Non salva Penati dall’inchiesta di Monza sulle tangenti rosse e non salva Berlusconi dal processo Ruby: se si parla poco delle sensibili lacune e reali incongruenze della nuova legge, è paradossalmente perché da destra su Penati e da sinistra su Berlusconi si continuano a sbandierare due inesistenti «al lupo al lupo». Non è vero che la legge contenga una norma destinata a mandare al macero il processo che la Procura di Monza è orientata a chiedere per l’ex capo della segreteria politica del segretario pd Bersani: per il semplice fatto che la legge non inciderà sulla prescrizione delle due imputazioni di corruzione e delle due ipotesi di violazione della legge sul finanziamento dei partiti datate 2008-2009 e 2008-2010, che continueranno a prescriversi dopo 7 anni e mezzo, tra la metà 2016 e metà 2017.
Poi ci sono tre accuse di concussione, l’attuale articolo 317 che punisce da 4 a 12 anni «il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente denaro od altra utilità». La nuova legge vuole scinderlo in due fattispecie: il nuovo articolo 317 che con pena da 6 a 12 anni punirà il pubblico ufficiale che costringe il privato (vittima non sanzionata); e il 319-quater che punirà sia il pubblico ufficiale (da 3 a 8 anni) che induce il privato, sia il privato (fino a 3 anni) indotto a dare o promettere. Questo abbassamento delle pene si riverbera sulla prescrizione, parametrata sul massimo della pena più un quarto. I capi A e B, che per l’area ex Ercole Marelli a Sesto accusano l’allora sindaco Penati d’aver indotto due imprenditori a una iniqua permuta di terreni, risalgono al 2000 e oggi si prescriverebbero nel 2015 in 15 anni (12 di pena massima più 3), mentre con la nuova legge si sarebbero già prescritti nel 2010 in 10 anni (8 più 2). Diverso l’impatto sul capo C, che imputa a Penati di aver indotto un costruttore a promettergli 20 miliardi di lire, versargliene 4 e affidare incarichi per 1,8 milioni di euro a due professionisti delle coop rosse per l’area ex Falck: l’accusa è fino al 2004, sicché l’attuale prescrizione, ancorata al 2019, con la nuova legge arriverebbe già nel 2014: termine stretto per tre gradi di giudizio, anche se per la storia va ricordato che nel 2011 il gip negò ai pm l’arresto di Penati perché qualificò i fatti non come concussioni ma come corruzioni già prescritte.
Neppure è vero che la nuova legge farà saltare il processo Ruby dove Silvio Berlusconi, oltre che di prostituzione minorile, è imputato di concussione per induzione dei funzionari della Questura di Milano che il 27 maggio 2010 all’esito delle sue telefonate notturne affidarono la minorenne marocchina a Nicole Minetti. I timori che non vi sia continuità normativa tra il vecchio 317 e il nuovo 319-quater sembrano dimenticare che per la posizione del pubblico ufficiale Berlusconi tutte le ipotesi ricomprese nel vecchio articolo 317 andrebbero a finire o nel nuovo 317 o appunto nel 319-quater, in una successione meramente modificativa di leggi penali (indicata già da studiosi come Dolcini e Palazzo) sulla base dei criteri fissati dalla Cassazione a sezioni unite nella sentenza 25887 del 26 marzo 2003.
È vero invece che la prescrizione scende da 15 a 10 anni, ma per il processo Ruby (già in stadio avanzato in Tribunale) si traduce in maggio 2019: grottesco, se non si farà in tempo a celebrare tre gradi di giudizio, accollarne la colpa alla nuova legge.
Il Corriere della Sera 14.06.12
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Dichiarazioni di voto sulla questione di fiducia – Articolo 13 – (A.C. 4434-A)corruzione
DONATELLA FERRANTI (PD). Signor Presidente, signor Ministro, il Partito Democratico voterà la fiducia al Governo sul testo dell’articolo 13, che è intitolato «Modifiche al codice penale». Cercherò di spiegarle le ragioni, cercando – questo è il mio intento, anche di questo intervento – di fare chiarezza perché ho sentito, anche in quest’Aula oggi, delle affermazioni che forse non fanno giustizia a questo provvedimento, né al lavoro parlamentare e non danno, forse, la possibilità ai cittadini di capire effettivamente cosa stiamo votando.
L’articolo 13 riproduce sostanzialmente il testo dell’emendamento presentato dal Ministro Severino, con cui il Ministro ha inteso dare il suo contributo personale, come Ministro della giustizia, per gli aspetti penali, al disegno di legge presentato nel maggio 2010 da Alfano e Brunetta, ma che nel testo approvato dal Senato era stato definito, dal PD, un’occasione mancata. L’articolo 13 è, comunque, un passo avanti rispetto all’articolo 9 del vecchio testo uscito dal Senato, che si limitava ad operare piccoli ritocchi alle pene, senza affrontare il problema di realizzare un regime sanzionatorio di misure efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti degli autori dei reati di corruzione, così come ci richiede l’articolo 19 della Convenzione penale di Strasburgo.
