Nessun soggetto politico, e tanto meno un movimento nuovo e con forti venature antisistema, si esaurisce mai del tutto in quello che dichiara di essere. Se ne sono visti già molti di fenomeni politici emergenti nascere con un forte spirito di rottura verso l’esistente e poi trasformarsi in corso d’opera in un condensato di pura conservazione.
La forza ispirata da Grillo non sfugge a questa regolarità. La città di Parma è in fondo la metafora di un movimento sorto dalla volontà di imprimere una assoluta discontinutà che diventa il punto di riferimento insperato dei vecchi poteri in agonia. Con una base culturale molto evanescente, così come appare nell’intervista di Grillo, il movimento si presta in pieno alle mire e ai calcoli di potenze che cercano di utilizzarne la carica sovvertitrice per volgerla verso altri sbocchi.
Quando un movimento riceve la simpatia di grandi giornali, di settimanali, di trasmissioni della tv pubblica e privata, già non appartiene più alla pura passione dei navigatori delle origini e sta per essere attirato in un’orbita più ampia in cui si agitano interessi e manovre e in cui quindi l’infuenza di media e denaro pare irresistibile. Le parole di Grillo non si riferiscono alla questione sociale con rigore analitico ma alimentano una semplicistica e a tratti caricaturale raffigurazione manichea del mondo in cui si oppongono i perfidi finanzieri e i semplici cittadini. Lo schema binario proposto dal comico contrappone gli altri («le banche, gli zombi») e noi («siamo l’ultima chance per l’Italia»). Non c’è spazio per analisi più complesse e l’avversario perde ogni dignità e non viene riconosiuto se non nelle sembianze del male assoluto.
Da una parte Grillo colloca il bene, il pulito, il bravo, l’incensurato e dall’altra ospita il male, il ladro che ha la figura del partito impressa. Questo schematismo non solo alimenta un immaginario tardogiacobino ma coltiva una veduta inquietante della democrazia quando il comico prospetta il suo minaccioso programma: «noi vogliamo arrivare al cento per cento». Quando un politico parla in nome della totalità e descrive l’avversario come un reprobo contro il quale si innalzano gogne e tribunali del popolo provoca sempre un certo turbamento.
Il progetto di Grillo mira ad una «iperdemocrazia» (il termine risale a Ortega y Gasset) nella quale scompaiono partiti e politica organizzata e tutto viene affidato a referendum a getto continuo. Il problema è che anche una sedicente democrazia dal basso ha bisogno di esprimere classi dirigenti, di eleggere rappresentanza. E qui, fatti fuori i partiti (con quali strumenti coercitivi è possibile sbarazzarsene?), ci sarà qualche altro momento in cui i compiti di proposta e di indicazione verranno espletati. Non basta certo navigare nella leggerezza della rete per annullare i pesanti poteri dei territori. Nel paradiso di una iperdemocrazia dei cittadini e senza più partiti e «segretari nazionali» Grillo si propone nel gratificante ruolo di «grande vecchio» o di «ispiratore» che senza mai uscire dall’ombra orienta, suggerisce, raccomanda, censura. Il movimento che «vuole cambiare la società intera» in realtà non essendo strutturato, e presentandosi come sprovvisto di procedure, regole e spazi visibili per un apprendimento collettivo, restringe la partecipazione reale che non ha bisogno di grandi vecchi e tanto meno di ispiratori occulti.
L’Unità 01.06.12