Il guaio è che se gli altri non riusciranno a prendere decisioni efficaci, i cocci li dovrà rimettere insieme lui, subito dopo. Sulle spalle di Mario Draghi si ammassano compiti sempre più pesanti, il rischio di scontare anche gli errori altrui si fa forte. Oggi, in un ruolo insolito per un tecnico come lui, spiegherà al presidente francese François Hollande che per risanare l’euro occorre compiere importanti passi avanti verso l’unità politica.
Quali siano le strettoie tra cui si muove il presidente della Bce lo ha fatto capire ieri Jaime Caruana, suo amico da quando negli Anni 90 erano entrambi direttori generali del Tesoro, l’uno in Italia, l’altro in Spagna. Caruana, ora alla guida della Bri di Basilea, ha notato che in tutto il mondo, ma nell’area euro molto più che altrove, sempre di più si chiede alle banche centrali di rimediare a quanto i governi non riescono a fare.
Nell’immediato, se i risultati del vertice europeo di fine settimana risultassero deludenti, ricadrebbe tutta sulla Banca centrale europea la responsabilità di evitare che la crisi dell’area euro torni ad aggravarsi. I mercati finanziari lo attendono; così si spiega che nei giorni scorsi gli spread italiano e spagnolo siano calati. Hanno fiducia che Draghi riuscirà a inventarsi qualcosa.
Ma dentro la Bce diventa sempre più difficile compiere nuove mosse senza che i tedeschi della Bundesbank – ripetutamente rimasti in minoranza negli ultimi mesi – facciano conoscere all’esterno il proprio dissenso, con perdita di prestigiopertutti.Cosìèaccadutoanchevenerdì, dopo una decisione tecnica che mirava a dare più respiro soprattutto alle banche spagnole.
I margini che Draghi ha, divengono sempre più limitati. Può darsi che la Bce giovedì 5 luglio riducailsuotassoguidasottol’attuale1%,giàun minimo storico. Non basterà, perché all’interno dell’area euro il denaro una volta intermediato dal sistema bancario costa già troppo poco nei Paesi forti, troppo in quelli deboli; ovvero, le banche tedesche con le casse piene sono di nuovo soggette a brutte tentazioni speculative, le banche italiane penalizzano le imprese con credito scarso e caro.
La soluzione può essere solo una unione bancaria: «Ogni banca che opera nell’area euro deve divenire una banca europea» come suggerisce la Bri. Regole, vigilanza, strumenti di intervento e di garanzia comuni dovrebbero ridurre gli squilibri nel credito tra Paesi che tanto danneggiano economie come la nostra. Sta a Draghi qui contribuire al progetto comune da presentare al vertice dei governi il prossimo fine settimana. Nel quartetto di cui fa parte, insieme con Herman van Rompuy, José Barroso e il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker, è però essenziale stabilire come i vari pezzi unione bancaria, unificazione delle politiche di bilancio, unione politica – possono incastrarsi tra di loro.
Tutto sta nella «sequenza» (come lo stesso Draghi ha detto in un’altra occasione). In breve, Hollande vorrebbe dare priorità all’unione bancaria perché rilutta all’unione politica, Angela Merkel teme che l’unione bancaria senza unione politica accolli troppi oneri alla Germania. Sulla carta, il discorso tedesco fila: perché aiutare le banche spagnole con soldi dei nostri contribuenti se non sappiamo che ne fanno?
La risposta può essere solo nel costruire meccanismi trasparenti per condividere le responsabilità. A rafforzare in futuro i fondi di sostegno alle banche potrebbe essere quella tassa sulletransazionifinanziariedicuidatempoigoverni discutono; l’uso del denaro dei contribuenti dovrebbe tradursi in un reale potere delle istituzioni europee all’interno delle banche salvate, una sorta di nazionalizzazione-europeizzazione temporanea, proprio per sottrarle alle cricche di potere nazionale. Se ne troverà il coraggio?
La Stampa 25.06.12