Il testo che oggi votiamo ci consente, finalmente, di adempiere agli impegni internazionali assunti dallo Stato italiano e ci allinea, sotto vari aspetti, ai meccanismi di contrasto già utilizzati nella maggior parte dei Paesi europei. Non possiamo tollerare altri ritardi, perché in un momento come quello che stiamo vivendo, di forte criticità dell’economia, sarebbe da irresponsabili non porre un argine effettivo alla corruzione, che non solo mette a rischio la legalità, ma pesa sull’economia per 70 miliardi di euro all’anno, pesa su ogni cittadino come una tassa occulta per una somma oscillante tra i 1.000 e i 1.500 euro l’anno.
Il testo che è uscito dalla Commissione certo – noi lo sappiamo e lo abbiamo sempre detto e sfido chiunque a smentire queste affermazioni – poteva essere migliorato e rafforzato. Avevamo presentato, come gruppo del Partito Democratico, pochi emendamenti, volti ad alzare i minimi e i massimi di pena per i reati più gravi, ad abbassare i limiti cui ricollegare le pene accessorie, in particolare l’interdizione dai pubblici uffici e l’estinzione del rapporto di pubblico impiego, e ad aumentare i tempi di prescrizione. Non abbiamo e non avremmo accettato alcuna modifica al ribasso del testo Severino, nessuna modifica che ne indebolisse la portata, perché l’impianto della riforma è, comunque, equilibrato e costituisce un passo avanti nella lotta alla corruzione. Il fenomeno della corruzione degli apparati della pubblica amministrazione è ormai divenuto un fenomeno endemico nel nostro Paese e il nostro sistema penale è diventato inadeguato.
Caro collega Di Pietro, forse tu hai un ricordo nostalgico, giustamente, delle vecchie norme, ma sono passati vent’anni e, nonostante l’impegno della magistratura, la corruzione è dilagata. Nonostante, appunto, le norme che tu dici che verrebbero cancellate – ma così non è -, la corruzione non è stata debellata, malgrado vi sia stata Mani Pulite.
Riassumo i punti che per noi sono più qualificanti e che danno il sostegno e il significato a questo voto di fiducia.
Vi è l’introduzione di nuovi reati, richiesti dalle Convenzioni internazionali, quali corruzione nel sistema privato, traffico di influenze illecite e corruzione per l’esercizio delle funzioni. Questo è un reato con cui si reprime la fattispecie di corruzione, superando il fatto che vi sia l’aggancio a un atto illegittimo. In realtà, si vuole reprimere quella che è una realtà criminologica, ossia l’emergere di nuove prassi corruttive in cui il pubblico ufficiale si accorda con il privato per essere stabilmente a disposizione.
Le pene per i reati più gravi sono state sostanzialmente aumentate, non solo nel massimo ma anche nel minimo. Mi riferisco alla corruzione propria, al peculato, alla corruzione per atti giudiziari, all’abuso d’ufficio, alla concussione per costrizione. Ciò consente di avere tempi più lunghi di prescrizione per molti di questi reati. Dall’altro, poi, sarà più concreta l’effettiva applicazione delle pene principali e, soprattutto, di quelle accessorie.
Non dimentichiamoci un dato che è obiettivo e che deriva dalle statistiche delle condanne – perché non ci sono solo le inchieste, bisogna guardare le condanne – dei tribunali che evidenziano che l’87 per cento delle condanne per fatti di corruzione e concussione è stato convertito in sospensione della pena. Ciò ha contribuito a rafforzare gli effetti di una sostanziale impunità che alimenta la prassi corruttiva.
Certo, il problema della prescrizione non è stato risolto, ma per fare un esempio se oggi la corruzione, grazie ad una legge certamente non voluta dal Partito Democratico – la ex Cirielli – si prescrive in 7 anni e mezzo dalla consumazione – cioè da quando vi è stato l’accordo corruttivo o il ricevimento delle utilità – con questo disegno di legge di cui oggi dobbiamo votare la fiducia con questa articolo, grazie anche all’emendamento del Partito Democratico votato in Commissione, la corruzione si prescriverà in 10 anni, e così smentiamo tutte le leggende metropolitane che in questi giorni vanno avanti. È vero che i fatti di corruzione sistemica sono di difficile accertamento, che il sodalizio criminoso è particolarmente impenetrabile, che in quei termini rientra anche il periodo assai complesso delle indagini, che bisogna fare accertamenti bancari anche all’estero, che ci sono tre gradi di giudizio, che il processo è troppo lungo, ma per risolvere questo problema bisogna abrogare la ex Cirielli e rivedere il meccanismo della prescrizione, quindi aprire un’altra pagina sulla giustizia in Parlamento.
