Prima di tratteggiare alcuni aspetti dell’indagine conoscitiva che mi sono parsi particolarmente significativi, desidero ringraziare il Presidente della Camera, il Ministro Profumo, i colleghi parlamentari e tutti gli illustri ospiti intervenuti a questa presentazione pubblica dell’indagine conoscitiva sullo stato della ricerca in Italia condotta dalla VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati.
Desidero altresì riconoscere all’on. Antonio Palmieri e all’on. Luigi Nicolais di avere promosso l’indagine conoscitiva e di averla seguita con passione durante tutto il lungo iter. A Luigi Nicolais – credo di interpretare il sentimento di tutti i colleghi – indirizzo un particolare saluto, poiché egli ritorna alla Camera in qualità di presidente del massimo ente pubblico nazionale di ricerca
Un ringraziamento va alla collega on. Valentina Aprea, sotto la cui presidenza di Commissione si è svolta l’indagine conoscitiva e che, impossibilitata a partecipare, mi ha pregato di rivolgere a tutti i presenti un saluto di amicizia.
A nome della Commissione VII la nostra gratitudine va poi a tutti coloro che hanno accettato di essere auditi, partecipando con estrema professionalità e lasciando alla Commissione i loro preziosi documenti di analisi, ciascuno dal proprio punto di osservazione privilegiato.
Infine un ringraziamento particolare va a tutti i colleghi componenti della Commissione VII: sono merito loro gli approfonditi dibattiti che hanno portato a redigere il documento conclusivo, poi approvato all’unanimità dalla Commissione come segno importante del ruolo cruciale che il Parlamento, senza distinzioni di parti politiche, assegna alla ricerca per il futuro del nostro Paese.
Vorrei ora offrire alla comune riflessione, tre aspetti dell’indagine conoscitiva che mi paiono particolarmente indicati anche per assumere decisioni future.
Il primo è quello del confronto internazionale, in particolar modo europeo, in cui l’indagine conoscitiva pone lo stato della ricerca in Italia e di cui il documento conclusivo porta testimonianza, per i continui rimandi tra la situazione nazionale e quella internazionale.
Questo confronto, grazie anche a tutti gli interventi dei presidenti degli enti pubblici nazionali di ricerca, ha contribuito a fare emergere alcune delle criticità del nostro sistema di ricerca.
Dall’esempio statunitense, ad esempio, giunge chiara l’importanza di un centro nazionale di coordinamento delle strategie della ricerca, anche sotto il profilo dell’azione legislativa: l’assenza di una tale struttura in Italia è particolarmente avvertita.
Altre indicazioni vengono poi dai confronti statistici internazionali i quali pongono, purtroppo, il nostro Paese decisamente indietro rispetto al resto dell’Europa, per quanto riguarda ad esempio il finanziamento della ricerca e il numero dei ricercatori, con forti discrepanze interne tra le macroregioni italiane.
La quota di PIL italiano destinata alla ricerca non riesce a staccarsi dall’1,1% a fronte di una media europea oltre il 2%, il che ci pone in situazione di svantaggio competitivo anche tenendo conto della particolare situazione del nostro Paese, con un tessuto industriale estremamente frammentato e con molta ricerca sommersa proprio per questo motivo.
Anche se “la piaga” dello svantaggio finanziario non costituisce una remora ineliminabile per i nostri ricercatori: molti presidenti di enti segnalano il deciso balzo in avanti dell’autofinanziamento di gruppi di ricerca che recuperano fondi sul “mercato” internazionale (il cosiddetto fund raising) e così tamponano, almeno in parte, le falle di bilancio dovute alla stasi, nella migliore delle ipotesi, o, più spesso, ai tagli del finanziamento pubblico.
Un vero svantaggio deriva invece, come sottolineato da Eurostat, dal basso numero di ricercatori rispetto alla popolazione e al PIL, con una conseguenza diretta, ad esempio: in termini finanziari recuperiamo solo l’8% dei fondi del Programma Quadro dell’UE a fronte di un contributo nazionale che si situa attorno al 12%.
Tuttavia, se si rapporta il dato al numero dei ricercatori si scopre che le risorse europee che ogni ricercatore italiano in media si procura sono perfettamente allineate con quelle dei ricercatori degli altri paesi. In particolare, se guardiamo ai fondi ERC-IDEAS, vi sono moltissime domande di giovani ricercatori italiani rispetto ai pochi vincitori, ma se rapportiamo il numero dei vincitori al totale dei ricercatori italiani, scopriamo che il dato italiano è tra i migliori di Europa. Semmai dobbiamo registrare con preoccupazione che molti vincitori italiani scelgono di sviluppare il loro progetto all’estero, dove evidentemente possono contare su infrastrutture, condizioni di lavoro e attenzione migliori. Potremmo dire con uno slogan su cui riflettere “siamo bravi anche se siamo pochi”.
E a questo proposito, occorre poi aggiungere che non solo i ricercatori sono pochi ma si procede anche a farli diminuire con blocchi parziali del turn-over – soprattutto negli enti pubblici e nelle università – o a farli scappare all’estero per i molti lacci burocratici che ne affliggono la vita professionale: e per lo stesso motivo non riusciamo ad attrarne dagli altri Paesi.
