Se fino a lunedì era in atto una gara da parte di piccoli e grandi imprenditori bloccati dal terremoto per chiedere alla burocrazia di ridurre i tempi dei dissequestri per poter riprendere la produzione, le scosse e il terrore di ieri hanno rimesso giustamente la sicurezza come questione prioritaria. E così dalla Fiat ai tanti leader della meccanica e della packaging valley che formano l’asse di una delle zone più industrializzate e ricche del Paese, adesso si invita alla prudenza e si sostiene, d’accordo con il sindacato, che qualsiasi produzione ripartirà solo dopo che «saranno accertate condizioni di massima sicurezza».
Chiusi immediatamente in via precauzionale gli stabilimenti produttivi di Ferrari, Maserati, Lamborghini e Ducati, tutti vicini alla zona interessata dal sisma. Evacuato anche lo stabilimento Magneti Marelli di Crevalcore (Bologna). Né a Maranello, né a Modena, né a Sant’Agata Bolognese, né a Borgo Panigale, comunque, sono stati rilevati danni alle strutture. Per oggi però «sarebbe saggio non lavorare in attesa di verifiche», suggerisce il segretario regionale della Fiom Bruno Papignani, mentre una nota della segreteria nazionale evidenzia «le gravi responsabilità rispetto all’inadeguatezza delle strutture industriali che si sono dimostrate non adatte a resistere in casi di terremoti di tali dimensioni e il cui crollo sta determinando tante vittime. È gravissimo – continua la nota – che si sia ripreso a lavorare dopo il primo evento sismico senza aver verificato le condizioni di sicurezza degli edifici industriali e ben sapendo che le scosse sarebbero continuate. Per queste ragioni – conclude la nota – riteniamo indispensabile che la ripresa del lavoro avvenga solo quando, dopo le necessarie e opportune verifiche, si sia certi che i capannoni industriali siano in sicurezza».
La notizia dell’evacuazione degli stabilimenti Ferrari e Maserati è stata data in mattinata dal presidente della Fiat John Elkann «per fare in modo – ha detto – che i lavoratori possano stare a casa, ma non c’è stato alcun danno». «Voglio rivolgere un pensiero alle vittime del terremoto che di nuovo ha scosso l’Italia. Mi auguro – ha affermato il presidente della Fiat – che non ci siano altre vittime».
Tra le zone più colpite c’è Mirandola, nel Modenese, comune che ospita un importante distretto biomedico, con 4mila persone che vi lavorano su 25mila abitanti. «A causa del terremoto sono crollati
o sono inagibili l’80% delle fabbriche della nostra zona, che è il primo polo europeo del settore biomedico – spiega l’assessore allo Sviluppo economico, Roberto Ganzerli – . Nella zona ci sono moltissime aziende, anche a livello europeo, come la Sorin, la Gambro, la Belco e la B-Brown. In molte aziende – ha aggiunto l’assessore – erano in corso le verifiche per poter riprendere la produzione e questo dava speranza».
