La repubblica di San Marino ha riconosciuto in questi giorni le convivenze tra omosessuali. Il riconoscimento è entrato attraverso la legge che stabilisce che il permesso di soggiorno nella repubblica del monte Titano verrà garantito anche al partner straniero in quanto convivente, senza specificazione di sesso e di legame matrimoniale. La legge approvata a larga maggioranza (e con l’opposizione della Democrazia Cristiana) è stata salutata dai sostenitori come un atto di giustizia che mette fine a una palese discriminazione. A questa vittoria di civiltà dovrebbero ispirarsi i democratici italiani. Tra i quali il tema del riconoscimento delle coppie omosessuali è ragione di divisione, di separazione laici e cattolici tradizionalisti. Le ragioni di giustizia sono una ragione di diritti uguali, un principio difficile da metabolizzare come le reazioni al documento del Pd sui diritti ha provocato (ragioni bene analizzate su questo giornale da Chiara Saraceno). La difficoltà riflette quella che è forse la più importante questione della modernità: la tormentata relazione del pensiero cattolico con il liberalismo dei diritti individuali.
In un pregevole studio su
Chiesa e diritti umani
appena uscito presso Il mulino, Daniele Menozzi ci offre una chiara mappa storica e concettuale di questa tormentata relazione. Il libro si chiude con la menzione del recupero in anni recenti (soprattutto sotto questo pontificato) della dottrina della legge naturale con l’intento ideologico di contrastare l’ideologia liberale, la sua difesa di principio dei diritti individuali, primo fra tutti quello della scelta in questioni morali. La filosofia della legge naturale, impressa da Dio nel cuore degli uomini e interpretata dalla Chiesa che ne è il custode supremo in terra, si propone esplicitamente come alternativa alla filosofia che, a partire dalla Dichiarazione dei diritti del 1789, si è imposta come la sfida più radicale al potere della trascendenza religiosa nella vita civile e politica. Cadute le ideologie totalizzanti che hanno mesmerizzato le società europee del ventesimo secolo, queste due letture dei diritti e della libertà – l’una tomistica e l’altra liberale– sono a tutti gli effetti le due visioni antagonistiche che si confrontano oggi.
La tensione non è peculiare al nostro paese, benché da noi si esprima con la forza di una tradizione religiosa che è largamente maggioritaria. Basti ricordare che il Presidente Obama, che qualche mese fa difese esplicitamente il riconoscimento delle unioni omosessuali, si è tirato addosso la condanna feroce dei cristiani di tutte le denominazioni, dagli evangelici fondamentalisti ai cattolici tradizionalisti. Una simile reazione, benché nei toni più civile e contenuta, si manifesta in Italia verso la proposta di Bersani di includere il riconoscimento delle coppie gay nel programma del Pd. L’obiezione all’interno del partito ha avuto nell’Onorevole Fioroni il suo portavoce. L’argomento usato da Fioroni è inquietante e consiste nel mettere su un piatto della bilancia le urgenze economiche che assillano la maggioranza degli italiani e sull’altro la proposta di sollevare le coppie omosessuali dallo stigma e dall’ineguaglianza di considerazione da parte dell’autorità pubblica. Di fronte all’erosione del benessere delle famiglie, ai problemi della disoccupazione, che senso ha preoccuparsi di una questione che pertinenze solo a una minoranza di italiani/e? C’è il rischio che questa strategia retorica sia efficace poiché in tempi di crisi i diritti possono apparire un lusso. Ma è pernicioso fare uso di questa strategia. I diritti individuali – di uguale considerazione e non discriminazione – non sono negoziabili, mai. Le esigenze economiche non valgono né devono valere a mettere un fermo ai diritti.
È comprensibile che un fedele che voglia essere coerente al magistero della Chiesa si senta a disagio con una cultura civile che mette il bene dell’individuo, la sua dignità di considerazione e la sua libertà di scelta morale, al primo posto, prima dell’interesse della comunità. Ma i diritti, quelli contenuti nella costituzione, non sono stati scritti per la maggioranza e nemmeno per proteggere una specifica comunità o particolari visioni della vita buona. I diritti sono stati scritti per le minoranze, per chi non ha altro baluardo contro la volontà della maggioranza se non lo scudo del diritto. E la democrazia moderna ha accettato di limitare la sfera di decisione della maggioranza per una ragione che è intrinseca: perché presume che è possibile che anche quelle persone che oggi sembrano non averne bisogno (perché la loro vita scorre lungo i binari della morale della maggioranza) domani potrebbero per le ragioni più disparate trovarsi ad essere minoranza. Poiché non possiamo ipotecare il futuro, i diritti individuali sono di tutti e per tutti, non di una minoranza; sono stati scritti proprio per impedire che il legislatore decida quando e con chi rispettarli. Senza di essi avremmo uno stato fondato sull’imperio della forza.
Tornando ai fondamenti ideali delle due culture, quella liberale e quella cristiana, la tensione riguarda quindi non la morale individuale, ma l’estensione del potere politico. Infatti che gli omosessuali o altre minoranze godano di diritti uguali non significa che lo Stato prescriva ai suoi cittadini di usare quei diritti. I diritti sono prescrittivi per lo Stato, non per il singolo. Dunque, il problema che angustia il cattolico tradizionalista non riguarda la scelta morale delle persone ma il comportamento dello Stato, il fatto che lo Stato faccia un passo indietro nella definizione di quale sia la giusta forma di convivenza o di scelta sessuale. Dietro alla tensione tra le due visioni dei diritti, sta la vera tensione, quella che riguarda il ruolo del pubblico. Rispetto al quale la Chiesa non intende abbandonare la sua millenaria missione di rendere la legge e la vita civile coerente al dettato, non di una costituzione politica, ma della dottrina religiosa. Il contenzioso è allora ben più radicale di quello che la discussione sui diritti delle coppie omosessuali implica. Anche per questa ragione, aprire un contenzioso sui diritti – quali e per chi – è inquietante.
La Repubblica 01.07.12