Non c’è solo l’aumento della benzina tra le voci che serviranno per gli interventi in Emilia. L’articolo 2 del decreto legge firmato mercoledì sera da Giorgio Napolitano stabilisce che il «fondo per la ricostruzione delle aree terremotate» sarà alimentato anche «con le somme derivanti dalla riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti politici e dei movimenti politici». Un lavoro ancora in corso, quello dei tagli al finanziamento pubblico. Ma che, in base ai calcoli fatti dopo il primo sì della Camera, dovrebbe fruttare 160 milioni di euro. Una somma non risolutiva per rimettere in piedi quelle terre, dove le prime stime parlavano di almeno 5 miliardi di danni. Ma che, visti i tempi, ha un valore simbolico.
Avrà invece effetti concreti il cosiddetto «accertamento di stabilità temporaneo». Ne ha parlato lo stesso Napolitano, lasciando intendere che c’è stato un certo pressing di Confindustria. Si tratta del meccanismo pensato per far ripartire il prima possibile l’attività delle imprese, «immaginando un percorso in due tappe» come spiega Gian Carlo Muzzarelli, assessore alle Attività produttive della regione. I capannoni danneggiati potranno aprire di nuovo dopo aver adottato, entro sei mesi, tre misure di sicurezza minime. E cioè il collegamento fra pilastri (verticali) e travi (orizzontali), l’ancoraggio dei pannelli prefabbricati alla struttura e la controventatura delle scaffalature. Accorgimenti spesso assenti nei capannoni costruiti prima del 2004, quando quel pezzo di Emilia non era ancora considerato a rischio. «Si tratta di dare un’imbullonatura alle strutture per ripartire subito in sicurezza» dice l’assessore regionale. Una volta ottenuto il certificato che attesta il rispetto di questi tre requisiti, le aziende potranno tornare a produrre. Ma la loro sarà un’autorizzazione provvisoria perché entro 18 mesi dovranno ottenere la «certificazione di agibilità sismica»: e a questo punto non basteranno solo quei tre accorgimenti ma dovranno rispettare tutte le norme antisismiche.
Ma perché è stato aggiunta quella tappa intermedia? La prima ordinanza firmata dal capo dello Protezione civile Franco Gabrielli era stata molto criticata dagli imprenditori. Quel documento stabiliva che si potesse tornare nei capannoni solo con la certificazione definitiva, quella che adesso si dovrà avere entro 18 mesi. Prevedeva sì controlli accelerati, visto che poteva essere l’imprenditore a chiedere il certificato ad un libero professionista senza aspettare le ispezioni dei tecnici comunali. Ma per i vecchi capannoni ottenere l’autorizzazione sarebbe stato impossibile. Da qui la richiesta degli imprenditori per avere procedure più elastiche. Un pressing al quale il capo della Protezione civile ha reagito con un certo fastidio: «Mi accusano di eccesso di zelo? Posto di fronte all’alternativa di salvare una vita o salvare lo spread io non ho nessun tipo di indecisione», aveva detto Gabrielli. Il decreto firmato due giorni fa da Napolitano cerca una mediazione, difficile, tra quelle due esigenze.
Nei 20 articoli del decreto c’è anche un’altra modifica importante. La fine dello stato d’emergenza viene rinviata dal 21 luglio di quest’anno al 31 maggio del 2013. Salta così il limite dei 100 giorni appena introdotto dal governo con la riforma della Protezione civile per mettere un freno alle procedure speciali possibili in questo periodo anche per le spese. È vero che la legge prevede la deroga in casi eccezionali. Ma alla prima vera applicazione la riforma ha perso un pezzo.
Il Corriere della Sera 08.06.12