AGRICOLTURA IN GINOCCHIO
In ginocchio sempre di più anche l’agricoltura. La Coldiretti stima in almeno mezzo miliardo i danni nel settore agroalimentare, dopo i terremoti di queste ultime settimane. Da un primo monitoraggio, emergono «nuovi crolli e lesioni degli edifici rurali, come case, stalle e fienili, di capannoni e stabilimenti di trasformazione, danni ai macchinari e un totale di circa un milione di forme di Parmigiano Reggiano e Grana Padano rovinate a terra», il 10 per cento dell’intera produzione annua. Coldiretti però plaude alle parole del capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, che ha indicato tra le priorità dell’emergenza «la situazione degli agricoltori. A questi, «saranno destinate roulotte, tende e prefabbricati perchè non si possono allontanare dalle loro fattorie e abbandonare la terra e gli allevamenti, dove è necessario garantire la custodia e l’alimentazione degli animali». Insieme a questa necessaria azione di assistenza, però, «il Consiglio dei ministri deve fare presto nel varare provvedimenti di sostegno alle imprese», perché per le aziende agricole delle aree colpite dal sisma «ci sono almeno 150 milioni di euro di tasse in scadenza entro il mese giugno». Secondo Coldiretti, «oltre alla prima rata dell’Imu occorre intervenire sull’Iva, l’acconto 2012 e il saldo dell’Irpef o dell’Ires». Inoltre, «sull’Irap e sui contributi Inps in scadenza a giugno, senza dimenticare le rate dei mutui e dei prestiti che ci aspettiamo vengano prorogate». Intanto, per aiutare le imprese terremotate, Coldiretti ha avviato una vendita straordinaria di Parmigiano Reggiano caduto a terra nei magazzini. È nata «una vera gara di solidarietà, tanto che si è reso necessario aprire una e-mail (terremoto@coldiretti.it) per rispondere alle migliaia di richieste d’acquisto di Parmigiano Reggiano “terremotato” ed altri prodotti agroalimentari».
l’Unità 30.05.12
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“Una tragedia del lavoro”, di Susanna Camusso
Volti di lavoratrici e di lavoratori segnati dal pianto per i loro compagni di lavoro, una babele di lingue e provenienze: sono le immagini che rappresentano drammaticamente il terremoto di domenica 20 maggio e quello di ieri, che ha devastato l’Emilia e in particolare la zona del modenese. Immagini di capannoni che si sono sbriciolati, che sono crollati, di fabbriche e luoghi di lavoro fermati dai danni del sisma, di tante, troppe persone segnate dal lutto. Alle famiglie delle vittime, ai sindaci dei comuni colpiti ed a tutti gli operatori impegnati nei soccorsi vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza e solidarietà. Colpisce, in particolare, che tra le vittime di ieri ci sia anche chi era entrato nello stabilimento per controllarne l’agibilità. Le zone terremotate avevano provato a ripartire e invece appaiono adesso colpite così duramente da interrogarsi con preoccupazione sul futuro non solo immediato. Ma ora è necessario non arrendersi e fare di tutto per non disperdere i tanti luoghi di lavoro che costituiscono il grande patrimonio produttivo di quel territorio. Nei giorni scorsi si era anche ipotizzato di trasferire i macchinari degli stabilimenti colpiti dal primo terremoto in capannoni vuoti per non fermare e compromettere quelle possibilità di lavoro. Oggi, dopo il sisma di ieri, tutto questo appare lontano. Appare in tutta la sua crudezza quanto sia importante in termini di sicurezza la costruzione e la prevenzione antisismica anche per i luoghi di lavoro. Appare in tutta la sua crudezza la necessità di non lasciare sole le popolazioni ed i comuni colpiti, di decidere, insieme alle forme di raccolta e di solidarietà sulle quali ci siamo subito mobilitati, come cominciare a ricostruire. E, va detto con chiarezza, servono risorse per le popolazioni colpite, per la messa in sicurezza delle scuole, per intervenire sui danni subiti dal patrimonio artistico e per la ricostruzione dei luoghi di lavoro, rimettendoli in condizione di ripartire. Bisogna farlo subito, anche nelle ore della paura e dell’emergenza, perché quello che non deve succedere è che passi l’idea che non c’è futuro e non ci sarà lavoro. Quelle immagini del lavoro prima vittima, che hanno tanto colpito, devono tradursi nella scelta di misure concrete per accrescere la sicurezza e far ripartire il lavoro.
l’Unità 30.05.12
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Emilia, la nuova strage di operai nelle fabbriche appena riaperte “Non volevamo perdere il posto”, di Michele Smargiassi
Puntuale come un impiegato che timbra il cartellino. Ha fatto svelto, stavolta, una manciata di secondi, quota 5,8, quasi come l´altro. Ma nel nuovo triangolo della distruzione, tra Mirandola Cavezzo e Medolla, una mezza dozzina di capannoni si sono afflosciati come fisarmoniche. Hanno nomi pratici da laborioso benessere emiliano, Gambro, Arnes, Menu, Vam, molti fanno parte del distretto del biomedicale, qui si producono organi artificiali, pacemaker, macchinari da sala operatoria per gli ospedali di tutta Europa, è una beffa crudele che il terremoto uccida dove si fabbrica la salute.
