Se il governo chiederà davvero la fiducia sul ddl anticorruzione, e se la Camera l’approverà, ci troveremmo di fronte ad un’ulteriore «tacca» che l’esecutivo potrebbe inserire nel suo carnet di provvedimenti positivamente assunti nell’interesse del Paese. La riforma non è, in astratto, la migliore possibile. Di fronte al dilagare della corruzione sarebbe stato opportuno essere più drastici: ripristinando la vecchia durata della prescrizione, vergognosamente accorciata dalla legge ex Cirielli; reinserendo (o inserendo ex novo) reati utili a colpire le provvigioni di denaro «nero», usuale premessa per l’esecuzione di operazioni corruttive (recupero di reati quali il falso in bilancio, repressione più pesante delle false fatturazioni, introduzione del reato di autoriciclaggio); prevedendo minimi di pena più elevati; disciplinando in maniera più incisiva talune fattispecie (pur opportunamente introdotte nel nuovo testo legislativo) come la corruzione tra privati e il traffico d’influenze.
In concreto, l’articolato proposto costituisce tuttavia uno dei testi «migliori» praticabili nell’attuale, difficile, contesto politico.
Esso adempie, finalmente, agli impegni internazionali assunti dallo Stato italiano (Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite, Convenzione di Strasburgo); rispetto alla legislazione vigente rafforza in modo rilevante gli strumenti di prevenzione e repressione contro la corruttela; sotto diversi profili si allinea ai meccanismi di contrasto utilizzati dalla maggior parte delle legislazioni europee.
In questo contesto, nell’impossibilità «politica» di realizzare una legislazione ancora più incisiva, è preferibile fare saltare l’intera riforma (in attesa di ipotetici tempi «migliori») ovvero approvare la soluzione «compromissoria», ma tutto sommato equilibrata, elaborata dal governo? Personalmente non avrei dubbi: poiché il disegno di legge prevede l’introduzione d’istituti amministrativi di forte impatto nella lotta alla corruzione e rafforza, pur con diverse timidezze, l’attuale livello della repressione penale, perché soprassedere, rinunciando a un significativo passo avanti nella lotta alla corruzione?
Per dare, sia pure brevemente, conto dell’utilità di approvare il progetto mi sembra opportuno riassumere alcuni dei suoi profili qualificanti. Il ddl prevede d’introdurre, in attuazione dell’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite e degli artt. 20 e 21 della Convenzione di Strasburgo, una «Autorità nazionale anticorruzione» deputata a realizzare attività coordinata di controllo e di prevenzione della corruzione e ad approvare un «Piano nazionale anticorruzione» in grado di programmare il contrasto dei fenomeni corruttivi; assicura trasparenza alle pubbliche amministrazioni prescrivendo la pubblicazione sui siti istituzionali delle informazioni relative ad ogni procedimento amministrativo; prescrive la pubblicità delle posizioni dirigenziali in modo da rendere palesi gli assetti decisionali delle pubbliche amministrazioni; prevede norme a protezione dei dipendenti pubblici che riferiscano condotte illecite; prevede norme di controllo delle imprese esposte al rischio d’infiltrazioni mafiose; prevede, novità davvero rilevante, l’adozione di norme in tema di divieto a ricoprire cariche elettive e di governo conseguente a sentenze definitive di condanna.
In materia penale prevede a sua volta un aumento pressoché generalizzato delle sanzioni (ancorché non sempre adeguato alla gravità di ciascun illecito previsto); introduce (sia pure in modo perfettibile) alcuni nuovi reati, come il traffico d’influenze illecite, particolarmente importante per colpire indebiti arricchimenti di pubblici ufficiali sganciati dal compimento di specifici atti di ufficio, e (sia pure con una configurazione non del tutto adeguata alla pluralità degli interessi offesi) la corruzione tra privati; per effetto degli aumenti delle sanzioni determina un allungamento (sia pure non sufficiente) dei tempi della prescrizione di buona parte dei reati previsti.
Perché allora, come dicevo, non approvare un progetto che, ancorché perfettibile, contiene comunque norme che migliorano, e di non poco, lo standard della nostra legislazione anticorruzione?
Rimane, a questo punto, un’unica obiezione, riguardante il cosiddetto «spacchettamento» del delitto di concussione. Si tratta di questo. Nel ddl anticorruzione la «induzione» a dare o promettere utilità al pubblico ufficiale (oggi punita come concussione al pari della «costrizione» a pagare usando violenza o minaccia) viene estrapolata dal delitto di concussione e prevista come reato autonomo. Con questa innovazione s’intende trattare come vittima del reato (e pertanto come soggetto non punibile) soltanto chi paga la tangente perché «costretto», e punire invece chi si è lasciato semplicemente «indurre» a farlo. L’innovazione tende a rendere più incisiva la disciplina anticorruzione, evitando ampliamenti non giustificati dell’ambito d’impunità di chi, nella sostanza, è concorrente nel reato e non vittima dello stesso (si badi che in nessun altro Paese europeo si prevede il delitto di concussione per induzione: il privato «indotto» è sempre punito a titolo di concorso in corruzione).
Ebbene, si sostiene dai critici più accesi, con questa innovazione il governo tecnico, cedendo alle pressioni del Pdl, e con l’avallo del Pd, favorirebbe, nei fatti, Berlusconi, imputato di concussione per induzione del processo Ruby, in quanto i suoi difensori, dopo l’approvazione della riforma, avranno buon gioco nel sostenere che il reato di concussione per induzione è stato abrogato e che, pertanto, il loro assistito deve essere conseguentemente assolto.
Tecnicamente, quest’obiezione non sta in piedi. Il reato d’induzione a pagare tangenti al pubblico ufficiale, se la riforma dovesse essere approvata, non risulterebbe abrogato, ma sarebbe, semplicemente, previsto come un reato autonomo; in base ai principi vigenti in materia di successione di leggi penali, trattandosi di cambiamento della disciplina di un fatto che era, e continua ad essere, reato, troverà applicazione la norma penale più favorevole al reo. Berlusconi, ove venisse riconosciuto colpevole dei fatti ascrittigli, dovrebbe essere pertanto in ogni caso condannato, tutt’al più con una pena leggermente inferiore.
La Stampa 11.06.12