C’è una rivoluzione che non può essere interrotta. «Si chiama scuola di tutti», scandisce l’ex ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, ora europarlamentare del Pd. Uno che non teme di dover andare controcorrente, se ce ne è bisogno. «Il merito è di sinistra, è vero», ribadisce. E però, dopo aver letto come il suo “successore” Francesco Profumo intende promuoverlo, prova a dare qualche suggerimento: «Va benissimo voler premiare chi è bravo purché non sia un ritorno al bel tempo andato, quando Berta filava e i tre quarti degli adolescenti venivano tagliati fuori dalla scuola».
Oggi – ricorda, dall’alto dei suoi ottant’anni – ci sono metodi più moderni per innalzare la qualità dell’istruzione. E avvicinarsi all’Europa. «Il guaio è che in Italia gli opinion makers quando parlano di scuola sembrano sempre voler dire: “quanto stavo bene, come era bello il mio liceo”». È anche a loro che, da decano, l’ex ministro manda a dire: «Ragazzi, il mondo è altrove».
Dov’è il mondo?
«La più grande rivoluzione del nostro tempo è la scuola per tutti e l’Italia non la realizza ancora, perché l’impianto educativo strozza questo evento fondamentale per la democrazia che è l’accesso di tutti al sapere, nella valorizzazione delle diverse capacità: questa è l’urgenza, dunque. Combattere la dispersione scolastica, sia quella che lascia fuori gli studenti, sia quella che canalizza in ghetti dequalificati una parte di loro. L’inclusione sociale se diviene soltanto un cancello aperto per accedere a un pascolo brado non è una carità e non è una grande conquista. La scuola per tutti o è di qualità o non serve».
E il merito?
«Ha ragione Marco Meloni (responsabile università del Pd, ndr), il merito è un’idea di sinistra. Per me una scuola che non valorizza le eccellenze non è una scuola che si rispetti. E ha ragione il ministro Profumo a dire che merito e inclusione sono due facce della stessa medaglia e a voler procedere in questo senso. Ma la condizione perché entrambe possano realizzarsi è che si cambi alla radice l’impianto educativo italiano. E purtroppo questo non è da tempo nell’agenda politica del Paese».
Vuol dire che la scuola avrebbe bisogno di un’altra riforma? «No, vorrei un cambiamento, che, per passi graduali, ponesse l’apprendimento al centro. Lo dico in inglese: bisogna realizzare la mass personalization con flessibilità curricolare».
Ovvero?
«Curricoli flessibili e più autonomia per favorire l’individualizzazione dell’apprendimento, destando curiosità, emozioni, interessi intellettuali diversi. Non semplice trasmissione del sapere. Purtroppo l’autonomia delle scuole, da Moratti in poi, è stata soffocata. E senza è impossibile realizzare merito e inclusione».
Il suo è un invito al ministro a desistere?
«No, al contrario. Vanno bene le misure di sostegno economico ai deboli come vanno bene le scuole estive, i collegi italiani internazionali, l’internazionalizzazione dell’università, l’anticipazione della conclusione dei corsi di studio, lo sbocco professionale incoraggiato anche con misure fiscali. E anche il garante degli studenti».
E cos’è che non funziona?
«A parte le risorse economiche, indispensabili, ripeto: è l’impianto stesso della scuola che va cambiato. Imporre cento ore di didattica frontale è arcaico. Come anche l’idea che il merito da premiare sia solo individuale».
Si riferisce all’istituzione de “lo studente dell’anno”?
«Perché evidenziare tanto il premio individuale, pur utile, facendolo sentire una rara avis, e non premiare anche i gruppi capaci di collaborare tra loro? Non vorrei che qualcuno avesse nostalgia per il bel tempo andato. Io piuttosto parlerei di merito diffuso, da premiare in tutte le sue forme: anche i successi parziali e quelli raggiunti attraverso la cooperazione sono importanti perché il seme del merito si diffonda come elemento di promozione umana e non di selezione sociale come vuole la destra. Vorrei dare ancora un paio di suggerimenti al ministro».
Prego.
«Né università né scuola tollerano leggi-provvedimento. O un lungo elenco di inutili prescrizioni e adempimenti, che hanno il solo risultato di soffocare l’autonomia, che resta la novità più profonda introdotta nella scuola negli ultimi anni».
Il decreto a cui il ministro sta lavorando è un “lungo elenco di inutili prescrizioni”?
«Il mio consiglio è di scrivere una legge e non un regolamento che insista sui dettagli. Dico questo per salvare l’iniziativa che è provvida: eviterei le grida manzoniane, tenendo conto anche del numero di dipendenti amministrativi che la dovranno gestire Stimo molto Profumo, ma gli voglio ricordare che quando ero seduto al suo posto, se gli uffici mi portavano un provvedimento di venticinque articoli imponevo che me lo riducessero a non più di tre».
Si è parlato di un provvedimento che abbia la forma del decreto?
«Era questo il secondo suggerimento: il ministro abbandoni l’idea di procedere per decreto legge e chieda il concorso parlamentare. Certamente può essere opportuno un accordo tra governo e Parlamento per fissare tempi e termini dell’iter, ma è importante consentire la dialettica parlamentare; nella speranza che qualche gruppo arcaico non voglia in Parlamento far diventare ancora più lungo il testo presentato. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di un indigeribile, tanto per la scuola quanto per gli atenei, provvedimento burocratico».
l’Unità 12.06.12