Avevano riaperto tutti da un giorno. Perché questa è una terra che vuole lavorare e non si vuole fermare mai, neanche quando dovrebbe. «Venerdì abbiamo avuto l´agibilità, era tutto a posto, è successo qualcosa che non doveva succedere dove non doveva succedere», spiega a bassa voce Mattia Ravizza, figlio di uno dei titolari della Haemotronic di Medolla, immobile dietro la bandella biancorossa mentre tirano fuori dai calcinacci la prima vittima, Paolo Siclari. Un altro dirigente dell´azienda, Claudio Cona, è affranto: «Abbiamo altri due stabilimenti, a Mirandola, erano danneggiati e non li abbiamo riaperti, questo invece era intatto…». I cani antivalanga abbaiano isterici fra i calcinacci per cercare gli altri tre operai che mancano all´appello. Un loro collega, quando ancora la polvere volava, ha provato a chiamarli al cellulare: uno suonava, ma non ha risposto nessuno. Il cugino di un altro ripete, desolato: «Biagio non era per niente convinto di tornare al lavoro, ma non voleva perdere il posto…».
Li hanno fatti rientrare nelle fabbriche, eppure non li hanno lasciati rientrare nelle loro case. Centinaia tra i settemila sfollati erano tornati sul posto di lavoro. Molti degli operai morti dormivano da dieci giorni in macchina, o nelle tende, e poi andavano in azienda. Le case di muratura fanno paura, nel cratere del terremoto infinito. Ma i capannoni di muratura, non dovrebbero fare la stessa paura? Sì, ma le case sono state sfollate e le fabbriche no, perché «in una tenda puoi andare a dormire ma mica a lavorare», dice l´operaia Nadia dell´Eurostets, la sua fabbrica è rimasta in piedi ma lei non riesce a tornare a casa in bicicletta perché le tremano le ginocchia, e poi si ribatte da sola: «ma si lavora per vivere, mica per morire». Riccardo della Haemotronic se lo sentiva: «Appena arrivato, ho liberato un po´ posto sotto la pressa pensando: se tira anche oggi, mi riparo lì», e il presentimento gli ha salvato la vita. Un suo collega ha un piede ferito ma non vuole andare a farsi curare, «Hanno evacuato anche gli ospedali e poi c´è gente messa peggio di me», lo hanno tirato fuori dai calcinacci seminudo, «per fortuna avevo un cambio in macchina». Due operai con accento meridionale imprecano sottovoce, «i soldi, tutto per i soldi», «lavorare come cani e morire come cani».
Ma era obbligatorio, tornare lavorare così presto? Con la terra che ha i brividi cento volte al giorno? Dai leader sindacali nazionali, Bonanni, Camusso, parte l´accusa: troppa fretta. La Fiom del distretto dà disposizioni perentorie: nessun operaio torni in fabbrica. Era proprio necessario tornare subito sotto quelle travone di cemento tirate su che sembrano appena appoggiate alle colonne, pensate quando il nemico più forte si pensava fosse il vento, castelli di carte su cui già da giorni indagano le procure? «E lei quanto voleva aspettare per ricominciare a lavorare? Una settimana, un mese, un anno? Lei forse sa quando arriva la prossima scossa?», davanti alla “Bbg” di San Giacomo Roncole, impolverato, in maglietta, uno dei soci titolari, «mi chiamano tutti Ivan», non vuole andarsene anche se hanno già tirato fuori i tre sepolti, uno era suo socio. Suo figlio, Giacomo Busoli, inveisce contro «quelli di Roma, ci spremono di tasse, ci costringono a non perdere un minuto, a trovare i soldi da soli per dare lavoro alla gente… Poi arriva Monti e dove va? Va a visitare le chiese, ma cosa importa se crolla un campanile, la gente non ci mangia con le campane, invece senza fabbriche qui finisce tutto, tutto». Michail, polacco, scappato fuori appena in tempo, ha già capito come finirà lui: «Avevo trovato casa e lavoro e ho perso tutti e due, non c´è più futuro in Italia per me e mia moglie».
