Alla direzione di domani il segretario del Pd punta a dare il messaggio di un partito che si apre alla società civile. No ai ricatti del Pdl sulle riforme. «Domani in direzione sentiremo cose parecchio interessanti», commenta un deputato piuttosto informato. Il segretario Pier Luigi Bersani non solo ribadirà la propria intenzione a candidarsi per la premiership ma aprirà a primarie di coalizione. È questa la notizia che filtra dal Nazareno. «Il messaggio che vogliamo dare al Paese è quello di un partito che si apre alla società civile sotto tutti i punti di vista».
Dunque l’idea su cui starebbe ragionando il segretario è quella di primarie aperte da fare in autunno, quando ormai sarà chiaro il destino della riforma elettorale. Ne ha parlato a lungo con i dirigenti del partito, da Dario Franceschini, a Walter Veltroni a Massimo D’Alema e Franco Marini, poi ha chiamato anche i segretari regionali per informarli del «cambio di passo» che la direzione di domani è destinata a segnare. Bersani è pronto a mettersi in gioco, convinto che a questo punto sia davvero necessaria una nuova legittimazione per arrivare alle elezioni del 2013 e dai colloqui avuti finora sarebbero in molti ad avergli assicurato l’appoggio anteponendo la necessità per il partito di restare compatto a tutto il resto. Non ne fa mistero il governatore della Toscana Enrico Rossi: «Io sono per Bersani, perché sono una persona disciplinata. È lui il nostro candidato. Io, come direbbe Bersani, appartengo a una bocciofila che si chiama Pd e come tutte le bocciofile ha uno statuto che prevede che il segretario regolarmente eletto sia anche il nostro candidato premier per le elezioni». Ma se dovesse cambiare la legge elettorale e quindi saltare la logica della coalizione che non è prevista né dalla bozza Violante né dal doppio turno francese che al primo round vede i partiti correre da soli la questione primarie si presenterà comunque: da Matteo Renzi a Pippo Civati la richiesta è di aprire le consultazioni interne e dunque il relativo congresso.
E proprio sulla legge elettorale il segretario tornerà alla carica: la priorità assoluta per il Pd in Parlamento è quella di incalzare tutte le forze politiche ad approvare la riforma e a non cedere al ricatto del Pdl che appoggerebbe la legge elettorale soltanto in cambio del semipresidenzialismo. «Non accettiamo ricatti, il Pd dice sì alla riforma elettorale e a quelle all’esame del Senato, a partire dalla riduzione del numero dei parlamentari avrebbe spiegato il segretario durante i confronti di questi ultimi giorni -. Non si può pensare di cambiare la Costituzione con un emendamento». Linea ribadita anche dalla capogruppo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro: «La riforma dello Stato in senso semipresidenzialista è una cosa seria che innanzitutto non può essere fatta se prima non si approva una legge sul conflitto di interessi seria, presente in tutti i paesi in cui vige un regime presidenziale o semi presidenziale. Poi una riforma che cambia la forma di governo, travolgendo il nostro impianto costituzionale di Repubblica parlamentare, richiede quantomeno una discussione pubblica e articolata, non è roba che si fa con un emendamento, per di più presentato per l’Aula». Nel Pdl è già partito l’attacco frontale, come ha anticipato ieri Angelino Alfano secondo il quale ci sarebbe tutto il tempo per approvare la riforma non fosse per il Pd che si mette di traverso.
D’altra parte il rischio di impantanare tutto è altissimo: mettere troppa carne sul fuoco può essere il tentativo estrema del centrodestra di far bruciare tutto e lasciare soltanto fumo. Per questo il Pd nella direzione di domani vuole giocare d’anticipo, ribadire la necessità di andare avanti con la legge elettorale, di avviare la fase del rinnovamento e dell’apertura alla società civile, tanto che il segretario lancerà l’appello «alle forze migliori del Paese», intellettuali, movimenti, associazioni, per dare il proprio contributo al programma dell’alternativa, annunciando sarebbe meglio dire ribadendo l’allargamento dei confini del proprio partito. La sfida della prossima legislatura che secondo il segretario dovrà essere “costituente” proprio a partire dalla riforma sul semipresidenzialismo sarà la sfida del futuro del Paese sia sul piano economico sia sul piano politico. E se l’appoggio a Monti non è in discussione è pur vero che secondo Bersani adesso è il momento di dare quei segnali che il Pd chiede al governo da tempo per la crescita. Segnali in Italia ma anche in Europa, dove l’asse Monti-Hollande potrebbe creare le condizioni per un cambio di rotta, come lo stesso Obama chiede dagli States. Se l’Europa non cambia la sua strategia nel giro nel prossimo mese secondo Bersani il rischio dell’effetto domino è altissimo: dalla Grecia alla Spagna al Portogallo lo scivolamento anche degli altri Paesi sarebbe difficile da evitare.
l’Unità 07.06.12