Nel dibattito in corso attorno alla questione del merito c’è un uso di proposizioni assertorie che mal si concilia con il carattere più o meno probabile che si deve riconoscere alle conoscenze educative. Se si seguisse un criterio di maggiore prudenza, si eviterebbe di dare per scontate relazioni che, se pure qualche volta vere, sono anche in molti altri casi false, o di dubbia interpretazione.
Così, per esempio, affermare che premiando il merito (ovvero l’emergere nella popolazione di allievi con livelli particolarmente elevati di profitto) si attivano processi che migliorano il funzionamento delle scuole è un’affermazione di senso comune della quale non si può dire che sia vera, né che sia falsa. Quel che è certo, è che continuare ad accreditare tale senso comune non contribuisce ad accrescere la qualità del sistema educativo, perché ripropone vecchie logiche di conoscenza dei fenomeni che, non da oggi, avrebbero dovuto essere abbandonate e sostituite da argomenti più razionali, capaci di dar conto delle conoscenze che negli ultimi decenni la ricerca educativa ha gradualmente acquisito.
I sistemi scolastici costituiscono oggi realtà complesse che debbono essere indagate con procedure appropriate. Occorre analizzare la rete delle variabili che in qualche misura concorrono a definire la situazione di intervento e a far assumere a ciascun sistema questo o quell’andamento. E bisogna essere capaci di stabilire in quale misura tale andamento corrisponda agli intenti che ci si era proposti di conseguire, quali cambiamenti di contesto siano intervenuti a complicare il quadro degli interventi e quali si ritiene che sarebbero necessari per ricostituire l’equilibrio originariamente ipotizzato o per crearne uno nuovo, meglio rispondente alla necessità di adeguare la proposta d’istruzione all’evoluzione della domanda sociale.
In breve, la conoscenza educativa non può che essere il risultato di approcci dinamici, che facilitino una revisione continua delle interpretazioni: è il contrario del senso comune, che si fonda sul principio della conferma, per il quale ci si attende che ciò di cui si è avuta esperienza continui a manifestarsi in modi non troppo diversi in momenti successivi. Ma, come diceva John Stuart Mill, le inferenze fondate sulla conferma sono solo un terreno di coltura per il pregiudizio (nel senso etimologico, di giudizio formulato prima di conoscere adeguatamente il fenomeno al quale si riferisce). In altre parole, la conferma procede per semplice enumerazione di casi, e conserva il suo valore finché non si manifesti un caso contraddittorio.
Lo sviluppo del nostro sistema educativo soffre oggi per la mancanza di una cultura capace di riconoscere e valorizzare la contraddizione. Nella gestione del sistema, così come negli interventi che si vogliono introdurre, si rivela una cultura ingessata, ripetitiva, incapace di cogliere e interpretare le nuove esigenze che devono essere soddisfatte. I goffi tentativi di ammodernamento fondati su modifiche marginali delle pratiche, per esempio quelle legate all’uso di nuove risorse tecnologiche, non sono sostenute che da suggestioni acquisite di rimbalzo da altri settori della vita sociale. Il fatto è che un salto di qualità nella cultura del sistema educativo non potrebbe che derivare da un forte impegno nella promozione e nell’organizzazione della ricerca educativa. Non si può continuare a parlare di qualificazione del personale docente e non far nulla per acquisire la conoscenza necessaria a sostenere i nuovi profili professionali, di qualità degli apprendimenti senza chiedersi quali variabili debbano essere prese in considerazione per disporre di analisi approfondite (ben oltre quelle che possono ricavarsi da rilevazioni comparative, come quelle dell’Ocse), di merito senza disporre di modelli per interpretare i fattori generatori del successo o dell’insuccesso.
Quel che è peggio, la medesima confusione accomuna gli interventi dei politici e quelli dei tecnici, essendo sfumata, fino a venir meno, la differenza tra l’elaborazione di intenti che si collega al perseguimento di obiettivi a lunga scadenza (questo dovrebbe essere il compito del politici) e l’individuazione di soluzioni attraverso le quali procedere nella direzione sulla quale si manifesti più ampio consenso, trovando infine espressione in precisi enunciati legislativi (dovrebbero farlo i tecnici).
Per uscire dal pantano in cui ci si continua a trascinare si dovrebbe dar vita a una struttura nazionale cui demandare lo sviluppo della ricerca fondamentale sull’educazione e la promozione di quella applicata. E, perché possa costituire il punto di partenza per una ricostruzione della cultura educativa, dovrebbe trattarsi di una struttura del tutto autonoma dalla gestione del sistema scolastico.
Il Sole 24 Ore 25.06.12