La parola “meritocrazia” fu coniata da un sociologo inglese laburista Michael Young agli inizi degli anni ’50. Il libro «L`origine della meritocrazia» fu pubblicato in italiano dalle edizioni di Comunità, di Adriano Olivetti. È un divertentissimo libro di fantasociologia, in cui, dopo aver all`inizio fatto l`elogio del termine contrapposto alle varie aristocrazie e gerontocrazie dominanti, mostra le assurdità di una società in cui ricchezza e potere vengono distribuiti sulla base di risultati scolastici e ancor peggio dei quozienti di intelligenza. La casta che ne deriverebbe, secondo Young, sarebbe ancora più chiusa, impermeabile, escludente, delle vecchie caste a cui si contrappone. In particolare la scuola finirebbe per rendere la selezione sempre più precoce concentrando sui pochi le eccellenze educative, ed aumentando a dismisura la selezione e la dispersione di quanti non si adeguano agli standard di intelligenza dagli stessi «intelligenti» definiti. Alla scuola della meritocrazia, sulle orme di Dewey, Young contrappone la scuola della democrazia, che è quella capace di valorizzare le diverse intelligenze e le diverse capacità di tutti i ragazzi, senza gerarchie ed alti e bassi predefiniti tra di esse, ma capace di dare valore al sapere delle mani, degli occhi, delle orecchie. E costruendo, nel momento stesso in cui riconosce le differenze individuali di merito acquisite con i diversi saperi, una comune idea di cittadinanza democratica, di partecipazione, secondo le diverse capacità, alla costruzione del bene comune. Mi è tornato in mente il vecchio libro di Young, e il vecchio ma sempre giovane «Scuola e democrazia» di Dewey, a proposito dell`enfasi del tutto spropositata che si dà alla questione del «merito» nel provvedimento legislativo di recente annunciato dal ministro Profumo. Ma questa enfasi risulta fuori luogo non solo rispetto ai sacri testi della pedagogia democratica, ma anche da una attenta disamina dei veri «spread» della scuola italiana rispetto agli altri sistemi scolastici. Se si guardano i dati dell`indagine Ocse-Pisa si scopre che tutti i Paesi che raggiungono livelli alti di eccellenza qualitativa sono anche Paesi in cui non c`è quasi dispersione scolastica. Il tasso di dispersione scolastica e il non raggiungimento di standard qualitativi elevati vanno assolutamente insieme. La Finlandia ha i livelli più alti di eccellenza e non boccia nessuno, porta quasi la totalità dei ragazzi a pigliare il diploma a 18 anni. I Paesi che stanno peggio di noi dal punto di vista qualitativo stanno peggio di noi nei livelli di dispersione scolastica. L`idea che per recuperare serietà dobbiamo concentrarci sui migliori non solo è iniqua, ma non funziona. Sia l`eccellenza che la lotta alla dispersione richiedono una scuola che sia flessibile e capace di personalizzare i propri obiettivi, richiedono autonomia perché il lavoro che bisogna saper fare per tenere dentro un ragazzo in difficoltà e il lavoro teso a valorizzare le eccellenze fanno parte della stessa professionalità. Una scuola inclusiva- la scuola del «non uno di meno»- e la scuola capace di valorizzare le eccellenze non sono due realtà contrapposte, ma vanno insieme. L`Italia ha tanti difetti, ma il più grave, secondo sempre i dati Ocse, è che ha il più basso indice di equità. È fra tutti i Paesi europei, quello in cui le differenze non risultano da attitudini individuali, ma risultano dal tipo di scuola che frequenti, da dove sei nato e dal livello di istruzione dei genitori. Se si vuole fare i conti con questo handicap occorre allora dare priorità ai fattori che segnano più di ogni altro questo differenziale di equità. La scuola dell`infanzia, a partire dalla valorizzazione della valenza educativa degli asili nido, che è il terreno prioritario per superare le differenze che derivano dai diversi contesti familiari, e la diffusione sul territorio di esperienze di educazione degli adulti. La variabile territoriale è decisiva. Quanto le città lavorano per mettere in rete le scuole tra loro e per mettere in rete le scuole con le opportunità educative del territorio, quanto cioè sanno essere o non essere città educative, è un elemento fondamentale del successo scolastico. Le scuole dell`autonomia funzionano più o meno bene quando non sono sole, quando sono inserite in una rete di opportunità. L`immigrazione, l`accoglimento e l`integrazione di alunni provenienti da Paesi diversi dal nostro, è oggi il primo terreno di verifica di questa capacità.
l’Unità 07.06.12