E’ una buona notizia la calendarizzazione in aula du proposta del
PD per la fine di giugno della legge sulla cittadinanza. «Chi nasce e cresce in Italia è italiano» è una battaglia che il Pd ha condotto con grande determinazione e che intende perseguire fino al traguardo della modifica legislativa. La nostra è una battaglia che viene da lontano, il primo testo di legge di modifica (Turco, Violante, Montecchi) lo depositai personalmente nell’agosto del 2000 e raccoglieva l’elaborazione della Commissione per le politiche d’integrazione della Presidenza del consiglio dei ministri che il governo Prodi aveva insediato sulla base della Legge 40/98. Tale Commissione, presieduta dalla professoressa Giovanna Zincone, aveva promosso un’accurata ricerca e svolto un importante convegno (Febbraio 1999) che aveva riunito esperti, personalità politiche e religiose per discutere del tema della cittadinanza, con centrandosi in particolare sulla condizione dei minori.
Negli anni successivi, prima l’Ulivo poi il Pd, hanno sempre rinvenuto in questo tema una priorità. In questa legislatura, fin dai primi mesi, l’iniziativa di Claudio Bressa, Roberto Zaccaria, Sesa Amici, Jean-Leonard Touadì e Andrea Sarubbi nella Commissione affari costituzionali è stata incalzante. Si è arrivati al testo unificato elaborato dalla relatrice Isabella Bertolini, che noi abbiamo criticato perché non comporta nessun miglioramento significativo rispetto alla situazione attuale. Quest’iniziativa legislativa, è stata accompagnata da una mobilitazione dei «nuovi italiani» del Forum del Pd. La novità di cui il Parlamento nel suo insieme, e dunque anche i colleghi del centrodestra, devono tenere in considerazione, è il clima culturale nuovo che si è determinato nel Paese. La campagna «L’Italia sono anch’io», promossa da un cartello di sindaci ed associazioni, che prese le mosse due anni fa a Reggio Emilia, ha coinvolto numerosissime persone raccogliendo migliaia di firme. Un fatto importante e non scontato in momento difficile nella vita del nostro Paese che ha avuto il merito di sollecitare ciascuno di noi a guardare oltre se stesso, accorgersi per la prima volta che questi ragazzi e ragazze, nonostante siano come noi, non possono declinare la loro identità, non possono dirsi italiani e sono al contempo vittime di discriminazioni. Stranieri nel Paese dove sono nati e cresciuti. Insomma, quella raccolta di firme, è stata un’occasione di crescita culturale e civile del nostro Paese, sostenuta dalle parole importanti del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dalle iniziative di tanti sindaci che hanno conferito la cittadinanza onoraria ai giovani nuovi italiani. Dunque occorre stringere. Il Parlamento e tutte le forze politiche possono rapidamente trovare un accordo e compiere un gesto di saggezza verso il Paese, un gesto di speranza e di umanità che guarda al futuro dell’Italia e dell’Europa. Perché questo concetto è in gioco quando ci si pone la domanda «Chi è il cittadino italiano in questo terzo millennio?». Non è un omaggio agli immigrati o ai figli degli immigrati. È un tratto di identità culturale del nostro Paese. Noi legislatori, dobbiamo guardare all’Italia e al suo bene comune.
Ciò richiede che ciascuno deponga le armi, rinunci al suo progetto originario e si metta a disposizione per la costruzione di una soluzione condivisa, si individui un punto di incontro. Non è difficile. Bisogna innanzitutto rimuovere quel «risiedere ininterrottamente per 18 anni in Italia» come condizione per rivolgere domanda di cittadinanza. È l’aspetto più odioso della nostra legge che non ha eguali in Europa. Nella proposta del Pd si prevedono due ipotesi. Quando il figlio nasce in Italia da genitori stranieri che sono in Italia da 5 anni e dunque hanno un progetto d’integrazione, i genitori stessi possono chiedere la cittadinanza per il figlio che sarà poi confermata dal diretto interessato al compimento del 18esimo anno. Per i ragazzi/ragazze che arrivano in età scolare in Italia, la domanda di cittadinanza può essere presentata al termine del ciclo di studi.
Credo che una buona mediazione possa essere costruita valorizzando i percorsi di formazione e inclusione per fare sì che l’acquisizione della cittadinanza italiana ne sia espressione oltre che motore. L’ipotesi potrebbe essere quella di prevedere, anche per chi nasce in Italia, il legame tra frequenza scolastica e domanda al riconoscimento della cittadinanza per esempio prevedendo che i genitori stranieri, che vivono in Italia da cinque anni, possono rivolgere domanda di cittadinanza al momento del compimento del quinto anno di età, cioè al momento di inizio della scuola primaria. La scuola, come sappiamo, è il laboratorio di una nuova cittadinanza culturale attraverso l’esperienza quotidiana della convivenza tra ragazzi e ragazze provenienti da diverse origini e attraverso l’educazione interculturale. Quest’ultima dovrebbe diventare parte integrante nella programmazione e nello sviluppo dell’attività didattica di tutte le scuole italiane. Per chi arriva in Italia in età scolare la domanda di acquisizione della cittadinanza dovrebbe avvenire al compimento del primo ciclo scolastico. La scuola di oggi è lo specchio della società di domani, per ciò occorre rendere stringente il legame tra scuola e cittadinanza. Crediamo sia questa la chiave per una soluzione equilibrata. È importante che questa battaglia ricominci a vivere nel nostro Parlamento, così come in Europa, anche grazie alla mobilitazione promossa dal capogruppo Pd nel Parlamento europeo David Sassoli insieme a tutto il gruppo dei Socialisti e Democratici europei.
l’Unità 03.06.12