Da Bruxelles il presidente del Consiglio porta a casa la ricetta di una discreta stabilità politica. All’improvviso tutte le discussioni, peraltro fuorvianti e mediatiche, sulle elezioni anticipate in autunno vanno fuori corso come la vecchia moneta. Era abbastanza ovvio e il capo dello Stato aveva già chiarito il punto prima del vertice europeo.
Ma tant’è: le nevrosi politiche si auto-alimentano finché un evento spezza il cortocircuito.
Questa volta gli eventi sono due, legati insieme dal filo misterioso delle coincidenze. La vittoria della nazionale di calcio contro la Germania e subito dopo il successo personale di Monti nel definire l’intesa europea hanno creato quella speciale miscela che si realizza in certi frangenti storici e determina svolte significative. I fautori del rovesciamento del tavolo governativo e della corsa al voto si sono fatti silenziosi. Come dice Giuliano Cazzola, «nel Pdl alla fine hanno avuto ragione i pro-Monti».
Quei pro-Monti, si potrebbe aggiungere, che per giorni avevano dovuto subìre la dura offensiva interna dei falchi anti-governo. Con Berlusconi ambiguo fra le due posizioni, finché all’ultimo, con quell’intuito realistico che è una delle sue caratteristiche, ha lasciato pendere la bilancia dalla parte dei pro-Monti. Ma in forme tali da non scontentare il fronte degli intransigenti, appagati con le arringhe contro l’euro e le bizzarre promesse di tornare in campo come ministro dell’Economia.
Ora dunque si volta pagina. La legislatura farà il suo corso fino alla primavera del 2013 e si apre uno spazio di manovra per il premier. Il quale non è «debolissimo», come sostiene Roberto Maroni, un altro che desiderava ben altro esito per l’incontro di Bruxelles. Sotto certi aspetti si potrebbe dire che da oggi nasce un nuovo governo Monti, senza bisogno di «rimpasti» o di ritocchi. Nasce grazie alle circostanze, dal momento che la prospettiva di avere davanti alcuni mesi di lavoro si traduce di per sé in un elemento di forza e non certo di debolezza dell’esecutivo. E poi perché i partiti, tutti, devono rivedere i loro conti.
Il risultato di Bruxelles impone all’esecutivo di accelerare sulla via delle riforme strutturali interne. Si potrebbe dire che Monti è stato «rilegittimato» dall’Europa e questo equivale a un’iniezione di fiducia che dovrebbe imprimere alla sua azione lo stesso slancio dei primi mesi, quelli a cavallo fra 2011 e ’12, i migliori.
È, come si dice, una finestra di opportunità per il presidente del Consiglio. Ma è soprattutto un’occasione, forse l’ultima, per le forze politiche. Ora che i giochi sono fatti e che nulla impedirà al governo di coprire i prossimi otto-nove mesi, i partiti della non-maggioranza possono scegliere se dedicarsi alla mini-guerriglia parlamentare ovvero costruire due schieramenti capaci di definire la propria identità intorno al programma europeo. Lo stesso sulla base del quale Monti ha riottenuto la fiducia dei partner.
Sia il Pdl sia il centro-sinistra sono in ritardo rispetto a questo obiettivo, l’unico che permetterebbe alle forze politiche di presentarsi di fronte all’elettorato, nel 2013, con un profilo rinnovato e una proposta convincente. Il che naturalmente ci porta nel cuore della questione politica dei prossimi mesi: come dare continuità all’esperienza di Monti senza disperderla nel pantano di un dibattito provinciale? A parole sia Alfano sia Bersani, per non parlare di Casini, si dimostrano consapevoli della posta in gioco. In realtà davanti a loro la strada è in salita perché è stato perso troppo tempo. Ma il 29 giugno è forse una linea discriminante oltre la quale anche la politica non potrà più essere quella di prima.
Il Sole 24 Ore 30.06.12