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"Bersani: Pd senza padroni. Prima legge sulla cittadinanza", di Simone Collini

Neanche un accenno a Matteo Renzi e solo un passaggio dedicato alle primarie, sostanzialmente per dire che non bisogna pensarci adesso. Al centro dell’intervento con cui Pier Luigi Bersani chiude l’Assemblea nazionale dei segretari di circolo del Pd c’è invece altro. C’è la rivendicazione del fatto che il Pd è un partito «senza padroni»: «Non abbiamo padroni ad Arcore, a via Bellerio e neanche i padroni che arrivano via internet», dice con chiaro riferimento al Pdl, alla Lega e a Beppe Grillo. Ma soprattutto c’è un ragionamento già proiettato al dopo Monti, con una rassicurazione sulla «fase di rinnovamento» che si aprirà e con un «impegno» assunto pubblicamente.

La prima: «C’è una nuova generazione ormai di lungo corso sui territori, nelle amministrazioni, che salvo l’ausilio di qualche preziosa esperienza dovrà caricarsi le responsabilità che il Pd avrà nel governo del Paese». Il secondo: «La prima norma del nuovo governo di alternativa dirà che tutti i bambini che oggi nascono in Italia e non sono né immigrati né italiani saranno italiani» (su questo tema il Forum immigrazione del Pd ha organizzato per il 4 luglio un sit-it davanti a Palazzo Chigi).

L’Assemblea dei segretari di circolo (6.123 sparsi in tutta Italia) nelle intenzioni di Bersani segna non il via alla sfida con Renzi, nonostante la contemporaneità con l’appuntamento alla Leopolda e il guanto di sfida lanciato dal sindaco di Firenze («io credo che noi siamo maggioranza»). L’argomento primarie per la premiership (di cui si discuterà all’Assemblea nazionale del Pd fissata per il 13 e 14 luglio, che dovrebbe stabilire una deroga allo Statuto per consentire a Renzi di correre) viene toccato di sfuggita da Bersani, più che altro per rispondere alle perplessità sollevate da qualche segretario di circolo («vi garantisco che se ci son dentro anch’io non diventeranno una rissa») e per intimare di non mettersi ora a pensare alle primarie: «Ora abbiamo altro da fare, c’è l’Italia».

LA SFIDA PER IL DOPO MONTI
È proprio questa la sfida a cui pensa Bersani quando incita a lavorare per «aprire» il partito sui territori e a evitare dinamiche dettate dal «correntismo», quando ribadisce il sostegno del suo partito al governo «per quanto non ci sia facile» ma al contempo fa un ragionamento già proiettato al dopo Monti. La sfida, per Bersani, sarà da giocare su più fronti, contro «chi pensa di guidare stando ai box», contro un Berlusconi che vuole tornare in campo («ma se dopo dieci anni della sua cura non c’è più neanche il campo», ironizza) e contro il malcontento che c’è nel Paese per le misure adottate da un governo di cui Bersani vede «luci e ombre» («su queste siamo pronti ad assumerci impegni per il futuro») e che si riverserà anche sul Pd. «Avremo il battesimo vero del Pd dentro questa crisi», avverte, e «la sfida più impegnativa» dei prossimi mesi sarà «intercettare di nuovo il Paese ora ostile ai partiti»: «Tocca a noi sanare la ferita tra politica e società».
Da qui la volontà di rendere il partito più «aperto e inclusivo» di quanto sia oggi, le rassicurazioni sul rinnovamento e il lancio delle primarie per scegliere anche i candidati al Parlamento, anche se il leader del Pd ci mette l’«avvertenza» che sarà necessario avere nella prossima legislatura gruppi parlamentari con certe competenze: «Dobbiamo garantire la partecipazione e anche un nucleo di competenze, questo è buon senso». Come dice il responsabile Organizzazione del Pd Nico Stumpo aprendo i lavori, per la selezione dei parlamentari varranno comunque rispettate le regole statutarie, «che sono più stringenti di tante chiacchiere da bar che si sentono in materia»: «Tre mandati massimo e poche deroghe, al massimo per il 10% dei parlamentari uscenti. Tradotto circa trenta deroghe sui 945 candidati a Costituzione vigente. Si può fare di più, certo, ma non partecipo al gioco di chi la spara più grossa per un po’ di visibilità».

Chiaro il riferimento a Renzi, criticato anche da diversi segretari di circolo. Bersani invece pensa ad altro, in primis alle ripercussioni che potrebbero esserci sul piano nazionale se il Consiglio europeo di fine mese non dovesse portare agli esiti sperati: «Non credo possiamo dire che ci avviciniamo al vertice in condizioni di tranquillità. Problemi ci sono ancora, bisogna dare un segno di discontinuità e non di ulteriore traccheggiamento. Altrimenti ci saranno conseguenze non solo sul piano economico ma anche su quello culturale e politico».

Non sarà il Pd a far mancare il sostegno a Monti, anche perché, dice Bersani, «l’emergenza che c’era non è scomparsa» e perché il Pd «vincerà, ma non sulle macerie del Paese bensì su una prospettiva per l’Italia». I movimenti di Berlusconi però preoccupano. Uno showdown in autunno impedirebbe a Bersani di portare a compimento il percorso pianificato, che prevede il cambio di legge elettorale, la definizione di una «carta di intenti» da far sottoscrivere a chi vuol far parte della coalizione dei progressisti e le primarie per la premiership. Quando si riunirà l’Assemblea nazionale del Pd, a metà luglio, il quadro sarà sufficientemente chiaro per capire quali di questi tre obiettivi sarà possibile raggiungere.

l’Unità 24.06.12