Alla Haemotronics neanche i cani servono, bisogna far venire una sonda elettronica per cercare i corpi. Ed ecco, all´improvviso, verso l´una e mezza, il demone dà un´altra botta, i moncherini di colonne sbatacchiano, crolla una parete, «Via via via!» grida il comandante dei vigili del fuoco ai suoi. «Non ci lascia più», scoppia a piangere un´operaia con il camice verde strappato. Non è uno sciame sismico, è un´orda di scosse – cento in un giorno – che vanno e vengono, illudono e fregano. Dieci minuti dopo, i pompieri sono ancora li, a cercare nella polvere. La gente viene dal paese a vedere. «È colpa delle trivellazioni», la voce corre di bocca in bocca e diventa spiegazione, qui non l´hanno mai digerito quel progetto di serbatoio sotterraneo di gas a Rivara per il quale da anni si fanno studi e prospezioni. È un guaio grosso, quando non ti fidi più della terra sotto i tuoi piedi. Gabriele, «padroncino» di camion, oggi gira in Vespa, «stamattina ho spedito moglie e figli sul, Garda dove abbiamo una casa, io forse li seguo». Per sempre? «Vedremo».
Alla Meta di San Felice, meccanica di precisione, i musulmani pregano faccia a terra in una lunga fila nel piazzale, tra ambulanze e auto della polizia, per il loro Mohamed che era un animatore della moschea di Finale. Più in là un gruppo di sikh con barbe e turbanti piangono il loro Kumar detto Goldi. Un pezzo di Emilia multietnica scopre l´appuntamento con la morte in un paese straniero. Anche qui avevano ripreso il lavoro da un giorno: c´erano consegne da fare, termini da rispettare. «Mohamed non voleva tornare al lavoro, lo hanno obbligato», accusa il cognato Abdelrahman. Anche Singh Jetrindra, rappresentante della comunità sikh, dice la stessa cosa: «Kumar è dovuto andare a lavorare perché non poteva perdere il posto´´. Pavel, romeno, alla Meta lavora da dieci anni: «Correvo, ma le gambe non toccavano il pavimento», è ancora scosso. Anche lui, che non si fida a dormire sotto un tetto, sotto un tetto è tornato a lavorare, perché? «Non mi hanno obbligato, ma come fai a dire di no quando anche il padrone va dentro?». È l´Emilia delle fabbrichette dove anche i padrone si tira su le maniche. È gravemente ferito quel padrone, e proprio di fianco a lui una trave ha sepolto l´ingegnere con cui stava studiando rinforzi strutturali.
Sulla Statale il Ciao bar è incredibilmente aperto, Sonia guarda i lampadari ogni minuto ma intanto inforna piadine per gli uomini con la pettorina fluorescente, «Qualcuno deve pur dargli qualcosa». All´hotel Cantina si scusano «se il servizio non è all´altezza del solito». È una terra generosa e orgogliosa l´Emilia. Ma il demone che ghigna nel sottosuolo, e non la smette, alla fine logora ogni resistenza. Carla è una donna solida, fa la camionista per la Meta, dorme in auto da una settimana e poi va a lavorare, ma se le dici Carla, come si ricomincia?, ti guarda e ti risponde: «E chi si fida più di questa cosa?», batte il tallone sull´asfalto, «appena mi lasciano rientrare in casa faccio una cosa sola, prendo il libretto degli assegni e chi s´è visto s´è visto».
