Un migliaio di vincitori del Sud attendono l’assunzione. Colpa dei vincoli di bilancio imposti alle Università dopo le prove. Il nodo dei finanziamenti che non arrivano mai. Quando hanno sentito il ministro Profumo annunciare che gli atenei torneranno a bandire concorsi per aprire le porte a una nuova generazione di professori universitari, hanno pensato ancora una volta che davvero l’Italia è uno strano paese. Come se bastasse un concorso o una abilitazione nazionale per invertire il corso delle cose e far ripartire il tanto sospirato ricambio generazionale. «Non basterà», ripetono. Loro lo sanno bene. Perché un concorso l’hanno vinto. Chi per diventare ricercatore a tempo indeterminato, chi professore associato, chi ordinario. Quella sventagliata di concorsi, banditi dagli atenei di tutta Italia, doveva essere l’ultima chiamata prima della riforma Gelmini. Solo che, anni dopo aver superato con successo la prova, una buona parte dei vincitori attende ancora di essere chiamato a prendere servizio: 475 ordinari, 600 associati e una cinquantina di ricercatori, precipitati nel limbo. Il merito non c’entra nulla. C’entrano solo i vincoli di bilancio imposti in questi anni agli atenei italiani. Divisi, di punto in bianco, in buoni e cattivi: virtuosi e non. I primi qualche assunzione, nonostante i tagli al fondo di finanziamento ordinario, l’hanno potuta fare. Gli altri no. Ovviamente, i non virtuosi, ovvero quelli che per pagare stipendi e spese fisse utilizzano il 90% del fondo di finanziamento ordinario, si concentrano quasi tutti al Sud. Peccatoche quando hanno bandito gli ultimi concorsi per reclutare ricercatori, associati e ordinari, quegli atenei non sapessero ancora di non essere virtuosi. Risultato: chi ha vinto il concorso bandito a Torino, è dentro. Chi invece ha vinto un concorso bandito da una qualunque delle università del Sud è fuori. E ancora non vede la fine. Perché nel frattempo, il nuovo governo tecnico è corso ai ripari. Ma il decreto che doveva sbloccare il turn over, lo ha fatto con il contagocce. Gli atenei che prima vedevano andare in pensione i vecchi ordinari senza poter assumere nessuno, ora hanno il turn over sbloccato al 10%, o al massimo al 20%. E i soliti atenei si trovano nella condizione paradossale di non poter accedere neppure ai fondi stanziati apposta dal governo per dare corso alle assunzioni bloccate: 279 milioni, ma solo per gli associati. Perché per gli altri non c’è neppure quello stanziamento ad hoc. Alla base di questa piramide dell’assurdo ci sono una manciata di vincitori dell’ultimo concorso per ricercatore a tempo indeterminato, figura di cui nel frattempo la riforma Gelmini ha decretato la scomparsa. Trentuno a Bari, un po’ meno a l’Aquila. Precipitati in un limbo che mette a dura prova l’esistenza. «Io vivevo a Lecce e ormai non ci speravo più, il laboratorio dove lavoravo non aveva più fondi e dopo un dottorato, una esperienza all’estero entusiasmante, un assegno di ricerca rinnovato per due volte, avevo deciso di voltare pagina, mi ero anche trovata un altro lavoro», racconta Maria, 39 anni, biologa specializzata in microbiologia. Poi è arrivato il concorso: «Pensavo di aver voltato pagina di nuovo: dopo averlo vinto, con mio marito e i miei due figli ci siamo trasferiti a Bari, in attesa che l’ateneo mi chiamasse». A due anni dal concorso quel momento per lei e per gli altri 31 vincitori, giuristi, ingegneri, economisti, non è ancora arrivato. E nell’attesa, il malessere è cresciuto anche tra i 475 professori associati, che avrebbero tutte le carte in regola per diventare ordinari, ma come gli altri colleghi aspiranti associati o ricercatori hanno alle spalle e davanti una attesa indefinita. I più giovani hanno meno di quarant’anni e un curriculum speso in gran parte all’estero, al Cern di Ginevra o nei laboratori degli Stati Uniti. Certo, loro sanno di venire ultimi nell’ordine delle priorità, in questo momento. E però sentono al pari degli altri vittime di una ingiustizia, che fa figli e figliastri e non cesserà fino a quando il governo non libererà davvero dai vincoli di spesa gli atenei. La posta in gioco, la raccontano i numeri: tra i vincitori di concorso le donne sono il 29%, mentre tra gli ordinari attualmente in cattedra sono appena il 18%. Una questione di genere, oltre che di ricambio generazionale.
L’Unità 16.06.12