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"Delitti e castighi sul soglio di Pietro", di Corrado Augias

Più volte nel corso dei secoli il vento ha scosso la casa di Dio con raffiche anche più intense di quelle attuali. Più volte il fumo di Satana si è infiltrato nelle stanze più sacre dei sacri palazzi, come ebbe a lamentare Paolo VI.Un ambiente come quello vaticano sembra fatto apposta per scuotimenti e infiltrazioni data la sua scarsa trasparenza, l´ostinata paura di aprirsi al mondo, l´atmosfera che sempre si crea in una corte dove un sovrano assoluto regna su uomini senza famiglia e dipende dal suo favore l´intera loro vita. Il che spiega quasi da solo perché le storie vaticane abbiano dato vita ad un intero filone narrativo che vede nei romanzi di Dan Brown (celebre “Il Codice da Vinci”) solo gli ultimi esempi di un´amplissima casistica.
Uno degli esempi più antichi di violenza e tradimento consumati per la conquista del soglio di Pietro è quello di cui fu protagonista Benedetto Caetani che costrinse il suo predecessore Celestino V (Pietro da Morrone) ad abdicare per l´impazienza di salire al trono dove regnerà col nome, famigerato, di Bonifacio VIII (1235-1303). Il povero Celestino era un uomo umile e pio, certamente inadatto all´incarico. Ma la violenza con la quale il futuro Bonifacio lo scalzò rimane degna delle più sinistre tradizioni del potere. Dante infatti lo caccerà, ancora vivo, all´inferno.
Il periodo più fecondo dal punto di vista narrativo è quello rinascimentale quando la corte di Alessandro VI Borgia divenne sede di intrighi e di delitti commessi a volte alla stessa presenza del papa. Celebre l´episodio di quando Cesare, figlio del papa e fratello di Lucrezia, assalì nei corridoi vaticani un tal Pedro Caldes, detto Perotto, 22 anni, primo cameriere del pontefice proprio come il Paolo Gabriele di cui si parla in questi giorni. Perotto si tratteneva affettuosamente con Lucrezia cosa che rischiava di compromettere il matrimonio al quale la bellissima donna era stata destinata.
Un giorno che Perotto passava per un corridoio s´imbatté casualmente in Cesare. Intuì da uno sguardo ciò che stava per accadere e cominciò a correre gridando a perdifiato, inseguito dall´altro che aveva estratto il pugnale. La corsa ebbe termine nella sala delle udienze dove Perotto si gettò ai piedi del pontefice implorando protezione. Non bastò. Cesare si avventò su di lui trafiggendolo con tale impeto che “il sangue saltò in faccia al papa” macchiandogli di rosso la bianca tonaca.
Non solo delitti ma anche orge caratterizzavano in quegli anni la corte. Preti e cardinali mantenevano una o più concubine “a maggior gloria di Dio”, come scrive sarcastico lo storico Infessura, mentre il maestro di cerimonie pontificio Jacob Burchkardt nota che i monasteri di donne erano ormai “quasi tutti lupanari” poco o nulla distinguendo le religiose dalle “meretrices”.
Cronache vivacissime ha lasciato il protonotario apostolico Johannes Burchard. Racconta ad esempio che una sera, a una delle consuete feste date dal papa: «Presero parte cinquanta meretrici oneste, di quelle che si chiamano cortigiane e non sono della feccia del popolo. Dopo la cena esse danzarono con i servi e con altri che vi erano, da principio coi loro abiti indosso, poi nude». La serata si concluse come si può immaginare, il protonotario riferisce dettagli che richiamano altre e assai recenti serate di ugual tenore.
Del resto fu questo tipo di atmosfera, aggiunto alla vendita scandalosa delle indulgenze, a convincere il frate agostiniano Martin Lutero a proclamare quella Riforma (1517) che avrebbe drammaticamente spaccato la cristianità fino ai nostri giorni.
Per venire ad anni a noi vicini, una vasta eco ha sollevato una mossa assai ambigua dell´allora segretario di Stato Eugenio Pacelli. Nel 1939, papa Pio XI avrebbe voluto pronunciare un discorso nel decennale del Concordato dove tra l´altro avrebbe denunciato le violenze del regime fascista e la persecuzione razziale dei nazisti contro gli ebrei. Alla vigilia dell´importante allocuzione papa Ratti venne però a morte e Pacelli, che sarebbe stato suo successore, fece prontamente sparire il discorso avendo in mente un diverso tipo di rapporti con le due dittature. Divenuto papa a sua volta col nome di Pio XII, lo dimostrerà.
Intrighi e tradimenti all´ombra del trono di Pietro sono tutti accomunati da elementi rimasti invariati nel tempo: ritrosia a dare informazioni e addirittura a collaborare ad eventuali indagini, ostinati silenzi a costo di alimentare le ipotesi peggiori.
Se n´è avuta una prova in occasione della morte, altrettanto repentina, di Giovanni Paolo I, papa Luciani. Ancora una volta l´evento si verificò alla vigilia di una decisione importante con la quale il papa avrebbe riorganizzato la famigerata banca vaticana, in sigla Ior. Così oscure le circostanze dell´evento che i media anglo-sassoni avanzarono apertamente l´ipotesi di un assassinio. L´autopsia avrebbe probabilmente fugato le voci ma le gerarchie vaticane la rifiutarono preferendo mantenere un silenzio che le ha ulteriormente alimentate.
Il caso più grave di reticenza si è però avuto quando, la sera del 4 maggio 1998, tre cadaveri vennero trovati in una palazzina a pochi metri dagli appartamenti pontifici. Il colonnello Alois Estermann, 44 anni, comandante delle “guardie svizzere”; sua moglie, Gladys Meza Romero di origine venezuelana; il vice-caporale Cédric Tornay, nato a Monthey (Svizzera), 24 anni. Poche ore dopo il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls dette ai giornalisti questa versione: il caporale, in un accesso di collera incontrollata, aveva ucciso il colonnello e sua moglie per poi togliersi la vita. Invano l´avvocato francese Luc Brossolet ha fatto eseguire (in Svizzera) perizie che dimostrano l´incongruenza grossolana di quella versione. Da allora non è più stata cambiata.