La repubblica 30.05.12
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Il presagio di Mohamad prima della tragedia “Ho troppa paura, voglio restare a casa”, di Luigi La Spezia
L´imprenditore, l´ingegnere, la segretaria: tutte le vite spezzate dal sisma. Il destino di Enzo, sfollato da giorni: era tornato nella sua casa lesionata, gli è crollata addosso. Operai, più di quanti ne morirono domenica 20 maggio, e imprenditori che cercavano di risollevarsi. E poi impiegate, pensionati, semplici passanti. La lista delle vittime del nuovo terremoto dell´Emilia arriva a quota 16 e ci sono ancora dei dispersi. I morti di questo nuovo tsunami terrestre sono tutti della provincia di Modena, mentre dopo le scosse di dieci giorni fa i morti si contavano solo in provincia di Ferrara. Il terremoto si è spostato più a Est. Cavezzo, Medolla, Mirandola, San Felice sul Panaro, Concordia, le vittime sono tutte di paesi e cittadine attorno alla statale 12 che porta alla città capoluogo, ora diventata una via tagliata dalle sirene incessanti di ambulanze e vigili del fuoco.
MAURO MANTOVANI
Il titolare della Aries di Mirandola, 64 anni, aveva un´impresa piccola, con venti dipendenti, ma attiva nel distretto del biomedicale, uno dei più avanzati d´Europa e deteneva alcuni brevetti che gli avevano consentito di superare la crisi di questi anni. È morto travolto dalla fabbrica già lesionata che aveva creato. «Era un bravo imprenditore e una persona incredibile, con tanti interessi. Tifosissimo dell´Inter, sapeva vivere con la sua famiglia. Grande lavoratore, non era sempre chiuso in azienda. Amava il mare e così aveva pensato di prendere una casa di vacanze in Sardegna». Lo ricorda Guido, che era compagno di scuola del figlio Maurizio, anche lui entrato a lavorare in fabbrica. Mauro Mantovani non si era dato per perso dopo i danni ai suoi capannoni del 20 maggio e per continuare a produrre in un settore che non si può fermare per le forniture agli ospedali, aveva già trovato un capannone nuovo.
MOHAMAD AZAAR
Marocchino, 36 anni, ma “cittadino italiano”, come precisa subito un suo amico davanti alla Meta di San Felice sul Panaro che gli aveva dato da vivere e sotto la quale è morto. Per ore, davanti alla fabbrica di meccanica di precisione sono sfilati gli amici della moschea e i parenti. Era diventato caporeparto, aveva famiglia a Finale Emilia, con un figlio di otto mesi e uno di cinque che la moglie piangente ha portato con sé tra la folla davanti al cancello della Meta. «Aveva paura, non voleva venire a lavorare, si vedeva benissimo che i capannoni non erano sicuri – protesta il cognato Abderraman Saoui – Su questo cellulare ho ancora le sue chiamate, lui pensava alla sua famiglia e chiedeva di poter stare a casa, ma diceva che era obbligato a lavorare».
KUMAR PAWAN
Aveva trentun anni ed era venuto dal Punjab a trovare fortuna in Italia. Abitava a San Felice sul Panaro da sette anni, insieme alla moglie e a due figli. È morto insieme al compagno di lavoro e di sventura Mohamad Azaar. Davanti ai cancelli della fabbrica si sono radunati anche parecchi indiani, con i loro copricapi colorati. «Si trovava a lavorare sotto il muro più vicino, quello che è crollato del tutto. C´erano anche molti scaffali su quel muro e lui è rimasto lì sotto», dice il cugino Chander Subhash.
GIANNI BIGNARDI
Ingegnere, è morto anche lui alla Meta, sotto una trave di una fabbrica che non era la sua, ma che era venuto a controllare per concedere l´agibilità, mentre gli operai – ma non tutti – continuavano a lavorare. Era di Mirandola, «un appassionato di fotografia e si era spinto a salire sui campanili delle chiese di Mirandola, che adesso sono tutti crollati, per scoprire delle immagini inedite. Le avevamo pubblicate sul giornale del Comune, l´Indicatore mirandolese», racconta l´addetto stampa del Comune.
