Dell’Utri, Ciarrapico, De Angelis: i primi casi di «incandidabili» se il governo eserciterà la delega. La legge anticorruzione passa, il nodo incandidabili resta. Ieri, il ministro della Giustizia Paola Severino ha salutato con favore l’approvazione dell’ordine del giorno del Pd che impegna il governo a provvedere, «entro quattro mesi» dall’approvazione della legge, ad adottare la delega che articola e rende applicabili le norme sull’incandidabilità contenute nel ddl anticorruzione. «I timori sull’impossibilità di procedere in tempi utili rispetto alle elezioni del 2013 mi sembra che siano stati così superati», ha detto la Guardasigilli.
Sulla possibilità di tenere fuori dal Parlamento già alle prossime elezioni chi è stato condannato in via definitiva, tuttavia, non tutti sono così ottimisti, soprattutto dopo le parole del capogruppo Pdl Cicchitto in Aula e i malumori del partito di via dell’Umiltà. La volontà di introdurre al Senato nuove modifiche è infatti chiara, così come lo è il conseguente allungamento dei tempi prima dell’approvazione della legge. Una dilazione che per il Pdl è tanto più desiderabile in quanto coinvolge appunto l’incandidabilità: la delega al governo su questa materia, infatti, era stata concepita e introdotta proprio dal Pdl al Senato quando il
centrodestra era ancora al governo, e poteva procrastinare all’infinito la sua traduzione pratica. Cosa che invece il governo attuale non pare avere nessuna intenzione di fare, dando al partito di via dell’Umiltà un altro grattacapo.
NEL CENTRODESTRA
Il disagio del centrodestra del resto si capisce anche, incrociando le norme appena approvate (e che però il governo dovrà ulteriormente definire) con i nomi dei parlamentari. Vien fuori che gli incandidabili (chi ha condanne definitive ad almeno due anni, per reati contro la Pubblica amministrazione, mafia, terrorismo e reati che nel massimo della pena superino i tre anni) proverrebbero in larghissima parte dalle file del centrodestra. C’è per esempio Marcello Dell’Utri, condannato a due anni e tre mesi per fatture false e frode fiscale nella gestione di Publitalia. C’è Aldo Brancher – che ieri si è astenuto al voto finale sul ddl – condannato a due anni per ricettazione e appropriazione indebita nell’ambito del processo sulla scalata Antonveneta (ha beneficiato dell’indulto, ma secondo i tecnici questo non sarebbe rilevante ai fini dell’applicazione della norma). C’è Marcello De Angelis, condannato a cinque anni per banda armata e associazione sovversiva come dirigente di Terza posizione. C’è Giuseppe Ciarrapico, che fra l’altro ebbe una condanna a quattro anni e sei mesi per il crack del Banco Ambrosiano. Antonio Tommassini, condannato a tre anni per falso nell’esercizio della sua professione di medico. Salvatore Sciascia, due anni e sei mesi per corruzione come manager Fininvest (nell’inchiesta aperta dal Pool mani Pulite nel 1994).
Ancor più chiara la difficoltà se si ripensa alle parole di Cicchitto di ieri a proposito della «maggior discrezionalità» che si dà ai magistrati. Senza dubbio, infatti, l’aver messo un paletto di legge – per la prima volta – sui criteri di candidabilità, è qualcosa destinato a condizionare la composizione delle liste elettorali e a produrre i suoi effetti non solo eventualmente nel presente (2013), ma soprattutto negli anni a venire.
Tra i parlamentari attualmente in carica, infatti, oggi sono condannati o indagati 53 deputati (fra cui 30 Pdl, 4 Lega, 6 Pd, 3 Udc) e 30 senatori (fra cui 20 Pdl, 2 Pd, 2 Udc, Lega). Chi oggi è sotto processo, o solo giudicato in primo grado, domani potrebbe divenire incandidabile: e lo diverrebbe per via di ciò che avviene nelle aule di giustizia. Figurarsi quanto può piacere questo a uno come Berlusconi.
l’Unità 15.06.12