Ma “fare politica” non vuole dire necessariamente “mettersi in politica” […]. Vuol dire essere cittadini informati e partecipare attivamente al dibattito che può cambiare una società democratica.
(da “Italia, cresci o esci!” di Roger Abravanel e Luca D’Agnese – Garzanti, 2012 – pag. 155). Se tutto andrà bene, dunque, la prossima settimana la Commissione di Vigilanza nominerà i sette consiglieri di amministrazione della Rai su nove che la legge Gasparri attribuisce al Parlamento. In base alle candidature e ai
curricula che nel frattempo saranno stati presentati, e secondo gli attuali rapporti di forza fra i partiti, si procederà alla consueta lottizzazione politica: tre posti al Pdl; uno a testa alla Lega e all’Udc; e infine due di “area centrosinistra” che il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, dopo un ripensamento in extremis, ha chiesto di indicare a quattro associazioni della società civile.
In ogni caso, non cambierà la “governance” ed è chiaro fin d’ora che l’ex maggioranza di centrodestra continuerà a controllare il cda della Rai. Ai sette consiglieri di estrazione parlamentare, vanno aggiunti infatti il presidente e il rappresentante del ministero dell’Economia, titolare delle azioni e quindi proprietario effettivo dell’azienda. Ma fino a quando il potere di condizionamento – per non dire di ricatto – del Pdl nei confronti del governo resterà intatto, c’è poco da farsi illusioni: e verosimilmente, sarà l’Udc di Casini a fungere da ago della bilancia, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
Eppure, l’insediamento di Anna Maria Tarantola alla presidenza e di Luigi Gubitosi alla direzione generale, ammesso che le loro designazioni vengano approvate dal cda e quella del presidente ottenga la maggioranza dei due terzi in Vigilanza, potrebbero anche rappresentare un’opportunità per l’azienda di viale Mazzini. Una svolta, o almeno l’inizio di una svolta, per restituire al servizio pubblico la sua identità, il suo ruolo e la sua funzione.
Non è tanto sul piano economico e finanziario che la “Rai dei tecnici” dev’essere rilanciata, quanto sul piano editoriale e produttivo. I conti si fa presto a sistemarli: a parte i tagli e la lotta agli sprechi, sarebbe già sufficiente combattere seriamente l’evasione del canone – collegandone il pagamento alla bolletta elettrica o all’Imu, magari in misura differenziata in rapporto alle fasce di reddito e d’età – per recuperare circa 500 milioni di euro che consentirebbero di risanare il bilancio. E fin qui, le competenze economiche della signora Tarantola e di Gubitosi – in sintonia con il governo che li ha designati – dovrebbero bastare.
È invece sul piano editoriale, quello dei palinsesti e della programmazione televisiva, che il nuovo vertice di viale Mazzini ha bisogno evidentemente di essere integrato e per così dire completato. Vedremo che cosa deciderà la Vigilanza sui consiglieri. Ma un fatto è certo: senza un recupero di qualità, in termini di idee, di contenuti e di programmi, la televisione e la radio pubbliche saranno destinate a un definitivo declino.
Diciamo anche la radio, perché spesso – quando si parla di servizio pubblico – si trascura o si sottovaluta a torto l’importanza di questo
medium.
E qui i risultati delle ultime ricerche di mercato, dell’Ipsos, dell’Istituto Piepoli e infine dell’Eurisko, rilevano concordemente un preoccupante crollo di audience. A Radio Rai c’è poi un direttore unificato dei Gr, Antonio Preziosi, che figura nel Consiglio pontificio delle Comunicazioni, insieme al direttore di Radio Vaticana, dell’Osservatore romano e di Civiltà Cattolica:
non è necessario diventare anti-clericali per rilevare l’incompatibilità di una tale collocazione per un direttore della radio pubblica di uno Stato laico.
Quanto alla televisione, all’interno dell’azienda non mancano le professionalità e le esperienze per offrire al pubblico un prodotto di qualità: informazione, inchiesta di approfondimento, cultura, scienza, documentarie naturalmente anche intrattenimento, più o meno leggero. Basta citare come esempio “La Storia siamo noi”, il programma di Giovanni Minoli che da dieci anni sforna oltre mille ore di televisione all’anno, il cinquanta per cento della produzione interna della Rai, premiato nel gennaio scorso a New York con l’Oscar mondiale dei produttori di storia. Questo è il “nocciolo duro” di una tv pubblica, intesa come archivio della memoria e deposito di identità collettiva.
In una prospettiva del genere, allora, la ristrutturazione della Rai potrebbe anche diventare il perno per riequilibrare l’intero sistema dell’informazione. Una volta risanata e sostenuta adeguatamente dal canone, l’azienda di viale Mazzini sarebbe anche in condizione di ridurre l’impatto della pubblicità, rinunciando alle interruzioni nei programmi e limitando magari gli spot agli intervalli fra l’uno e altro. A quel punto, si differenzierebbe finalmente dalla tv commerciale e se ne gioverebbero di conseguenza tutti gli altri media: dalla carta stampata alle televisioni locali, dalla radio a Internet. È un sfida che mette alla prova anche il presidente Monti e tutto il suo governo.
La Repubblica 16.06.12