La Repubblica 28.05.12

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“Il Vaticano è rimasto una corte medioevale e Ratzinger non ha più la forza di governarla”, di Andrea Tarquini

Dedica ogni giorno ore e ore alla scrittura di libri ma così non è in grado di guidare la Chiesa Invece di ricucire con gli ultratradizionalisti dovrebbe avvicinarsi alle chiese riformate e all´ambito ecumenico «È una situazione molto grave e dolorosa, e come si dice in tedesco mancano cinque minuti alla mezzanotte: il tempo massimo non è ancora scaduto per salvare la Chiesa e la Fede dal sistema della Curia romana». Il professor Hans Küng, forse il massimo teologo ribelle del nostro tempo, in gioventù amico e compagno di studi di Benedetto XVI. Analizza così a caldo lo scandalo del Vaticano. Ascoltiamolo.
Professor Küng, quanto è grave secondo lei la situazione creatasi in Vaticano con lo scandalo della fuga di notizie?
«È triste quando, proprio in coincidenza con la festa dello Spirito Santo, dal Vaticano apprendiamo di tanti eventi e comportamenti avvenuti là, che davvero non sono proprio qualcosa di santo né di sacro. Gli scandali relativi alle fughe di notizie confidenziali ad opera del servitore di camera, le questioni che hanno investito la banca Ior, e anche in contemporanea l´intenzione apparente di papa Benedetto di andare alla riconciliazione con la confraternita dei fratelli di San Pio X (ndr: gli ultraconservatori epigoni di monsignor Lefèbvre) secondo la mia opinione tutto questo purtroppo è un insieme di eventi, scelte, tendenze che fa parte di un tutto, non sono casi isolati l´uno dall´altro».
E lei che opinione ha maturato di questa situazione, che lei appunto descrive come coincidenza di eventi legati l´un l´altro?
«Tutti questi eventi mi appaiono come sintomi della crisi di un sistema intero nel suo complesso. Io parlo del sistema della curia romana, del sistema romano delle cui caratteristiche negative soffre la Chiesa cattolica tutta, nel mondo intero. E naturalmente questi eventi contemporanei danno l´impressione di una incapacità papale. Di avere a che fare con un pontefice incapace. Su questo ho appena scritto un libro, “Salviamo la Chiesa”, in Italia sta per uscire. Quel che mi sta a cuore è approfondire la problematica dell´indispensabile riforma della Chiesa».
Lei cioè intravede sullo sfondo anche un problema personale per Benedetto XVI?
«Sicuramente sì. C´è anche questo. Egli dedica ore e ore ogni giorno alla scrittura di libri, anziché governare la Chiesa. E nei ranghi della Curia è diffusa l´opinione che egli non governa. Se vuole scrivere libri, avrebbe fatto meglio a restare un grande professore e teorico».
Perché parla al tempo stesso di crisi strutturale, di sistema?
«Perché la struttura e l´organizzazione della Curia romana cerca facilmente ma invano di ingannarci, di nascondere il fatto-chiave: che il Vaticano nel suo nocciolo è restato ancora oggi una Corte. Una Corte al cui vertice siede ancora un regnante assoluto, con costumi e riti medievali, barocchi e a volte moderni e tradizioni cristallizzate, consuetudini. Nel suo cuore il Vaticano è rimasto una società di Corte, dominata e segnata dal celibato maschile, che si governa con un suo proprio codice di etichette e atmosfere. E quanto più ti avvicini al principe regnante salendo nella carriera ecclesiastica, tanto più in prima linea non vale e non conta più la tua competenza, la tua forza di carattere, le tue capacità e talenti, bensì conta che tu abbia un carattere duttile con una capacità di adattarsi soprattutto ai voleri del regnante. È lui solo, il regnante, a stabilire se tu sei persona grata o invece persona non grata».
E più specificamente, i problemi della Banca vaticana?
«Il Vaticano vive in gran parte di donazioni dei fedeli, da spese delle Diocesi. E amministra miliardi di euro di risparmi di istituzioni ecclesiastiche, di ordini e diocesi di tutto il mondo, e pone gli utili a disposizione del Papa. Quanto fu chiesto al Cremlino lo si può chiedere anche al Vaticano: primo la glasnost, cioè trasparenza, il Vaticano dovrebbe preoccuparsi per primo della Trasparenza degli affari finanziari davanti all´opinione pubblica. E secondo la perestrojka, ricostruzione, ristrutturazione: il Vaticano dovrebbe ristrutturare le sue finanze e riorientare i fini della sua politica finanziaria. E infine ma non ultimo, la riconciliazione con l´ordine di Pio X. Il Papa accoglierebbe definitivamente nella Chiesa vescovi e sacerdoti la cui consacrazione non è valida, in base alla Costituzione apostolica di Paolo VI, Pontificalis romani recognitio, del 18 luglio 1968 le ordinazioni sacerdotali ed episcopali compiute da Lefebvre sono non solo illecite ma anche nulle. Piuttosto che riconciliarsi con quella confraternita ultraconservatrice, antidemocratica e antisemita, il Papa dovrebbe preoccuparsi della maggioranza dei cattolici che è pronta per le riforme, e della riconciliazione con tutte le chiese riformate e con tutto l´ambito ecumenico. Così unirebbe anziché dividere».
Secondo un´analisi così pessimista non è tardi per salvare questo Pontificato e la credibilità del Vaticano?
«Mancano cinque minuti appena alla mezzanotte, ma la mezzanotte non è ancora scoccata. Un solo atto costruttivo di riforme lanciato da questo Papa aiuterebbe a ristabilire la fiducia. Io spero che il mio ex collega Joseph Ratzinger non resterà nella Storia della Chiesa come un papa che non ha fatto nulla per la riforma della Chiesa».

La Repubblica 28.05.12

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“Confesso: uno dei corvi sono io lo facciamo per difendere il Papa e denunciare il marcio della Chiesa” di Marco Ansaldo

