«Apprezzo le aperture fatte da Bersani, le apprezzo molto, anche perché, mi creda, le primarie da sole, senza un vero coinvolgimento della società civile nelle scelte per il bene comune non bastano». Il professor Stefano Rodotà parla da un osservatorio per certi versi privilegiato: in modo «un po’distaccato, ma non indifferente». Un po’ distaccato, spiega, perché da tempo ha deciso di non ricoprire ruoli politici, «il motivo per cui ho rifiutato le proposte di candidatura, anche in Europa, è proprio questo: poter dire la mia in assoluta libertà».
Professore, il Pd lancia la sfida: primarie aperte. Secondo lei possono essere uno strumento per riappassionare alla politica e alla partecipazione?
«È vero che in questi anni c’è stato un elemento di antipolitica ma a mio giudizio è stato fatto un errore analitico considerando che tutto ciò che era fuori dal circuito ufficiale della politica fosse antipolitca. Non so neanche se si è trattato di un errore o di una convenienza politica per potersene liberare senza fare i conti con quello che si muoveva nella società. Nella società, invece, lo ripeto da tempo, non c’è solo antipolitica, ma un’altra politica e penso a quanto avvenuto nella seconda metà del 2010 e nel 2011».
Si riferisce ai movimenti?
«Mi riferisco a “Se non ora quando?”, alla grande mobilitazione che ha fatto sì che si scegliessero sindaci non indicati dai partiti, come a Milano e Napoli, per intenderci e poi ai movimenti referendari per l’acqua, contro le leggi ad personam e il nucleare. È un’altra politica, che è stata anche vincente, rispetto alla quale non c’è stata abbastanza attenzione. Per questo dico che soltanto le primarie, in quanto strumento tecnico, non sono sufficienti».
Ma Bersani ha annunciato il coinvolgimento della società civile, intellettuali, movimenti, anche per il programma di governo.
«Apprezzo molto l’apertura di Bersani, come ho apprezzato molto alla vigilia dei referendum la sua decisione di schierare il Pd, pur conoscendo le grandi resistenze che c’erano. Quello che bisogna evitare è quanto è avvenuto dopo, non soltanto da parte del Pd, sia chiaro, in Parlamento. Era stata individuata una nuova agenda politica alla quale non si è data attenzione, anzi c’è stato un vero boicottaggio istituzionale volendo cancellare i risultati dei referendum. Ora, in vista delle elezioni politiche l’agenda politica va scritta di nuovo e bisogna capire se anche quei temi posti allora entrano tra le priorità. A me piace molto vedere in televisione il segretario del Pd con dietro la scritta “Italia bene comune”. I beni comuni sono l’istruzione, la scuola, l’acqua, facciamoli entrare nell’agenda politica del governo dell’alternativa». Lei è tra i sottoscrittori del Manifesto di Alba, il nuovo soggetto politico degli intellettuali. Siete pronti a scendere in campo con una lista civica?
«Io sono tra i sottoscrittori, è vero, ma ho spiegato che a me interessa la discussione e non piacciono due cose: l’atteggiamento pregiudizialmente antipolitico e una certa pulsione a far diventare Alba un soggetto che produce una lista. A me interessa partecipare alla discussione, e infatti ero presente all’iniziativa della Fiom e sarò presente a tutte quelle che consentono di riaprire quel dibattito sull’agenda politica che sinora è mancato. Una identificazione, tra molte virgolette, di tipo partitico-movimentista, come movimento organizzato con Alba non ce l’ho».
Ma si sente chiamato in causa, o quanto meno la interessa questo percorso individuato dal segretario Pd sul coinvolgimento delle forze migliori della società civile?
«Ho sempre dato la mia disponibilità, a volte non gradita, ma ad un certo punto ho deciso di lasciarmi coinvolgere soltanto in imprese limpide, che non hanno zone d’ombra. Mi interessa partecipare ad una discussione in piena libertà, le adesioni formalizzate negli ultimi anni non mi hanno convinto». Proviamo a tirare le somme. Primarie e dibattito aperto sul programma possono essere una formula in grado di riappassionare i delusi e porre un freno all’astensionismo?
«Me lo auguro davvero, non servono più operazioni di ingegneria istituzionale. Ci vuole un forte contenuto politico, molto netto. Ho apprezzato molto, perché vedo che va in questa direzione, quanto ha detto Bersani sulle coppie gay. Tutta la questione dei diritti civili, ma direi dei diritti più in generale, è stata sommersa dall’ondata economicistica, ben prima della crisi economica. Su questi temi c’è stata una incapacità del centrosinistra di trovare una sua linea e la sua riconoscibilità, come schieramento, era offuscata dal fatto che non si potesse decidere. I cittadini non riuscivano a capire quale fosse la posizione e la strada indicata per il riconoscimento di questi diritti».
Quindi l’appello che lei lancia è alla chiarezza e al coraggio delle posizioni?
«I cittadini in questo momento di grande insicurezza e indeterminatezza sul futuro chiedono alla politica di avere delle posizioni chiare sui temi che si intendono affrontare. In questi anni abbiamo vissuto e stiamo vivendo una terribile regressione culturale, tutto quello che va nella direzione di rimettere al centro i contenuti, la realtà, i diritti delle persone, certamente fa guadagnare fiducia. Esistono movimenti, iniziative e gruppi che non si pongono fuori dal sistema istituzionale. Per questo le istituzioni non possono non accogliere questo bisogno di partecipazione».
l’Unità 11.06.12
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