Più lenti in tutto fra i Paesi europei, siamo invece imbattibili per velocità quando si tratta di spendere denari dei contribuenti. Dice la Commissione europea che fra il 2000 e il 2012 la spesa pubblica è aumentata di 250,7 miliardi. Al ritmo, calcola la Confartigianato, di 2 milioni 384.808 euro l’ora. Ovvero, 39.747 euro al minuto, 662 ogni secondo che passa.
Tutto questo, ovviamente, compresi gli interessi che l’Italia paga sul terzo debito pubblico al mondo. Ma che influiscono fino a un certo punto. Tanto è vero che togliendo quella voce il ritmo di crescita si riduce di una manciata di monete, calando appena a 38.420 euro al minuto.
Se il peso della spesa pubblica totale sul Prodotto interno lordo è salito in dodici anni del 5,5%, quella al netto degli interessi è lievitata del 5,1%, contro il 3,5% della media dell’eurozona. In Germania, per fare un paragone, è addirittura diminuito dello 0,6%. Da questi semplici dati si capisce l’urgenza di ridimensionare un fardello diventato ormai insostenibile.
Ci rendiamo conto che non è facile, se il governo di Mario Monti conta realisticamente di tagliare, grazie all’aiuto della spending review, non più di 4,2 miliardi su 809: lo 0,5%. Non è facile, ma resta il fatto che lo strato di adipe accumulatosi in questi anni è davvero imponente. Troppo. Basta dire che ogni anno si spendono più di 168 miliardi di euro in acquisti di beni e servizi. Una cifra lievitata del 35,1% fra il 2001 e il 2011, arrivando a toccare il 10,8 per cento del Pil.
E il bello è che il grasso in eccesso si annida anche dove sembra il contrario. L’Italia, per esempio, è uno dei Paesi europei meno generosi con chi ha perduto il lavoro, ma riesce a sprecare una bella fetta dei pochi soldi stanziati per dare sostegno a quanti si trovano in questa triste condizione. Succede con l’indennità di disoccupazione in agricoltura, che funziona con meccanismi tali da scoraggiare il lavoro regolare, incentivando il lavoro nero e le truffe. Ne hanno diritto, con parametri che arrivano fino a un massimo del 66% della retribuzione, coloro che risultano aver lavorato almeno 51, 101 o 151 giorni. Negli ultimi otto anni questo capitolo è costato un miliardo 680 milioni, a fronte di 7 miliardi 476 milioni che hanno rappresentato i sussidi totali ai senza lavoro. Con il 3,7% di tutti gli occupati italiani, l’agricoltura assorbe il 22,5% della spesa per indennità di disoccupazione. E quasi tutta al Sud. Sapete quanti sono i beneficiari di un trattamento di disoccupazione agricola nelle Regioni meridionali? Lo scorso anno erano 412.288, cioè il 79,6% del totale nazionale (518.132). Ossia 23 volte più che nel Nord Ovest (17.426), otto più che nel Nord Est (51.141) e undici più che nel Centro Italia (37.277).
Il fenomeno che racconta un dettagliato rapporto della Confartigianato messo a punto in vista dell’assemblea dell’organizzazione prevista per oggi, è semplicemente pazzesco: su 100 occupati nel settore agricolo, 60,9 hanno un trattamento di disoccupazione. Nel Sud ce ne sono addirittura 97,5. Il che significa che pressoché tutti i lavoratori agricoli del Mezzogiorno percepiscono un sussidio spettante a chi resta senza lavoro.
E ad alzare la media sono soprattutto le disoccupate. Se nelle Regioni meridionali ci sono 67,8 disoccupati maschi, i sussidi erogati alle donne sono addirittura 164 ogni 100 lavoratrici. Centosessantaquattro. Misteri della statistica: forse non si fa riferimento a persone in carne e ossa ma a unità di lavoro teoriche occupate tutto l’anno. Ma questo è un problema che riguarda, sia pure con differenti intensità, l’intero Paese. La media italiana è di 104,7 trattamenti di disoccupazione per ogni cento donne impegnate in agricoltura. Risultato, ogni lavoratore agricolo produce in Italia un disavanzo fra contributi versati per sostenere tale ammortizzatore sociale e prestazioni erogate, pari a 1.841 euro. Venti volte maggiore che negli altri settori economici, dove è di 89 euro.
Qui qualcosa decisamente non va. Lo sanno tutti e lo sanno da tempo. L’hanno svelato le inchieste giudiziarie sulle cosche mafiose, sulle truffe all’Inps, sui lavoratori e le lavoratrici fantasma che coltivavano terreni fantasma. Il rapporto della Confartigianato non a caso cita una relazione di quattro anni fa del ministero del Lavoro, nella quale si parla apertamente di «distorsioni e comportamenti collusivi, tali da ingenerare una abnorme concentrazione delle giornate di lavoro dichiarate intorno alle fatidiche cifre». Cioè 51, 101 e 151. Magari ci sarà stato pure qualcuno che se li è giocati al lotto quei numeri. Mentre evidentemente, se i dati sono ancora questi, nessuno ha provveduto a cambiare in profondità regole che consentono abusi del genere.
Certo parliamo di somme ridicole, confrontate al volume, enorme, della spesa pubblica. Per avere un’idea, i soldi spesi in otto anni per la disoccupazione agricola in Italia nemmeno bastano a pagare gli stipendi dei dipendenti della Regione siciliana. Vi chiederete: che cosa c’entrano quei sussidi con le buste paga regionali? C’entrano eccome. Diciamo che pure in alcune Regioni il confine fra la busta paga pubblica e l’assistenzialismo è piuttosto labile. Per non dire inesistente.
Pochi sanno, per esempio, che oltre ai suoi circa 20 mila dipendenti la Regione siciliana retribuisce anche 27 mila fra precari e persone impegnate in «progetti di pubblica utilità» prevalentemente presso i Comuni. Di fatto, si tratta di sussidi di disoccupazione mascherati, come ha fatto chiaramente capire la Corte dei conti in una recentissima relazione. E anche sulla pletora di impiegati regionali ci sarebbe da discutere. La Sicilia è una Regione a statuto speciale, vero: ma questo basta a giustificare una spesa di 346 euro a carico di ogni siciliano per mantenere i dipendenti di quell’ente, contro i 66 euro di due Regioni non certo considerate fra le più virtuose d’Italia, come la Calabria e la Campania? E non parliamo del confronto con la Lombardia, dove i dipendenti regionali costano 23 euro procapite. Stando ai dati del rapporto della Confartigianato, la Regione siciliana spende per stipendi il 75% di tutte le quindici Regioni a statuto ordinario messe insieme: un miliardo 748 milioni contro 2 miliardi 316 milioni.
Il Corriere della Sera 12.06.12