Siamo un gruppo: le vere menti sono porporati, poi ci sono monsignori, segretari, pesci piccoli Il maggiordomo è solo un postino che qualcuno ha voluto incastrare. Le carte escono fuori a mano. L´intelligence vaticana ha sistemi di sicurezza più evoluti della Cia, ma i cardinali sono ancora abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli
Il pontefice è molto amico di Gotti Tedeschi: quando ha saputo che era stato licenziato dallo Ior si è messo a piangere Poi però si è arrabbiato e ha reagito: la verità verrà a galla, ha detto
Ormai è diventata una guerra di tutti contro tutti. E c´è una fazione che ha messo nel mirino perfino padre Georg, il segretario di Ratzinger, per il suo ruolo di consigliere
«Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori e i pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i “corvi” ci sono anche le Eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo, e fa arrestare la manovalanza, “Paoletto” appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c´entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta».
Un quartiere alto di Roma nord, un tavolino di un bar, sempre un po´ di traffico intorno. All´ora di pranzo di una domenica mattina finalmente tersa uno dei “corvi”, gli autori della fuoriuscita di lettere segrete dalla Santa Sede, spiega i dettagli dell´operazione.
«Chi lo fa – dice subito – agisce in favore del Papa».
Per il Papa? E perché?
«Perché lo scopo del “corvo”, o meglio dei “corvi”, perché qui si tratta di più persone, è quello di far emergere il marcio che c´è dentro la Chiesa in questi ultimi anni, a partire dal 2009-2010».
Ma chi sono? Chi siete?
«Ci sono quelli che si oppongono al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Quelli che pensano che Benedetto XVI sia troppo debole per guidare la Chiesa. Quelli che ritengono che sia il momento giusto per farsi avanti. Alla fine così è diventato un tutti contro tutti, in una guerra in cui non si sa più chi è con chi, e chi è contro».
La persona è tormentata. Vuole parlare, ma allo stesso tempo ha paura, e ha forti dubbi. Niente nomi da pubblicare, ne andrebbe della sua sicurezza. Molti silenzi, molti sguardi. «Posso fidarmi di lei? Questa cosa è terribilmente delicata». Proviamo.
Com´è nata la fuga dei documenti dal Vaticano?
«Nasce soprattutto dal timore che il potere accumulato dal Segretario di Stato possa non essere conciliabile con altre persone in Vaticano».
Ma c´è anche una pista dei soldi?
Una mano nei capelli, gli occhi guardano intorno, le mani tormentano un anello.
«C´è sempre una pista dei soldi. Ci sono anche interessi economici nella Santa Sede. Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po´ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po´ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne».
Le macchine intorno strombazzano. Due cani finiscono per azzannarsi. Cambiamo posto. Saliamo. Altro bar, giardino all´interno, un po´ di quiete. Il discorso prosegue più fluido.
«Che cosa è successo a quel punto? Viganò scrive al Papa denunciando episodi di corruzione. Chiede aiuto, ma il Papa non può far nulla. Non può opporsi perché questo significherebbe creare una frattura pubblica con il suo braccio destro. Pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò. O meglio, finge di sacrificarlo perché, come si sa, la nunziatura di Washington è quella più importante. Così i cardinali capiscono che il Papa è debole e vanno a cercare protezione da Bertone».
Che cosa fa a questo punto il Pontefice?
