accordo, che fa un primo passo nel separare la crisi bancaria dalla crisi dei debiti pubblici. Questo ci fa guadagnare tempo perché il fronte oggi è in Spagna dove l´intreccio fra i due problemi stava aprendo una voragine. Guai a non sfruttare questa breve pausa. La riunione dell´eurogruppo del 9-10 luglio prossimi dovrà perfezionare l´accordo, mentre in Italia deve riprendere subito un´agenda di riforme che si è interrotta negli ultimi mesi.
L´emergenza continua anche perché lo scudo anti-spread non c´è. Le linee guida dei due fondi salva-stati sono rimaste le stesse di prima: il nuovo fondo, l´Esm, potrà come già previsto intervenire direttamente all´emissione di titoli di Stato (la Bce e il fondo attuale, l´Efsf, possono comprare titoli solo sul mercato secondario) permettendo in linea di principio a un Paese in difficoltà di non doversi finanziare alle condizioni di mercato quando i tassi sono troppo alti. Ma non ci sarà alcun automatismo nell´intervento dell´Esm. Il Paese interessato dovrà formulare richiesta d´aiuto, ci sarà una procedura formale da avviare, un Memorandum d´Intesa da sottoscrivere, dunque un´umiliazione politica e forse anche una stigmatizzazione economica per il Paese che richiede l´intervento. Certo, non è più contemplato il coinvolgimento del Fondo monetario internazionale, non ci sarà più la temibile troika (Fmi, Commissione e Bce) e le sue pesanti condizioni, ma ci sarà pur sempre una doika di istituzioni europee cui sottostare. Per questo Monti si è affrettato a sottolineare che l´Italia non intende avvalersi dell´aiuto del fondo: un commissario non può essere, a sua volta, commissariato. Inoltre il nuovo fondo avrà una potenza di fuoco limitata: 80 miliardi in dotazione, con la possibilità di finanziarsi sui mercati fino a 500 miliardi. Ma l´esperienza dell´Efsf ci dimostra come sia facile perdere la tripla A non appena ci si indebita per finanziare i Paesi in crisi. Inoltre, 100 miliardi verranno presumibilmente destinati alla ricapitalizzazione delle banche spagnole e altri 100 serviranno a permettere a Irlanda e Portogallo di non andare sui mercati nel 2013. Tenendo poi conto degli impegni già presi dal vecchio fondo, che in parte ricadranno sull´Esm, e delle richieste che verranno da Cipro (si parla di 10 miliardi) e Slovenia (5), ci si accorge che lo scudo è davvero molto sottile, quasi trasparente. Speriamo che i mercati non vogliano testare la sua capacità di resistenza.
I veri passi in avanti del vertice riguardano la cosiddetta unione bancaria europea. La Bce potrà esercitare la supervisione sulle banche della zona Euro. E il fondo salva-stati potrà intervenire direttamente per ricapitalizzare quelle banche che verranno identificate dalla Bce, senza dover passare necessariamente attraverso i governi nazionali. Questo permetterà a istituzioni pan-europee di esercitare condizionalità, imponendo ad esempio l´azzeramento del management delle banche mal gestite e facendo pagare ai loro azionisti il costo del salvataggio. Ci vorrà comunque del tempo dato che il nuovo ruolo del fondo potrà essere esercitato non prima del trasferimento delle funzioni di sorveglianza alla Bce, presumibilmente non prima di un anno.
Parecchi dettagli sul pacchetto per la crescita da 120-130 miliardi devono ancora essere chiariti. In base ai documenti disponibili, sembra uno specchietto per allodole. Questo spiegherebbe perché è stato abilmente utilizzato dalla delegazione italiana come ostaggio nel dividere il fronte franco tedesco, nonostante il nostro Paese sia quello maggiormente interessato alle politiche per la crescita. Potevamo permetterci il lusso di bloccare questo pacchetto di misure perché non è certo da questi interventi che dipende la crescita europea. Poche le risorse aggiuntive ed eroiche le ipotesi sull´effetto leva che dovrebbe moltiplicarle. Il finanziamento di 10 miliardi alla Bei permetterà di portare fuori bilancio fino a 60 miliardi di spesa per investimenti che miracolosamente dovrebbero attivare 180 miliardi di investimenti privati. Poi ci sono altri 55 miliardi di fondi strutturali rimessi in circuito, ma comunque già stanziati. Infine, ci sono 230 milioni destinati a project bonds che potrebbero (con una leva a 17!) arrivare a finanziare fino a 4 miliardi di investimenti. È quest´ultima la vera dimensione degli eurobond allo stato attuale: 4 miliardi su un debito totale dell´eurozona di più di 8000 miliardi.
Il vertice è servito a chiarire su quale asse sarà possibile fare ulteriori passi in avanti nella gestione comune della crisi del debito: la Germania è disposta a condividere l´onere del debito solo a fronte di tangibili cessioni di sovranità. I salvataggi bancari diretti saranno possibili solo quando si potranno saltare i governi nazionali e imporre direttamente condizioni al management delle banche coinvolte. Gli acquisti di titoli sul mercato primario saranno possibili solo quando i Paesi che ne fanno richiesta accettano di sottostare alle condizioni imposte dalla Commissione. Di qui al farsi scrivere i bilanci dalla Commissione e a farli votare dal Parlamento europeo il passo è relativamente breve. È una posizione, quella tedesca, non priva di legittimità. Ci dice, dopotutto, che non ci può essere più forte integrazione economica senza più forte integrazione politica. Nel progredire in questa direzione è fondamentale assicurarsi che la cessione di sovranità avvenga solo a istituzioni veramente sovranazionali. Ad esempio, il nuovo ruolo della Bce dovrebbe essere accompagnato dallo smantellamento delle banche centrali nazionali, che continuano a condizionare fortemente l´operato dell´Eurotower (è stata la Bundesbank a bloccare il programma di acquisti di titoli di Stato della Bce).
Il nostro Paese può giocare un ruolo importante in questo processo, l´unico che può davvero metterci al riparo da chi scommette sulla fine dell´Euro. Sarà un cammino lungo dato che il comunicato finale del vertice non fa alcun riferimento al documento dei quattro presidenti (Van Rompuy, Barroso, Juncker e Draghi) che proponeva molto timidamente una maggiore integrazione delle politiche fiscali. Al di là delle abilità negoziali e della credibilità personale del nostro Presidente del Consiglio, conteranno i progressi compiuti in Italia nell´attuazione di quelle riforme che servono per tornare a crescere. Per questo non sono ammessi ulteriori ritardi nella spending review. Bisogna costruire una constituency a favore dei tagli alla spesa pubblica, condizionando a questi non solo il mancato aumento dell´Iva a settembre, ma soprattutto una riduzione della pressione fiscale sul lavoro, fondamentale per arrestare la crescita della disoccupazione e renderci più competitivi nel raggiungere le parti del mondo che continuano a crescere. Abbiamo anche bisogno di sapere qual è l´agenda di riforme da qui alla fine della legislatura. Importante che questa affronti anche i nodi irrisolti del nostro sistema creditizio, che dovrà sottostare a una sorveglianza europea più severa di quella attuale: le ricapitalizzazioni operate svenando le fondazioni bancarie, dunque risorse pubbliche, anziché mettendo le mani in tasca agli azionisti, come nel caso del Monte Paschi di Siena, difficilmente possono passare indenni allo scrutinio di istituzioni così lontane dagli interessi locali.
La Repubblica 02.07.12
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