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"Sanità, scoppia il caso dei fondi pilotati, indagato il braccio destro di Formigoni", di Davide Carlucci

Un’altra bufera, l’ennesima, investe la sanità lombarda. E tocca un fedelissimo del sistema di potere formigoniano, il direttore generale della Sanità Carlo Lucchina, già tirato in ballo in più occasioni nel corso di un’altra inchiesta, quella che riguarda i 70 milioni di euro della fondazione Maugeri distratti da Pierangelo Daccò e Antonio Simone. Ieri gli uffici di Lucchina in Regione sono stati perquisiti dai
militari del nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di finanza. Il dirigente è accusato di turbativa d’asta: avrebbe favorito, insieme ad altre ventisette persone — altri funzionari della sanità, direttori generali di ospedali, imprenditori, medici e tecnici — alcune aziende del settore delle tecnologie medicali nell’aggiudicazione di progetti sperimentali negli ospedali Niguarda
di Milano, e nei nosocomi di Lecco, Busto Arsizio e Saronno.
L’inchiesta del pm Carlo Nocerino — coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Greco, lo stesso che si occupa del caso Maugeri — ipotizza anche i reati di associazione per delinquere, rivelazione del segreto d’ufficio e peculato. Le gare truccate sarebbero tre: una per l’adozione, da parte dei medici, di 135 esemplari di Vscan, un ecografo portatile a disposizione dei medici per approfondimenti diagnostici da fare anche fuori dall’ospedale. Il progetto pilota è già stato avviato al Niguarda e a Lecco e il relativo finanziamento da parte della Regione è stato già deliberato nel gennaio del 2011 per un importo da 1,1 milioni. Erano già pronti per l’assegnazione — ma non c’è stata alcuna decisione di spesa — altri due progetti, del valore di altri tre milioni di euro: quello della “Home care”, l’assistenza fatta a casa del malato tramite strumentazioni di telemedicina, e quello che riguarda lo sviluppo della tecnologia per la emodinamica, una branca della fisiologia cardiovascolare che, analizzando i flussi del sangue nei vasi permette di prevenire
di infarti e altre patologie simili.
Cosa c’era che non andava, in queste innovazioni cliniche? Il problema, secondo l’accusa, erano i bandi confezionati su misura per privilegiare determinate aziende produttrici dei macchinari anziché altre. In particolare la General Electric, la Telecom e altre imprese minori. I funzionari di aziende ospedaliere e i tecnici delle ditte si sarebbero accordati per pilotare le gare dei finanziamenti.
Per l’opposizione in Lombardia, la nuova inchiesta è un nuovo colpo alla credibilità del governatore Formigoni, già circondato da ex assessori e uomini del suo entourage politico indagati, arrestati o a processo per reati come la corruzione. Per Stefano Zamponi, dell’Italia dei Valori, «cade anche un altro alibi del presidente: l’indagine sta dimostrando quello che noi sosteniamo da sempre, ovvero che esistono opachi intrecci tra affari e politica nella giunta regionale». Pd e Sinistra ecologia e libertà chiedono le dimissioni di Lucchina. E protesta anche la Cgil: «Il modello lombardo, tanto decantato, di privatizzazione progressiva della
sanità, sta mostrando di essere fondato sull’intreccio tra poteri politici e interessi privati», dice il segretario generale Nino Baseotto, che aggiunge: «Paralizzata com’è dagli scandali, la giunta Formigoni è arrivata al capolinea. Serve un’ampia iniziativa».
Ma per l’assessore alla Sanità Luciano Bresciani, Lucchina e gli altri funzionari o dirigenti regionali coinvolti sono «tutti innocenti fino a prova contraria» e per
questo non si può chiedere loro di fare un passo indietro. Però, riconosce Bresciani, «abbiamo bisogno della verità. La gente comincia ad avere un sentimento di tensione riguardo alle azioni che si fanno in Regione Lombardia. Bisogna capire se ci sono colpevoli oppure no. E le mele marce vanno buttate fuori».