«Il Papa capisce che deve proteggersi. E convoca cinque persone di sua fiducia, quattro uomini e una donna. Che sono i cosiddetti relatori. Gli agenti segreti di Benedetto. Il Papa cerca consiglio da queste persone affidando a ciascuno un ruolo, e alla donna quello di coordinare tutti e cinque».
C´è una donna che aiuta il Papa in questo?
«Sì, è la stratega. Poi c´è chi materialmente raccoglie le prove. Un altro prepara il terreno, e gli altri due permettono che tutto ciò sia possibile. In questa vicenda il ruolo di queste persone è stato quello di informare il Papa su chi erano gli amici e i nemici, in modo da sapere contro chi combattere».
E intanto la fuoriuscita dei documenti come va avanti?
«Cominciano a uscire. Sono individuati dei canali e dei giornalisti».
Come escono?
«A mano. L´intelligence vaticana, che ha sistemi di sicurezza integrati nei sotterranei del Palazzo apostolico guidati da un giovane ex hacker di 35 anni, e sono addirittura più evoluti della Cia, con sistemi sofisticatissimi, non possono farci nulla. Perché i cardinali sono abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli. Li fanno poi recapitare a chi vogliono brevi manu. E i documenti fuoriusciti sono lo strumento con cui si sta combattendo questa guerra. L´obiettivo primario era quello di colpire il Papa. Di fiaccarlo e convincerlo a mollare le questioni politiche ed economiche della Chiesa. Bisognava reagire».
E il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, letteralmente cacciato?
«È accaduta la stessa cosa. Eppure era vicinissimo al Papa: hanno steso insieme l´enciclica Caritas in veritate. Gotti non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior. E così anche le operazioni che fallivano, come la legge antiriciclaggio o la scalata per il San Raffaele. Bertone si ingelosisce, accusa Gotti, e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento di Gotti, si è messo a piangere per “il mio amico Ettore”».
Il Papa che piange?
«Sì, ma poi si è arrabbiato moltissimo e ha reagito dicendo che la verità su questa vicenda sarebbe venuta fuori».
Ma non si poteva opporre?
«Avrebbe potuto farlo, ma opporsi avrebbe significato una frattura clamorosa con il suo Segretario di Stato».
E poi, il giorno dopo?
«E il giorno dopo il Papa è stato nuovamente colpito, e nel personale, quando è stato arrestato Paoletto. Ora il Papa è disperato. Ma Paoletto non è il corvo, i corvi sono tanti, tutt´al più è stato usato da qualcuno».
Hanno detto di Gotti che è uno dei corvi.
«Gotti è una persona onesta, che tace, come ha fatto anche nel mezzo dell´indagine della magistratura sullo Ior. E come sta facendo adesso dopo la sua defenestrazione. Non si è prestato a nessun gioco, non è lui il corvo».
Anche padre Georg, il segretario del papa, è nel mirino?
«Per una fazione è stato uno degli obiettivi da colpire: rappresenta oggi più che mai l´elemento di congiunzione fra tutti i dicasteri all´interno del Vaticano e il Papa, fa da filtro, decide e consiglia il Papa».
Siamo ormai da tre ore a colloquio, in pieno pomeriggio, al terzo caffè. La persona è molto informata, conosce dettagli, meccanismi, persone interne alla Santa Sede come pochi.
Perché ha deciso di uscire allo scoperto?
«Per far emergere la verità. E quindi far cessare la gogna mediatica alla ricerca estrema di un colpevole nelle vesti di un corvo (il maggiordomo), di un prete (don Georg), o di un alto funzionario o di un cardinale (Gotti, il cardinale Piacenza o altri). Il ruolo fondamentale della Chiesa è di difendere il valore del Vangelo, non quelli di accumulare potere e denaro. E quello che faccio è fatto in nome di Dio, io non ho paura».

