Il richiamo al merito degli studenti può avere due significati, del tutto diversi. Il primo sta a indicare che, in un quadro in cui tutti fruiscono delle medesime opportunità, alcuni studenti ottengono risultati migliori di altri. L’altro significato prescinde da riferimenti di contesto e considera il merito come una qualità assoluta, che deve essere riconosciuta a chi ha rivelato, per i risultati conseguiti, caratteristiche personali migliori. Mentre il primo significato risponde a una concezione democratica dell’educazione formale (quella impartita nelle scuole), l’altro significato ha lo scopo di rendere accettabile, e persino desiderabile, il manifestarsi del determinismo sociale. Se nell’apprezzare il merito si prescinde, infatti, dal considerare in che modo determinati risultati siano stati raggiunti, giudizi ugualmente fondati investono tutti gli allievi, quelli che godono di una condizione originaria di vantaggio come quelli che per ottenere un risultato positivo devono superare il condizionamento negativo al quale sono soggetti. Per rendere accettabile il merito come manifestazione di un apprendimento per conseguire il quale sia stato necessario impegnare la propria intelligenza, dimostrando insieme qualità positive sul piano morale, occorre preliminarmente assicurare a tutti condizioni di studio adeguate alle loro esigenze. In altre parole, si può apprezzare il merito solo se si rivela dopo che sia stata assicurata una sostanziale uguaglianza delle opportunità di apprendere. Se tale condizione è lontana dall’essere raggiunta (o, peggio, se non è neanche perseguita) riconoscere il merito degli allievi migliori equivale a cospargere di belletti un sistema iniquo. Lo sviluppo della scuola nell’Italia repubblicana è consistito in una prima fase nella ricostruzione del sistema dopo la devastazione della guerra. In una seconda fase, che ha avuto inizio con la riforma della scuola media (1962) la maggiore attenzione è stata rivolta ad accrescere le opportunità di istruzione. Questa seconda fase ha consentito, in alcuni decenni, di raggiungere quote elevate di scolarizzazione, prima al livello secondario inferiore e successivamente a quello secondario superiore. Ma, mentre questo intento di uguagliamento delle opportunità educative era perseguito tramite l’abbattimento di almeno parte dei condizionamenti negativi che in precedenza avevano tenuti lontani dalle scuole gli allievi di condizione sfavorita, si trascurava di adeguare l’assetto e il funzionamento delle scuole alle nuove condizioni. È mancata una politica di investimenti per il potenziamento delle strutture e delle dotazioni, per la ricerca, per la preparazione iniziale e la qualificazione continua del personale. Le scuole hanno continuato sostanzialmente a funzionare (con la lodevole eccezione di tante iniziative sperimentali promosse da insegnanti consapevoli della necessità di introdurre innovazioni) secondo un modello che identifica il tempo di attività della scuola con quello necessario a svolgere il numero previsto di lezioni. E ciò è accaduto in controtendenza con quanto parallelamente avveniva in altri Paesi, nei quali si cercava di adeguare l’attività alle nuove esigenze poste dalla vita sociale, dalle trasformazioni economiche, dalla crescita delle conoscenze e dai progressi della tecnologia. È quindi accaduto che col crescere delle quote di popolazione scolarizzata sia diminuito il credito sociale della scuola. Atteggiamenti critici sono stati assunti soprattutto da quanti fruivano di educazione scolastica già prima che avesse inizio il processo di generalizzazione prima ricordato. Quelli che si sono manifestati, gabellando la nostalgia come riconoscimento del merito, sono stati atteggiamenti volti a riaffermare la priorità dell’appartenenza sociale nella fruizione dell’educazione scolastica. Menzionare come esempio di apertura del sistema educativo il successo di alcuni allievi appartenenti a strati sociali sfavoriti è solo un espediente retorico e ideologico volto a nascondere l’enormità dello svantaggio che si andava accumulando su gran parte degli allievi per il mancato adeguamento del sistema alle nuove esigenze. Di fatto, si andavano chiudendo anche le fessure che consentivano a un piccolo numero di allievi di filtrare attraverso le maglie della discriminazione sociale. I provvedimenti che con orrido aggettivo sono definiti premiali ripropongono interpretazioni della riuscita scolastica centrate solo sulle caratteristiche personali, tacendo sulle ragioni delle differenze che si manifestano tra gli allievi. E tacendo anche sulle responsabilità che si collegano all’assenza di politiche volte a qualificare il profilo culturale della popolazione nel suo complesso, come se fosse possibile isolare le condizioni dello sviluppo degli allievi dalle interazioni col resto della società. Il merito si incoraggia e si apprezza solo perseguendo l’equità.
l’Unità 01.06.12