Il Pdl in piena sindrome da 15 per cento. L’incubo diventa realtà e l’ultima rilevazione Swg di ieri cristallizza con quelle due cifre un tracollo di consensi che da via dell’Umiltà a Palazzo Grazioli temevano e in qualche misura già conoscevano. In queste ore non sono più i soli barricaderi ex An a chiedersi se il partito reggerà fino alle primarie di ottobre. Silvio Berlusconi quei dati se li rigira tra le mani, sempre più convinto che occorra “una scossa”, che l’attuale baracca non basta: “Il Pdl non c’è più, esiste solo nelle teste dei nostri dirigenti” è la riflessione più amara del capo. Moltiplicare l’offerta con liste di giovani, di donne, di imprenditori e volti nuovi della società civile resta la soluzione preferita, un cantiere aperto al quale il Cavaliere in gran segreto sta già lavorando, in vista delle Politiche. Ma le elezioni sono lontane. Nel frattempo il Pdl è in piena emorragia. Ormai stabilmente sotto il 20, secondo tutti i sondaggisti, comunque terza forza alle spalle di Grillo. Viaggiava sopra il 25 in novembre scorso, all’insediamento del governo Monti. “La preoccupazione c’è, il vero problema è che manca la reazione”, spiega un ex ministro sconfortato. L’ultima rilevazione registrata una settimana fa da Euromedia Research, società di fiducia di Berlusconi, dava al Pdl una forbice tra 18 e 20 per cento. “Ma tutti i grandi partiti presenti in Parlamento pagano
dazio, perdono consensi – spiega Alessandra Ghisleri, direttrice dell’istituto – E guadagna chi nelle Camere non c’è: Grillo e, in parte, Vendola”. Consigli al Cavaliere sostiene di non averne forniti. “Ma un messaggio va colto: gli elettori dicono in coro che a loro non piace questo modo di fare politica, si attendono risposte immediate ai loro problemi reali”.
Angelino Alfano confida nelle primarie per rilanciare il partito. Ha convocato per lunedì il tavolo “delle regole” che dovrebbe disciplinarle. E una direzione nazionale – sollecitata da tanti – per il 27 giugno. Ma del congresso nazionale non si ha notizia. Il calo di consensi lo riconduce al “sostegno al governo Monti: scontiamo l’opposizione dei nostri elettori”. Ma confida sul fatto che gli elettori non siano “fuggiti altrove: li riconquisteremo”. Lo dice durante la conferenza stampa convocata per ufficializzare le dimissioni del presidente della Giovane Italia, Giorgia Meloni, sostituita da Marco Perissa (classe ’82, anche lui della scuderia Azione Giovani), che affiancherà la coordinatrice Annagrazia Calabria. L’ex ministro nella lettera di dimissioni rimarca la mancata convocazione di un congresso dei giovani per passare il testimone. Correrà anche lei per le primarie? La Meloni risponde solo che non lo ha preso in considerazione e che non lascia perché “è già pronta un’altra poltrona”. Ma tutta l’area ex An si sta interrogando se sposare la causa Alfano o condurre una battaglia in sostegno proprio della Meloni per andare alla conta.
Il segretario, in maniche di camicia e in versione “smile” davanti ai giovani (dal 21 al 23 la loro assemblea a Fiuggi), si augura che le primarie siano le “più partecipate” possibile, che si trasformino in una “grande festa”. Rivela di aver chiamato Vittorio Feltri e di averlo invitato a partecipare. Salvo essere gelato poche ore dopo dal direttore editoriale del Giornale: “Non ho ricevuto alcun invito, solo una telefonata di cortesia. Valuterò, i parlamentari sono degli straccioni, io guadagno 700 mila euro l’anno”. Galan si è candidato. Daniela Santanché, forte dei sondaggi interni, è già in campagna elettorale (col placet del Cavaliere). “Certo che sono in corsa – spiega – Io non ho alcun tatticismo, nessuna strategia, solo un credo, un cuore, una passione”.
da repubblica.it
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