A fianco dell’emergenza, che nelle ultime ore ha condotto all’eccezionale concessione di cento miliardi alle banche spagnole, la cancelliera ha suggerito, e non era la prima volta, di varare un cantiere di riforme istituzionali essenziali. Riforme destinate a centralizzare i meccanismi di armonizzazione, di controllo, di gestione e di valutazione delle politiche di bilancio. Le quali implicherebbero un sostanziale trasferimento di sovranità da parte degli Stati della zona euro. Angela Merkel non propone all’Europa una brusca svolta federalista, e ancor meno un super Stato federale, ma certo un passo avanti nell’integrazione. E questo, al di là della non esclusa intenzione di allungare i tempi per una vera politica di crescita, è un chiaro impegno europeista della cancelliera. Non si vuole rafforzare un’Unione essendo rassegnati a un suo naufragio provocato dal fallimento dell’euro.
La proposta della Merkel ha sollevato tra gli economisti indipendenti qualche obiezione per l’implicita nascita di un’Europa a due velocità, ma ha suscitato un’ampia approvazione
tra coloro che, come il governatore della Banca centrale europea, ritengono che la gestione della moneta unica suppone una politica di bilancio comune. Ma sul piano ufficiale non ci sono state risposte. E il silenzio rivela un evidente imbarazzo.
Il 23 maggio, al vertice europeo informale, riferendosi agli eurobonds, che significherebbero la mutualizzazione dei debiti sovrani, François Hollande ha dichiarato che se per i tedeschi essi rappresentano un punto d’arrivo, per lui sono invece un punto di partenza. La traduzione è che prima di accettare gli eurobonds, e i carichi che implicherebbero, Angela Merkel vuole creare meccanismi di controllo sovranazionali, poiché non si confida la carta di credito a qualcuno del quale non si possono controllare le spese. Hollande pensa invece che la mutualizzazione dei debiti sia un’emergenza da promuovere subito, senza aspettare le lunghe trattative necessarie per riformare le istituzioni.
È evidente che rilanciando l’idea di “unione politica” Angela Merkel ha ubbidito alla vecchia regola tattica, secondo la quale la miglior difesa è l’attacco. Ma la sua idea trova una breccia nella nuova presidenza francese, poiché sia François Hollande sia il suo ministro delle finanze, Dominique Moscovici, sono da sempre europeisti convinti.
Il neo presidente è cresciuto all’ombra di François Mitterrand e di Jacques Delors, che sono stati storicamente all’origine dell’euro. Ma nel governo socialista ci sono anche ministri, come quello degli esteri, Laurent Fabius, che hanno votato “no” al referendum sull’Europa del 2005. E l’idea che il trasferimento di sovranità nazionale e quindi il necessario ritocco della Costituzione possano condurre a un nuovo referendum provoca comprensibili incubi, in coloro che, come i socialisti, hanno appena conquistato l’Eliseo, dopo diciassette anni di astinenza.
La Francia è gelosa della propria sovranità nazionale ed è refrattaria a cederne ulteriori pezzi all’Unione europea come chiede Angela Merkel. Nell’attesa dell’esito delle elezioni politiche François Hollande doveva mantenere il silenzio per non urtare i suoi elettori euroscettici, sovranisti, e non compromettere il risultato.
Quello del primo turno, annunciato ieri sera, sembra avergli garantito al ballottaggio di domenica prossima la maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale. Egli potrà quindi disporre a partire dal 17 giugno (prima del mini vertice del 22 a Roma con Merkel e Monti, e di quello europeo del 28-29 giugno a Bruxelles) di un potere molto esteso: la sinistra controllerà per quella data l’Assemblea nazionale, avendo già quello del Senato, delle regioni (meno una, l’Alsazia) e delle principali città di Francia (meno Marsiglia, Bordeaux e Nizza). È una situazione che gli dà una stabilità eccezionale e la libertà di affrontare i problemi europei più scottanti con un’ampia libertà di manovra. Anche quella di contrastare gli umori nazionali nel trattare con Angela Merkel la proposta di una “unione politica” più stretta, e la conseguente rinuncia a porzioni di sovranità nazionale. In cambio della quale potrebbe ottenere quel che chiede sul fronte della crescita. O perlomeno ridurre i “niet” della cancelliera.
Se in Francia si irrobustisce la posizione di François Hollande, campione della crescita, in Germania la posizione di Angela Merkel è tutt’altro che promettente. Al Bundestag dispone di una maggioranza confortevole (19 voti) ma il 27 febbraio, quando si doveva approvare il secondo piano di aiuto
alla Grecia, 26 deputati di destra si sono astenuti o hanno votato contro. Angela Merkel ha fatto passare la legge con il sostegno della sinistra. E i sondaggi lasciano intravedere una futura “grande coalizione” con i socialdemocratici dopo le legislative del prossimo anno. Di fatto questa sembra già in funzione. Ma la situazione resta politicamente confusa e si riflette sul comportamento non sempre chiaro della cancelliera. La quale si dimostra tuttavia più aperta alle richieste degli altri europei.
La Repubblica 11.06.12