Parliamo poi di un altro punto, il cosiddetto spacchettamento della concussione: bisogna riportare la verità sul punto, non cedere a strumentalizzazioni di nessun tipo. Una cosa è certa, questo articolo mantiene il reato di concussione – il 317 – e lo punisce più gravemente – da un minimo di 4 anni oggi si passa a 6, il massimo è invariato a 12 – per il pubblico ufficiale che costringe a dare o a promettere denaro o altra utilità. In questo caso chi paga è vittima oggi resta vittima non punibile dopo l’approvazione di questo disegno di legge. L’induzione a dare o promettere invece diventa un altro reato, diventa un reato distinto, autonomo, e il privato indotto verrà punito fino a tre anni.
Chiediamoci la ragione vera di questa scomposizione, la scomposizione in due distinte fattispecie penali risponde alle numerose sollecitazioni dell’OCSE già dal 1997 e da ultimo dalla Commissione Greco nel rapporto del 2012; gli organismi internazionali, preoccupati del pericolo che il privato che è stato indotto a pagare o a promettere, sfugga alla punizione, assicurandosi il ruolo di vittima – perciò di parte offesa e testimone anziché imputato – pur avendo avuto un margine di scelta. È questo il punto, pur avendo avuto un margine di scelta e aver comunque deciso di pagare, pur non avendo subito nessun tipo di minaccia, accettando invece di assicurarsi un vantaggio.
La soluzione proposta dal testo Severino merita apprezzamento perché da un lato prevede un trattamento più severo per il pubblico ufficiale che costringa con minaccia o violenza, e la minaccia – mi rivolgo sempre al collega Di Pietro – può essere diretta, indiretta, larvata, e tutti gli esempi che poco fa sono stati fatti dal collega Di Pietro rientrano nella concussione anche nel nuovo testo, anche nel testo che ci apprestiamo a votare. L’ipotesi di induzione invece configura un distinto reato, grave, punito fino a otto anni. Nessuna abrogazione, nessuna norma di favore, per nessun imputato eccellente – nominiamoli: né Penati, né Berlusconi – solo la necessità di intervenire con fermezza per spezzare il fenomeno corruttivo, non avallare posizioni di comodo, anche processuali, e dare seguito agli impegni internazionali.
La catena deve essere spezzata con decisione, su questo punto ci siamo impegnati e il testo che ci apprestiamo a votare riesce anche a garantire la continuità dei processi in corso, lo dice il nostro sistema, basta leggere l’articolo 2 del codice penale perché i fatti di concussione per costrizione e quelli di induzione sono e continuano ad essere reato; occorre restituire serietà alla repressione dei fatti, alle falsificazioni dei bilanci di impresa, alla corruzione di amministratori pubblici e privati, dare un segnale concreto alla volontà politica di impegnarsi in una complessa strategia per il contrasto alla corruzione che metta insieme coordinati interventi nel campo dell’amministrazione, della trasparenza, della legislazione penale e deontologica. Ci auguriamo che questo provvedimento diventi legge dello Stato entro l’estate, sarebbe un effettivo recupero della credibilità della politica.
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Anticorruzione, la migliore riforma possibile”, di CARLO FEDERICO GROSSO
Se il governo chiederà davvero la fiducia sul ddl anticorruzione, e se la Camera l’approverà, ci troveremmo di fronte ad un’ulteriore «tacca» che l’esecutivo potrebbe inserire nel suo carnet di provvedimenti positivamente assunti nell’interesse del Paese.
La riforma non è, in astratto, la migliore possibile. Di fronte al dilagare della corruzione sarebbe stato opportuno essere più drastici: ripristinando la vecchia durata della prescrizione, vergognosamente accorciata dalla legge ex Cirielli; reinserendo (o inserendo ex novo) reati utili a colpire le provvigioni di denaro «nero», usuale premessa per l’esecuzione di operazioni corruttive (recupero di reati quali il falso in bilancio, repressione più pesante delle false fatturazioni, introduzione del reato di autoriciclaggio); prevedendo minimi di pena più elevati; disciplinando in maniera più incisiva talune fattispecie (pur opportunamente introdotte nel nuovo testo legislativo) come la corruzione tra privati e il traffico d’influenze.
In concreto, l’articolato proposto costituisce tuttavia uno dei testi «migliori» praticabili nell’attuale, difficile, contesto politico.
Esso adempie, finalmente, agli impegni internazionali assunti dallo Stato italiano (Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite, Convenzione di Strasburgo); rispetto alla legislazione vigente rafforza in modo rilevante gli strumenti di prevenzione e repressione contro la corruttela; sotto diversi profili si allinea ai meccanismi di contrasto utilizzati dalla maggior parte delle legislazioni europee.