EDDY BORGHI
Da qualche settimana c´era poco lavoro, per la sua impresa artigiana di pavimentazioni e aveva accettato di buon grado di andare a riparare il cartongesso devastato alla Bbg di San Giacomo di Mirandola, che sta per Bernini, Busoli, Grilli. «No, non posso credere che Eddy sia morto – piange un amico fuori della fabbrica di componentistica per conto terzi – Aveva 38 anni, ma era un ragazzo, sempre al centro degli scherzi, con i suoi capelli lunghi e il suo spirito». Lo ricordano come giocatore di calcio nella squadra amatori, il classico amico da compagnia nelle serate al bar del paese.
ENEA GRILLI
Contitolare della Bbg, 64 anni, tre figli. Lo ricorda con parole appassionate un socio sopravvissuto, Ivan Busoli, che era in fabbrica e ha «sentito la morte spingermi alle spalle»: «Avevamo 15 anni quando abbiamo cominciato a lavorare insieme. Abbiamo osato insieme: la nostra avventura dopo dieci anni da dipendenti si è trasformata nell´imprenditoria. Qui ci sono 40 anni di lavoro, ma non sarà la fine, riprenderemo anche in nome di Enea».
VINCENZO IACONO
Aveva 37 anni e da sempre lavorava alla Bbg. Lo ricorda Ivan Busoli: «Era un ragazzo splendido. Era venuto da Napoli con il treno, la valigia in mano e aveva bussato alla porta dell´azienda per chiedere di lavorare. Ci è piaciuto, gli abbiamo dato fiducia. Ora era il padrone della sua macchina a controllo numerico».
IVA CONTINI
Cinquantasei anni, è morta fuggendo dal capannone del magazzino di vernici Oece, nella zona artigianale di Cavezzo, dove stava lavorando. Nell´ufficio al piano di sopra sventrato, si vede sulla parete rimasta su una grande immagine di Gesù. Un addetto dell´azienda che viene a vedere i danni non vuol parlare, ma indica un paio di ballerine sopra il tetto di una macchina. «Quelle erano le sue scarpe». Una è rotta sul tallone. Con quelle ha cercato di fuggire senza riuscirvi.
DANIELA SALVIOLI
A 42 anni, è morta in un mobilificio sulla stessa via e a cento metri di distanza dalla Oece. Il mobilificio si chiama Douglas Mantovani, che il suocero della vittima, anche se è già in pensione e l´azienda è stata rilevata dal figlio Emanuele. Era al lavoro come sempre nell´amministrazione dell´azienda, dietro fatture e preventivi.
SERGIO COBELLINI
È stato colto dal terremoto per strada, nel centro di un altro paese devastato, dove non è rimasta in piedi nemmeno la caserma dei carabinieri, Concordia. Aveva 68 anni e due figli, pensionato della Landini Trattori di Fabbrico. La sua compagna russa, con la quale viveva da anni, Nina, si dispera sotto un albero, sfollata nel giardino accanto al condominio deserto: «Era uscito dicendo di andare al bar, me lo hanno riportato morto. Era un uomo semplice, l´unica passione che aveva era andare a pescare d´estate».
ENZO BORGHI
Ottantenne, era stato sfollato con la moglie dal 20 maggio nel campo della Protezione civile di Cavezzo, dove la sua casa era lesionata. Ieri mattina è andato nella vecchia casa di campagna, anch´essa danneggiata vicino alla quale curava un orticello. Era entrato in casa proprio quando è venuta la scossa più forte.
PAOLO SICLARI
Tutti morti nel crollo della Haemotronic di Medolla. Siclari è stato il primo ad essere recuperato dalle gru dei vigili del fuoco. Con lui, sono dispersi altri tre operai, due soli dei quali erano stati già individuati a tarda sera.
HOU HONGLI
Un cinese è l´ultima vittima il cui nome è stato diffuso in serata dalla Protezione civile.
La Repubblica 30.05.12