La crisi che tormenta l’Europa assume in Italia un profilo tutto suo: l’enormità del debito pubblico. Tra le sue cause, uno statalismo salvifico, pigliatutto, di cui è impregnata la nostra cultura più diffusa. Anche per questo l’abnorme ricorso al debito – ostacolo costante a politiche di crescita – ha provocato, tra l’altro, assistenzialismo, paternalismo, populismo, e ha impedito la capacità di rinnovamento di realizzate conquiste. Ciò contrasta con una società che mostra vivacità interna, anche se frenata da chiusure, corporativismi, soffocanti microprivilegi. Come aiutare una tale ricchezza sociale ad essere protagonista di una piena democrazia partecipativa? Purtroppo, non aiuta come dovrebbe il sistema educativo, ormai invecchiato, ancora ministeriale, di prevalente trasmissione del sapere, impotentemente autoritario, che colloca l’Italia indietro nel mondo evoluto e sciupa la nostra risorsa principe, la risorsa umana. Che è riuscito finora a rallentare la più bella rivoluzione moderna, la scuola per tutti, immobilizzando su quegli arcaici banchi l’energia di moltitudini di aspiranti al sapere, in altri Paesi carte vincenti dello sviluppo. Di qui l’«emergenza educativa» di cui parla Beppe Vacca nel suo bell’articolo pubblicato qualche giorno addietro da questo giornale. Per ridare pienamente la carica al Paese, l’obiettivo è la «società educante». L’istruzione-educazione è motore di civiltà, è anche produttore di ricchezza: masolo a condizione che essa cambi natura nel profondo. Il sapere deve essere una conquista, non più una trasmissione. L’apprendimento deve essere la sua base vitale: per imparare ad imparare, a capire, a costruire la propria personalità, a sostanziare la propria libertà (Montessori: «Insegnami a fare da solo»). Imparare a divenire responsabile, ad abituarsi ad affrontare la vita da protagonista. E imparare lungo tutto l’arco della vita. È l’intera società che deve esprimere a tutti i livelli questa formazione educativa, sempre. Non c’è più una sola stagione formativa: è un imperativo per i diversi poteri pubblici, per le organizzazioni sociali, garantire sempre l’esercizio della funzione educativa, che per sua intrinseca natura è funzione squisitamente pubblica. Questo è il vero cimento del Pd: puntare energicamente alla «società educante», che sta alla base della sua nascita. Proprio perché le varie sue culture originarie trovano in tale obiettivo il corpo di una comune strategia di valori e di mete che interpreta il futuro. Su alcuni assi strategici. Primo, l’Europa. Un’Europa unita, attiva, protagonista mondiale attende un soggetto politico italiano moderno, che per l’Europa sviluppi le potenzialità di una società aperta, protagonista, che rifiuta di difendere pigramente un retrobottega in cui illudersi di preservare il raggiunto benessere, quello che la competizione globale sta spazzando via. Secondo, i valori etici della politica, che non è carrierismo. Ispirazione socialista e ispirazione cattolica si alimentano di un’idea della militanza politica per «servire il popolo», per gli altri, per il Paese. Terzo, i diritti fondamentali e le responsabilità sociali. Il fenomeno più coinvolgente che ci accompagna oggi è l’incontro tra la società della conoscenza e la democrazia partecipativa. Diritto al lavoro e diritto al sapere si incontrano in una sintesi che unisce nella società lavoro (produttività e diritti) e conoscenze. Certamente il sapere conserva sempre un profilo disinteressato, non piegabile alla strumentalizzazione professionale; ma incontra anche la sua contaminazione sociale. Oggi non può concepirsi il lavoro privo del valore aggiunto che gli viene dalla conoscenza. Lo sviluppo a cui puntiamo è lo smartgrowth, sono le professioni qualificate, che promuovono il cittadino-lavoratore istruito, libero, consapevole, responsabile. Il socialismo nasce per tutelare i deboli e farne dei soggetti emancipati, liberi e eguali in un mondo solidale. La grande ispirazione cristiana è cresciuta con valori analoghi di libera fratellanza. In questo ambito si colloca il quarto tema, quello del valore della solidarietà sociale, del vasto campo della cultura delle autonomie, del valore della famiglia, in passato erroneamente eretto a terreno di scontro ideologico e politico. La famiglia non è più una struttura chiusa, autoritaria, gerarchica come un tempo.Èil regno degli affetti e insieme della libertà e dell’uguaglianza. Il Pd è tutto questo, è «il partito laico per credenti e non credenti», come ricorda Vacca. Deve guardare con preoccupazione alla grave crisi di credibilità che la politica attraversa, al crollo della partecipazione elettorale, all’insofferenza per l’immagine rissosa, rituale, arcaica che essa sembra restituire. Per il Pd – è il senso stesso della sua nascita – il futuro è uno (non certo la fusione fredda di diversi passati), ed è proprio nella «società educante». Perché non è con pezze giustapposte che si forma una bandiera.
L’Unità 02.06.12