Salva la legge sull’aborto. La Consulta ha dichiarato «manifestamente inammissibile » la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, il nocciolo della 194, che consente e disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia. Il ricorso era stato presentato da un giudice tutelare di Spoleto mentre esaminava il caso di una diciassettenne che, tacendo la gravidanza ai genitori, si era rivolta a un consultorio spiegando di «non essere in grado di crescere un figlio». Su un’analoga vicenda, il 10 maggio scorso la Consulta ha respinto l’eccezione di un giudice di Siracusa. Nessuna rivoluzione, dunque. Nonostante le speranze del Pdl.
Se la decisione fosse stata diversa, sarebbe saltato l’intero l’impianto della legge. Il giudice di Spoleto aveva sollevato dubbi ritenendo inficiati gli articoli 2 (diritti inviolabili dell’uomo) e 32 (sulla salute) della Costituzione. E ha incardinato la sua tesi su una sentenza della Corte di giustizia europea in materia di brevettabilità dell’embrione, definito «soggetto da tutelarsi in materia
assoluta». Le motivazioni della Consulta saranno scritte dal giudice Mario Rosario Morelli, che nel novembre 2008 fu relatore della sentenza con cui la Cassazione favorì l’interruzione dell’alimentazione ad Eluana Englaro. Una prima interpretazione tecnica la fornisce Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale. «È di natura processuale e non di merito – dice -Riguarda in via preliminare, in casi di questo tipo, il ruolo del giudice tutelare. Quest’ultimo non è chiamato ad autorizzare o meno la ragazza, cioè non partecipa alla volontà abortiva della minorenne, ma deve solo verificarne la adeguata maturità». Insomma non era il magistrato che doveva autorizzare la diciassettenne ad abortire, la richiesta di cui lo avevano investito i servizi sociali riguardava «solo la maturità » della minore. «Questa è la quarta volta – ricorda l’avvocato Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni –
che la Consulta respinge procedimenti sollevati dai giudici tutelari, perché la questione è completamente estranea alle loro funzioni». Di fatto devono semplicemente autorizzare a prendere una libera decisione.
«La legge 194 è inattaccabile, bisogna solo applicarla», commenta Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd. Ignazio Marino sottolinea come i consultori «siano ormai poco più di 2000, circa 0,7 ogni 20 mila abitanti, mentre dovrebbero essere almeno 1 ogni 20 mila». Delusione nel centrodestra, che sperava in uno scardinamento della norma. Secondo Carlo Casini, europarlamentare e presidente del Movimento per la vita, la Consulta ha «accuratamente evitato» di entrare nel merito. «Decisione pilatesca», afferma Alfredo Mantovano del Pdl. I radicali, alle cui battaglie si deve l’introduzione della legge nel 1978, chiedono invece di affrontare il fenomeno dell’obiezione di coscienza: «Il governo dovrebbe depositare la relazione annuale, un atto dovuto per il quale è in ritardo di tre mesi. Noi presenteremo disegni di legge che cercheranno di arginare l’obiezione e garantire il diritto delle donne». In Parlamento è ampio il gap tra chi vuole modifiche della norma in senso più restrittivo, come l’ Udc e il Pdl, e chi, come la deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, chiede al legislatore di ampliare la libertà di scelta. Sono sette le proposte di modifica. Ieri davanti ai giudici costituzionali l’avvocato dello Stato, Maria Gabriella Mangia, ha difeso la 194. L’Alta Corte ne ha custodito l’impianto.
La Repubblica 21.06.12