In questo contesto, nell’impossibilità «politica» di realizzare una legislazione ancora più incisiva, è preferibile fare saltare l’intera riforma (in attesa di ipotetici tempi «migliori») ovvero approvare la soluzione «compromissoria», ma tutto sommato equilibrata, elaborata dal governo? Personalmente non avrei dubbi: poiché il disegno di legge prevede l’introduzione d’istituti amministrativi di forte impatto nella lotta alla corruzione e rafforza, pur con diverse timidezze, l’attuale livello della repressione penale, perché soprassedere, rinunciando a un significativo passo avanti nella lotta alla corruzione?
Per dare, sia pure brevemente, conto dell’utilità di approvare il progetto mi sembra opportuno riassumere alcuni dei suoi profili qualificanti. Il ddl prevede d’introdurre, in attuazione dell’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite e degli artt. 20 e 21 della Convenzione di Strasburgo, una «Autorità nazionale anticorruzione» deputata a realizzare attività coordinata di controllo e di prevenzione della corruzione e ad approvare un «Piano nazionale anticorruzione» in grado di programmare il contrasto dei fenomeni corruttivi; assicura trasparenza alle pubbliche amministrazioni prescrivendo la pubblicazione sui siti istituzionali delle informazioni relative ad ogni procedimento amministrativo; prescrive la pubblicità delle posizioni dirigenziali in modo da rendere palesi gli assetti decisionali delle pubbliche amministrazioni; prevede norme a protezione dei dipendenti pubblici che riferiscano condotte illecite; prevede norme di controllo delle imprese esposte al rischio d’infiltrazioni mafiose; prevede, novità davvero rilevante, l’adozione di norme in tema di divieto a ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna.
In materia penale prevede a sua volta un aumento pressoché generalizzato delle sanzioni (ancorché non sempre adeguato alla gravità di ciascun illecito previsto); introduce (sia pure in modo perfettibile) alcuni nuovi reati, come il traffico d’influenze illecite, particolarmente importante per colpire indebiti arricchimenti di pubblici ufficiali sganciati dal compimento di specifici atti di ufficio, e (sia pure con una configurazione non del tutto adeguata alla pluralità degli interessi offesi) la corruzione tra privati; per effetto degli aumenti delle sanzioni determina un allungamento (sia pure non sufficiente) dei tempi della prescrizione di buona parte dei reati previsti.
Perché allora, come dicevo, non approvare un progetto che, ancorché perfettibile, contiene comunque norme che migliorano, e di non poco, lo standard della nostra legislazione anticorruzione?
Rimane, a questo punto, un’unica obiezione, riguardante il cosiddetto «spacchettamento» del delitto di concussione. Si tratta di questo. Nel ddl anticorruzione la «induzione» a dare o promettere utilità al pubblico ufficiale (oggi punita come concussione al pari della «costrizione» a pagare usando violenza o minaccia) viene estrapolata dal delitto di concussione e prevista come reato autonomo. Con questa innovazione s’intende trattare come vittima del reato (e pertanto come soggetto non punibile) soltanto chi paga la tangente perché «costretto», e punire invece chi si è lasciato semplicemente «indurre» a farlo. L’innovazione tende a rendere più incisiva la disciplina anticorruzione, evitando ampliamenti non giustificati dell’ambito d’impunità di chi, nella sostanza, è concorrente nel reato e non vittima dello stesso (si badi che in nessun altro Paese europeo si prevede il delitto di concussione per induzione: il privato «indotto» è sempre punito a titolo di concorso in corruzione).
Ebbene, si sostiene dai critici più accesi, con questa innovazione il governo tecnico, cedendo alle pressioni del Pdl, e con l’avallo del Pd, favorirebbe, nei fatti, Berlusconi, imputato di concussione per induzione del processo Ruby, in quanto i suoi difensori, dopo l’approvazione della riforma, avranno buon gioco nel sostenere che il reato di concussione per induzione è stato abrogato e che, pertanto, il loro assistito deve essere conseguentemente assolto.
Tecnicamente, quest’obiezione non sta in piedi. Il reato d’induzione a pagare tangenti al pubblico ufficiale, se la riforma dovesse essere approvata, non risulterebbe abrogato, ma sarebbe, semplicemente, previsto come un reato autonomo; in base ai principi vigenti in materia di successione di leggi penali, trattandosi di cambiamento della disciplina di un fatto che era, e continua ad essere, reato, troverà applicazione la norma penale più favorevole al reo. Berlusconi, ove venisse riconosciuto colpevole dei fatti ascrittigli, dovrebbe essere pertanto in ogni caso condannato, tutt’al più con una pena leggermente inferiore.
La Stampa 11.06.12