Premio allo studente dell’anno, carta di credito ‘IoMerito’, olimpiadi di matematica e fondi alle scuole più meritevoli. Per il ‘maestro sgarrupato’ di ‘Io speriamo che me la cavo’ le misure del Ministro Francesco Profumo «sono un orrore. Dare degli incentivi significa mettere le persone che vivono una situazione di disagio ancor di più in difficoltà. Si sentiranno studenti di serie B». Più che premi e merito «che fanno perdere il valore dello studio», Marcello D’Orta vorrebbe «edifici sicuri, laboratori e apertura. Una scuola attiva», perché avverte se «il ministro ti dà i soldi per studiare e il papà ti difende per ogni cosa, alla fine non educhi, ma distruggi».
Che cos’è il merito per i ragazzi di ‘Io speriamo che me la cavo’?
Gratificazione scolastica ed esistenziale. Per quei ragazzi avere un buon voto non è stato facile. Molti erano impegnati nel lavoro nero, a casa non avevano uno spazio dove poter studiare e prendere un sei non era la semplice sufficienza, ma un dieci, perché erano riusciti a raggiungere l’obiettivo partendo da condizioni di grande svantaggio. Il merito è avercela messa tutta, nonostante le condizioni di grande disagio, ed esserne orgogliosi. Per fare un confronto è come se tra gli atleti che raggiungono il traguardo c’è n’è uno sulla sedia a rotelle, naturalmente ci mette più tempo, ma l’importante è che non cada durante il percorso. Questo merito ha un valore enorme per tutti, per me maestro, per i genitori e soprattutto per i ragazzi.
Merito ed eguaglianza possono essere sinonimi o nelle scuole reali la chiave del risultato accentua le diseguaglianze?
Dare degli incentivi a chi riesce a raggiungere una determinata cosa significa mettere le persone che vivono una situazione di disagio ancor di più in difficoltà. Si sentiranno studenti di serie B, perché non in grado di raggiungere il risultato rispetto a chi vive condizioni migliori. Così a conti fatti si fa una discriminazione. E purtroppo questa situazione nella società si ripete a tutti i livelli. E’ come nel campionato di calcio che parte già sfalsato, perché il premio, lo scudetto, sarà dato al primo in classifico, ma 80 volte su 100 a dividerselo sono le tre squadre più ricche. Con questa visione del merito andiamo a premiare le persone che già partono avvantaggiate.
Quindi non condivide il premio al miglior studente.
Il discorso del ministro Profumo di incentivare, anche in denaro, i ragazzi non è una novità. Nel 2007 il sindaco di New York ha pensato di regalare dei cellulari agli studenti modello. Il problema è che è orrendo. Non si possono pagare i bambini per compiere il loro dovere. La scuola è un loro dovere. Tra l’altro molti studi dimostrano che fare una cosa perché si è ricompensati fa perdere valore alla cosa in sé. Quindi lo studio perde valore. Ricordo poi gli esperimenti di Teresa Amabile, professoressa associata di psicologia alla Brandeis University, che ha messo in evidenza il legame tra ricompensa economica e progetti privi di creatività.
Il premio economico non potrebbe essere utile almeno per disincentivare la dispersione scolastica?
Non penso. Ci sono due tipi di dispersione scolastica e l’ho sperimentato viaggiando per l’Italia. Una volta un’insegnante di un liceo di Padova mi ha detto: «Lei a Napoli ha un problema uguale ed opposto al nostro». Se infatti i miei alunni non andavano a scuola perché, per supplire la povertà, lavoravano in nero, i suoi bigiavano per salire sui ponti del cavalcavia a buttare sassi. Lo facevano per noia. Bisogna studiare il fenomeno. In Campania si parla di un esercito di centomila bambini che lavorano in nero, è una situazione molto complicata. Una volta riuscii con l’assistente sociale a ricondurre a scuola un ragazzo, ma il giorno dopo arrivò il padre e mi disse: “Professò mio figlio ha buscato trentamila lire o mese, mo’ me le date voje”. Mi pose in una situazione angosciante. Come educatore avevo tutto il dovere di riportare a scuola il ragazzo, ma mi rendevo conto di cosa significava sottrarre quella cifra a quella famiglia. Sono considerazioni e domande che un maestro non dovrebbe mai fare. Nell’altro caso, quando il problema è la noia, penso dovrebbe essere risolto soprattutto in seno alla famiglia. E’ la famiglia che deve dire che esistono i valori. Se questo non viene fatto e mettiamo pure gli incentivi a chi studia è la fine di tutto.
l’Espresso 16.06.12