Insomma, l’indagine mostra, senza alcuna paura, che la ricerca in Italia soffre di una scarsità di finanziamenti, pubblici e privati, e di una carenza di persone ad essa dedicate. Altresì, e sebbene tale contesto, l’indagine mostra ancora oggi una buona qualità media della ricerca che la posiziona certamente tra i maggiori attori internazionali in questo campo.
Il secondo aspetto che vorrei tratteggiare è quello del governo del sistema. Nonostante le molte riforme degli ultimi vent’anni, a giudizio unanime, il sistema italiano della ricerca soffre ancora di molti dei suoi storici difetti: frammentazione delle competenze e delle risorse, tempi lunghissimi e metodologie spesso discutibili per il finanziamento dei progetti, poca attenzione a sostenere tutti gli aspetti della filiera della ricerca, da quella liberamente guidata dalla curiosità dei ricercatori, spesso impropriamente chiamata “ricerca di base” anche se riguarda discipline a forte contenuto tecnologico e applicativo, a quella precompetitiva e industriale. Vorrei ricordare che è proprio la ricerca libera che porta a scoperte rivoluzionarie e che da essa sono avvenuti i maggiori avanzamenti culturali, scientifici e tecnologici.
Ma le criticità non si fermano qui; nel corso dell’indagine molti soggetti hanno sollevato il problema degli investimenti e dei finanziamenti, sia pubblici che privati, alla ricerca: si pensi agli strumenti creditizi inadatti al mondo della ricerca pubblica, a quelli delle imprese spin off, al credito d’imposta per le imprese afflitto da burocrazia, discrezionalità nel riparto e tempi lunghi di erogazione.
Vi è, poi, il tema dell’autonomia della ricerca, in termini di regole di finanziamento e di valutazione dei risultati. La ricerca ha ben presente la “responsabilità” che le spetta di dover “rispondere” al Paese e ai cittadini, il cui benessere, culturale e sociale, è l’obiettivo di ogni avanzamento della conoscenza e di ogni ritrovato tecnologico.
Ma autonomia e responsabilità si coniugano bene solo nel confronto con agenzie indipendenti di finanziamento e di valutazione, indipendenti contemporaneamente dai poteri politici e da quelli accademici in senso lato.
Il terzo e ultimo aspetto è quello dei giovani. La ricerca senza giovani muore rapidamente perché il vero insostituibile innesco di ogni ricerca di successo è l’incontro tra la fantasia e la capacità di innovare dei giovani e l’esperienza e la competenza dei meno giovani.
Eppure il nostro Paese non solo ha pochi ricercatori, ha anche pochi “futuri” ricercatori, cioè pochi dottorandi e dottori di ricerca. Al confronto, la Francia, l’Inghilterra e la Germania hanno da tre a cinque volte i nostri dottorandi (per milione di abitanti).
In questa condizione muore la ricerca e in fondo muore anche l’università, che della ricerca è dimensionalmente il centro maggiore. Questa è una consapevolezza che a noi tocca far diventare senso comune!
Inoltre, non solo vi sono pochi dottorandi ma sono bassissimi i finanziamenti a loro disposizione per svolgere ricerca. A questo proposito occorre notare che anche l’Italia non sfugge al sistema gerarchico che tende a comprimere la vivacità dei giovani da cui spesso vengono le idee più creative. Servono allora regole e incentivi che consentano di finanziare i docenti più giovani sino ai laureandi, in modo da favorire lo svolgimento di ricerche preliminari in vista di finanziamenti nazionali e internazionali più cospicui.
Se mi è permesso un cenno personale, ho partecipato qualche giorno fa alla cerimonia pubblica con cui in Piazza Maggiore a Bologna sono stati consegnati i diplomi ai neo-dottori di ricerca dell’Alma Mater. Centinaia di giovani uomini e donne che avevano completato il loro percorso universitario sino al massimo livello e che erano tutti orgogliosi allo stesso modo dei risultati raggiunti, pur nei loro abiti e acconciature di fogge tutte diverse. Per loro, come ha sottolineato l’oratore ufficiale Umberto Eco, era quello il giorno in cui ciascuno inizia il proprio futuro. La fortuna nella loro vita professionale sarà un segno di fortuna per l’Italia intera, ma quanti di quei giovani lasceranno il nostro Paese in cerca di lidi più ospitali per chi fa ricerca? Un vero peccato, un vero inaccettabile spreco di risorse.
Anche di questo parla la nostra indagine conoscitiva, che non offre proposte di soluzioni ma solo dati e problemi su cui meditare. A fine legislatura è difficile varare interventi risolutivi di problematiche così antiche e complesse. Ma la Commissione che presiedo ha l’ambizione di aver offerto un quadro onesto e chiaro per chi ci governa ora e per chi sarà chiamato dagli elettori a guidare in futuro il nostro Paese. Un quadro dal quale partire, con saggezza e lungimiranza, per gli interventi normativi, spesso semplificativi, che tutto il mondo della ricerca reclama.
Concludo con una certezza che emerge dall’indagine: conoscenza, ricerca e innovazione sono l’efficace motore dello sviluppo, sono il fattore globale di crescita, sociale e culturale. Ecco perché non possiamo negare, la politica non può negare, conoscenza, ricerca e innovazione al Paese, a noi stessi, alle generazioni future.
Pubblicato il 26 Giugno 2012