Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri il piano nazionale per la famiglia. Non era mai successo, prima. È la prima volta che il nostro Paese si dota di un piano organico che punta specificatamente sulla famiglia come soggetto di investimenti. Andrea Riccardi, il ministro che in questo governo ha appunto la delega per la Famiglia, era molto soddisfatto. Anche se di soldi concreti per gli investimenti, in realtà, non ce ne sono poi granché, fino ad ora. Ci sono 81 milioni che arrivano proprio dal ministero di Riccardi e serviranno per gli asili nido e per l’assistenza domiciliare agli anziani. E poi ci sono altri 730 milioni, sempre destinati ai nidi e all’assistenza degli anziani, ma questi soldi sono riservati soltanto a quattro regioni del Sud Italia (Puglia, Sicilia, Calabria, Campania) perché sono i fondi europei riallocati grazie al piano di azione di Fabrizio Barca, ministro per la Coesione.
Sono tre le priorità fissate in questo piano approvato ieri: le famiglie con minori (in particolare quelle numerose); le famiglie con disabili o anziani non autosufficienti; le famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli. Ed è su queste linee guida che le quattro regioni coinvolte dal piano del ministro Barca si sono mosse: hanno distratto fondi europei da progetti rimasti soltanto sulla carta e li hanno spostati sugli asili nido (400 milioni in tutto) e sull’assistenza domiciliare agli anziani (330 milioni).
Questo è il concetto base del piano famiglia: le amministrazioni pubbliche (locali o centrali che siano) devono orientarsi sui criteri proposti nelle linee guida. Che spaziano dall’equità economica (fiscalità generale, tributi locali, revisione dell’Isee) alle politiche abitative, al lavoro di cura familiare, al privato sociale e reti associative familiari, ai sostegni alle famiglie immigrate, ai servizi consultoriali e di informazione, alle pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro.
«Questo piano è un traguardo importante perché ribadisce la centralità e l’importanza dell’istituto familiare», ha detto il ministro Riccardi. E ha aggiunto: «Il piano contiene le linee di indirizzo omogenee in materia di politiche familiari attraverso una strategia che supera la logica degli interventi disorganici e frammentari avuti sino ad oggi». La qualità degli interventi, va da sé, dipenderà dalla quantità di finanziamenti che si riuscirà a portare concretamente dentro questo piano, un plico di oltre trecento pagine che per molto tempo girava nelle stanze di Palazzo Chigi.
Ci avevano già provato il ministro del governo Prodi Rosi Bindi e, soprattutto, quello del governo Berlusconi Carlo Giovanardi. Ma la bozza del piano famiglia non era mai riuscita a superare lo scoglio della conferenza unificata Stato-Regioni. Ieri , invece, il via libera di Palazzo Chigi.
Adesso, però, bisognerà vedere se supererà lo scoglio dei sindacati. Severo e immediato è arrivato il giudizio della Cgil, per bocca del segretario confederale Vera Lamonica: «Questo piano è un manifesto ideologico e in più senza soldi. Per sussidiarietà familiare si intende che tutto il peso della cura andrebbe a carico della famiglia e cioè delle donne e si realizzerebbe un altro pesante arretramento nella responsabilità pubblica».
Ben più conciliante il giudizio dell’Ugl. «Il piano approvato oggi è uno strumento importante», ha detto Loretta Civili, responsabile per il Dipartimento della Famiglia. Ma poi ha aggiunto. «Aspettiamo comunque che il governo convochi i sindacati per l’attuazione concreta del piano».
Il Corriere della Sera 08.06.12