Con il caldo di un’estate precoce, rischiano di sciogliersi le speranze di Angela Merkel di portare a casa la ratifica del Fiskalpakt prima delle vacanze. Le ultime date utili sarebbero il 25 giugno per il Bundestag e il 7 luglio per il Bundesrat, la Camera dei Länder. Ma lei stessa, secondo le indiscrezioni filtrate ieri da una riunione della Cdu, avrebbe ammesso di non aspettarsi un accordo con la Spd e i Verdi – i cui voti sono necessari per l’approvazione – dalla riunione fissata per stasera alla cancelleria. Ed è un bel problema, perché senza ratifica tedesca del patto è molto difficile che a luglio possa entrare in funzione, come previsto, l’Ems, il nuovo fondo salva-Stati ricco di 500 miliardi di euro, senza il quale cadrebbe ogni prospettiva di interventi d’emergenza a cominciare dalla Spagna per proseguire (facendo gli scongiuri) con l’Italia.
La cancelliera continua a confidare che l’intesa arriverà in extremis e ieri anche l’ex vice cancelliere ed ex ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier (Spd) si è detto fiducioso che a un accordo si arrivi in tempo, «ma non in questa settimana». Il governo deve trattare con i Länder, che chiedono, in cambio del loro assenso, compensazioni per i limiti che il Fiskalpakt imporrà ai loro bilanci. E al Bunderat, dopo le ultime elezioni, Spd e Verdi sono maggioranza.
Il fuorionda
Insomma, si viaggia sul filo del rasoio. E le cose non sono rese più semplici da una specie di “fuori onda” di cui l’altro giorno è stato protagonista il più stretto collaboratore di Angela Merkel, il capo della cancelleria Ronald Pofalla. Questi avrebbe detto, in un circolo ristretto, che l’accordo raggiunto giorni fa con l’opposizione sull’impegno del governo federale a sostenere la tassa europea sulle transazioni finanziarie anche se Londra e Stoccolma restano contrarie, sarebbe solo una finta: «Tanto sappiamo che non ce la faranno mai passare». Una voce dal sen fuggita che probabilmente conforta i liberali, contrari alla tassa, ma che ha mandato su tutte le furie i socialdemocratici. Per rabbonirli, ieri, la cancelliera è stata prodiga di assicurazioni sulla sua intenzione di promuovere l’imposta tra i partner. Proprio questo sarebbe uno dei principali argomenti che lei stessa metterebbe sul tavolo dell’incontro a quattro (Monti, Merkel, Hollande, Rajoy) che si terrà a Roma il 22 giugno in vista del Consiglio europeo del 28 e 29.
Al di là del “caso Pofalla”, comunque, le posizioni sono più lontane di quanto l’ottimismo di Frau Merkel e di Steinmeier tenda a far credere. La maggioranza della Spd, contro il parere della sinistra interna, è disposta ad ingoiare il rospo del Fiskalpakt perché teme che a questo punto una sua bocciatura rischi di bloccare tutto il meccanismo degli aiuti agli Stati in difficoltà. Ma chiede, oltre alla tassa sulle transazioni, garanzie certe del superamento della strategia fondata solo sull’austerity imposta fin qui dal centrodestra di Berlino. In particolare, un piano speciale per l’occupazione e investimenti sorretti dalla Bei. Sullo sfondo restano gli eurobond, che per la cancelliera sono uno strumento del diavolo da non evocare nemmeno, come ha ribadito parlando ai suoi della Cdu.
Nonostante la ristrettezza dei tempi per il Fiscal compact, lo straordinario affollamento nei prossimi giorni di appuntamenti dedicati alla crisi (G20 in Messico, conferenza sull’ambiente di Rio, quadrangolare di Roma, Consiglio europeo), le pressioni ormai pesantissime di Barack Obama e le insistenze dei partner, la linea di Berlino resta ferma sulla disciplina di bilancio senza tentennamenti e senza deroghe. La cancelliera e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, contro ogni evidenza, continuano a sostenere che non ci sono altre strade per favorire lo sviluppo. Gli stessi dati dell’economia tedesca, con i primi segnali di rallentamento della crescita, contraddicono ormai questa tesi, ma Angela Merkel ancora ieri affermava che sarebbe «disastroso» bloccare adesso «le riforme strutturali». Leggi: i rigidi limiti posti ai bilanci e codificati dal Fiscal compact. Intanto, dopo l’accordo sulle banche, torna in qualche modo in discussione anche la strategia verso Madrid. Non si capisce bene quale sia la contropartita chiesta veramente al governo di Rajoy per i 100 miliardi deliberati dall’Eurogruppo. S’era parlato solo della ristrutturazione del sistema bancario, ma cominciano ad essere evocate «condizioni» che prevedrebbero controlli sull’intera politica economica. Non una trojka alla greca, ma qualcosa di non troppo dissimile. La Germania vuole garanzie perché è il maggiore contributore dei fondi salva-Stati e, come ha detto un po’ minacciosamente la cancelliera, «noi non possiamo continuare a rispondere ai problemi solo con il nostro indebitamento».
L’Unità 13.06.12