L’11 giugno di 28 anni fa moriva a Padova Enrico Berlinguer. Il suo tratto umano, la sua passione politica, il suo impegno rigoroso sono ancora nel cuore di tanti italiani. Anche di giovani che lo hanno conosciuto solo attraverso letture e racconti. Anche di cittadini delusi che oggi guardano alla politica con distacco e sfiducia. Il mondo, l’Italia sono profondamente cambiati da allora. Ma le idee di Berlinguer e la sua eredità conservano un grande valore. Politico, non solo etico. È vero che Berlinguer era comunista e che, entro quell’orizzonte ideale ha combattuto la battaglia della vita prima della caduta del Muro, ma era un comunista italiano. E di questa storia originale, di questa cultura fondativa della nostra vicenda costituzionale, di questo affluente che ha innervato e contribuito ad ampliare il circuito democratico del Paese, Berlinguer ha espresso le punte più avanzate. Ne è stato un traino. Ha raccolto un testimone e lo ha portato avanti, molto avanti.
La memoria, la storia sono parti costitutive della politica. Non sono mai separate dalla battaglia dell’oggi. Le stesse idee di rinnovamento, proprio perché propongono e preparano un cambiamento, non possono non contenere una lettura della storia. Altrimenti cosa vorrebbe dire innovare? Cancellare il passato e far finta che il mondo possa ricominciare da zero? Questa semplificazione «nuovista», purtroppo, è stata più volte riproposta nella cosiddetta seconda Repubblica. L’oblio della storia, il taglio delle radici costituzionali, la condanna implicita dei partiti popolari sono stati indicati come la catarsi necessaria per approdare nella modernità. Il nuovismo è diventato parte dell’ideologia di questi anni. E in questo penoso epilogo di seconda Repubblica si torna alla carica.
Non a caso la polemica tra gli storici si sta facendo più intensa. Non a caso tanta attenzione viene oggi riservata ad Antonio Gramsci (l’autore italiano più letto nel mondo dopo Dante Alighieri): si vuole separare Gramsci dal nucleo originario e vitale del comunismo italiano e far apparire Palmiro Togliatti come un passivo esecutore dei diktat staliniani, in questo modo togliendo al Pci la caratura e la dignità di soggetto promotore della ricostruzione democratica, e soprattutto tagliando ogni radice che possa arrivare fino a noi. Per fortuna Giuseppe Vacca ha da poco dato alle stampe un bellissimo libro su Gramsci, che contiene importanti risposte con le quali l’intera comunità scientifica dovrà confrontarsi.
Ma a ben guardare anche la memoria di Aldo Moro continua ad essere sottoposta a un trattamento spietato: la polemica sulla prigionia e sulla trattativa ha quasi oscurato agli occhi dei contemporanei la lezione politica e civile dello statista, che più di ogni altro ha guidato l’allargamento delle basi democratiche e incarnato la peculiarità del cattolicesimo politico italiano. In questo caso le mode nuoviste si sono mescolate con un’indulgenza culturale delle nostre élite verso i terroristi, come ha coraggiosamente scritto Miguel Gotor.
Berlinguer, è vero, è stato in parte risparmiato da tanto aggressivo revisionismo. Era comunista, tuttavia era troppo dentro la modernità per poter subire un trattamento come quello di Togliatti o di Moro. Si è cercato però di depotenziare il suo messaggio, estraendo solo la «questione morale» e cercando di piegarla ad una invettiva contro i partiti. Quasi che lui, comunista, fosse un precursore dell’antipolitica. Berlinguer invece va riletto per intero. È un segno di rispetto, ma è anche il modo per ricevere di più dalla sua testimonianza. Il Berlinguer dell’austerità come leva di un nuovo sviluppo. Il Berlinguer della democrazia come valore universale (discorso pronunciato a Mosca, nel 60esimo della Rivoluzione d’ottobre). Il Berlinguer della laicità e del dialogo con i cattolici nella lettera a monsignor Bettazzi. Il Berlinguer del compromesso storico. Il Berlinguer del movimento di liberazione delle donne. Il Berlinguer dei nuovi bisogni e dell’emergenza ecologica. Il Berlinguer della diversità.
La questione morale fu la grande intuizione e il grande assillo degli ultimi anni della sua vita. Il blocco del sistema politico, seguito alla fine tragica della solidarietà nazionale, aveva iniziato a produrre quei fenomeni corrosivi che avrebbero poi portato al collasso della prima Repubblica. Berlinguer li comprese in anticipo. Ma la sua fu sempre, innanzitutto, una denuncia politica finalizzata a produrre un cambiamento reale. Del resto, il blocco del sistema era stato la risposta al progetto nel quale lui e Moro, muovendo da sponde diverse, avevano creduto.
Ricordare Berlinguer oggi non è, dunque, solo un atto di omaggio che ci consente di alzare la testa dall’affanno quotidiano. È parte della battaglia politica per il centrosinistra di domani. Perché la polemica sulla storia riguarda anzitutto il Pd, la sua natura, la sua identità. Il Pd è davanti a un bivio: cedere ad un nuovismo senza radici oppure progettare il futuro sentendosi parte viva della migliore storia nazionale. Rassegnarsi ad una società di individui, senza autonomia dei corpi intermedi e senza vere battaglie sociali, oppure essere ancora il «partito della Costituzione» e del cambiamento.
L’Unità 10.06.12