La Repubblica 16.06.12

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Quei duecentomila euro per il lobbista “Così ho pagato per entrare nel giro”, di Davide Carlucci

Bandi su misura e regali ai potenti: un imprenditore pentito accusa. Si tratta delle intercettazioni dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Greco e dal pm Nocerino che ieri mattina ha interrogato alcuni degli imprenditori coinvolti nello scandalo.
Le carte dell’inchiesta dimostrano che di Daccò — di lobbisti capaci di oliare gli ingranaggi della sanità come sarebbe avvenuto per far arrivare fondi al San Raffaele e
alla Maugeri — non ce n’è uno solo, in Lombardia. La gola profonda è un imprenditore, già coinvolto anche in altre indagini (nelle quali ha collaborato con i pm). Ai magistrati di Milano dice di aver «pagato duecentomila euro» a un imprenditore, G. B., che grazie ai suoi contatti con Carlo Lucchina, il direttore generale della sanità, era in grado di garantire una sperimentazione di telemedicina da realizzare a Lecco. In cambio, la sua azienda, attiva nel settore dell’information technolgy, sarebbe entrata nell’affare. Un business che inizialmente, con la sperimentazione, si aggirava intorno a poco più di un milione di euro. Ma quello che contava — se l’operazione fosse andata in porto — era mettere un piede nella sanità pubblica lombarda. Dopo l’avvio del progetto pilota, infatti, per l’appalto — ben più ghiotto e di lunga durata — non ci sarebbero stati altri concorrenti: chi altri se lo sarebbe aggiudicato se non gli sperimentatori?
La sperimentazione, insomma, era il cavallo di Troia. Per questo era importante che qualcuno predisponesse un bando ad hoc, molto preciso nelle descrizioni tecniche del macchinario da mettere in prova per giustificare l’affidamento alla ditta x e non ad altre. E per questo era importante agganciare Lucchina. Allo stesso modo di G. B. si muove un altro lobbista, M. B., della Assomed, società brianzola attiva nella distribuzione di dispositivi medici. I due sono considerati dagli
investigatori come promotori di interessi privati nel settore pubblico. In sé non ci sarebbe nulla di male purché le sperimentazioni siano sponsorizzate dalle aziende (quindi a spese loro) o siano sottoposte a bandi di gara. Diverso è il caso di questa inchiesta, nella quale «le
sperimentazioni cliniche sono spacciate come spontanee, promosse, cioè, dalla Regione Lombardia » mentre non sono altro che «bandi di gara orientati verso le società promotrici». Soprattutto General Electric e Telecom.
Per portare avanti questi progetti
bisogna agire su più fronti. I corsari dell’hi-tech sanitario hanno deciso di partire da Lucchina, con il quale hanno «incontri mensili». Per lui, e per gli altri funzionari da manovrare per ottenere gli appalti, i lobbisti preparano una batteria di regali: vini pregiati, salumi e altre
leccornie, in perfetto stile Daccò. Ma anche cellulari Samsung e Blackberry.
L’uomo voluto da Formigoni al vertice della sanità lombarda ha una lunga storia. Prima di diventare il numero uno della sanità lombarda, era stato coinvolto in un’inchiesta su un appalto per la ristrutturazione di un reparto di un ospedale di Varese affidato a una ditta che, all’epoca dei fatti, il 2002, era sospettata di avere legami con la mafia. Da quell’accusa Lucchina è stato assolto in primo e secondo grado anche se in appello uno dei capi d’imputazione, che ipotizzava
il reato di falso, è caduto per prescrizione. Nel frattempo, Lucchina ha fatto carriera. Il suo nome, però, ritorna più volte nell’indagine sulla fondazione Maugeri. Dice per esempio Antonio Simone nell’interrogatorio del 2 febbraio che «per l’operazione di via Camaldoli» (la clinica per la cui intermediazione immobiliare Daccò e Simone incassano 5 milioni di euro) «Daccò aveva rapporti con il direttore generale della Sanità, Carlo Lucchina ». Lo stesso Daccò lo ammette — «La mia attività consisteva nel parlare con il direttore generale Lucchina » — raccontando anche dei regali (a volte rifiutati) con i quali lo omaggiava a Natale e a Pasqua.
Adesso, in questa nuova inchiesta, Lucchina appare al vertice della piramide scalata dai faccendieri che esigevano «un capitolato molto stringente». Non è l’unico dirigente pubblico coinvolto: ci sono i direttori di tre aziende ospedaliere (Busto Arsizio, Niguarda, Lecco). Uno di loro, Armando Gozzini, è stato in passato medico sportivo del Milan: oggi è direttore generale dell’azienda ospedaliera di Busto Arsizio, dalla quale dipende l’ospedale di Saronno. Indagati anche Pasquale Cannatelli, direttore generale del Niguarda di Milano, e Ambrogio Bertoglio, direttore generale a Lecco. E poi altri dirigenti e funzionari regionali, medici, ingegneri clinici, imprenditori. Tutti all’assalto della ricca sanità lombarda.

La Repubblica 16.06.12