La signora Vittorina esce dalla tenda vestita di tutto punto. «Più tardi c’è la Messa », dice. La borsetta in una mano, un ventaglio nell’altra. «Il caldo? C’è sempre stato. Certo, fossi a casa mia…». Una casa di campagna, crollata assieme alla stalla. «Anche nell’ora più calda, sotto il noce, si stava sempre bene. E facevo corrente, fra la cucina e la cantina. I muri erano forti, tenevano fuori il freddo e il caldo». Adesso è arrivato Caronte e la nuova «casa», la tenda della Protezione civile, sembra ancora più fragile. Si usa ogni mezzo, in questa guerra fra i terremotati e il caldo che toglie il respiro. In ogni tenda c’è il condizionatore e molte sono coperte dagli «ombreggiatori ». Ma basta entrare in una di queste case di tela per sentirsi soffocare. «Durante il giorno — dice Marco Cestari, responsabile della Protezione civile di Finale Emilia — non puoi resistere. Con otto persone, dopo poco tempo, anche con il condizionatore devi cambiare l’aria, e se apri la porta o la finestra entra la vampata di calore».
Trentatré gradi a mezzogiorno, poi il termometro sale. I display dei distributori di benzina segnano anche 42 e 44 gradi. Qui a San Felice la tendopoli delle scuole medie è in un parco, a Finale la tendopoli 2 è sul cemento di una pista di pattinaggio. «Può sembrare strano — racconta Samir Abou Merhé, il medico coordinatore sanitario di Mirandola e dei Comuni vicini — ma ad essere colpiti dai colpi di calore sono più i volontari che i terremotati. Se devo fare una statistica, su 10 persone colpite da insolazione ben nove sono volontari o addetti ai lavori. Operano sotto il sole, per montare tende o altri servizi, oppure si trovano sotto una lamiera davanti a pentoloni giganti per dare da mangiare a 500 persone ».
Dopo 40 giorni di tenda ci sono già le abitudini. Ogni anziano sceglie il suo «posto fisso» — a fianco di un container, sotto un
albero, accanto alla tenda dell’infermeria — per cercare una fetta d’ombra e un filo d’aria. «Non abbiamo avuto drammi — spiega il dottor Abou Merhé — anche perché gli anziani più fragili, con l’intervento della Regione, sono stati mandati in montagna o al mare. Con loro anche le famiglie con molti bambini. Ma ci sono anziani che non vogliono andare lontano da casa. Dormono in tendopoli così ogni giorno possono andare a vedere il loro appartamento, oppure vivono in un camper nel giardino di casa. Noi andiamo ad assistere anche quelli. I medici di base non hanno più l’ambulatorio ma sono ogni giorno nei campi a fianco dei loro pazienti. Con il sisma, si è rotta però un’alleanza che sembrava inattaccabile: quella fra gli anziani e le loro badanti. Molte di queste donne sono scappate, dopo le grandi scosse e solo poche sono tornate. Per ora gli anziani sono assistiti al mare o in montagna, o sono in tenda assieme ai loro familiari, ma quando torneranno a casa non avranno più l’assistente romena o moldava». «Ogni mattina — racconta Mario Ferrari, capocampo a San Felice — le infermiere entrano nelle tende degli anziani — qui da noi sono una cinquantina — per misurare la pressione, vedere se ci siano casi di disidratazione. Abbiamo avuto un caso stamane, è bastata una flebo per risolvere la situazione». Il caldo porta però tensione e nervosismo. Basta guardare i nomi scritti sulle tende, come fossero campanelli di un condominio. Angiolina, Umberto ed Elvira sono in tenda con Kaur, Singh e Hamza. «Dopo tanti giorni — racconta Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia — la convivenza si fa difficile. Ma questo succederebbe anche se tutti fossero italiani. Non puoi passare giorni e giorni senza fare nulla, come sono costretti a fare centinaia di cassintegrati e disoccupati. Per togliere l’ansia e la tensione, bisogna dare risposte precise a chi chiede quando riaprirà la fabbrica, quando potrà tornare a casa e soprattutto chi pagherà i danni. Per martedì noi sindaci siano convocati in Regione e il presidente Vasco Errani ci dirà in che percentuale lo Stato rimborserà i soldi per la ricostruzione. Solo così potremo sapere se possiamo ripartire o no. Io per l’emergenza ho già speso 3 milioni che non ho. Per abbattere un solo condominio ho speso 85.000 euro più Iva. Dallo Stato non è ancora arrivato un soldo. Da un paesino dell’Abruzzo, Opi, mi hanno mandato 650 euro, in contanti. Sono 60 abitanti in tutto. Mi hanno fatto piangere».
La Repubblica 01.07.12