La Repubblica 28.05.12

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“A San Pietro un popolo disorientato” di Federico Geremicca

Ver-go-gna, ver-gogna, ver-go-gna». Le urla cattive si alzano dalla piazza assieme ai palloncini bianchi ai quali è legata la solita foto – foto di trent’anni fa – di Emanuela Orlandi. Il Papa è lassù, in alto, come al solito troppo in alto per poter sentire il coro che si leva, ora che è mezzogiorno. Protesta e gesticola Pietro, il fratello di Emanuela. E protestano e urlano i cittadini arrivati per l’ennesima volta fin qui a chiedere verità e giustizia. E’ vero, ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. Per Papa Ratzinger e la sua cittadella assediata, questa è una di quelle: e al di là delle mura, anzi, cancellerebbero con un amen l’intera settimana, se solo si potesse.
Ci sono giornate che sarebbe meglio non cominciassero mai. E fatti che si vorrebbe scolorissero in fretta. I fatti, solo gli ultimi fatti, sono questi: il presidente del potentissimo Ior rimosso dal suo incarico come un fannullone qualunque, sepolto da accuse infamanti, infedele e sfaccendato; il maggiordomo del Papa spiato, perquisito e arrestato per aver «passato ai media» documenti riservati e personali del Santo Padre: alla stregua di un cancelliere infedele che distribuisca intercettazioni e verbali a questo o a quel cronista.
Guerra tra bande Verrebbe voglia di non crederci: e la voglia riguarda tutti, atei e fedeli. E invece, purtroppo, in questa piazza San Pietro inondata di sole, non solo ci credono, ma ricordano quando la Chiesa si divideva – è vero – ma su ben altro: se sostenere e come Solidarnosc, oppure cosa fare con quei «ribelli» della teologia della liberazione. Oggi, in quelle stesse stanze drappeggiate di scuro, si trama per il controllo di una banca, tutto è ridotto a una guerra per bande bande sante, naturalmente – e si corrompono e utilizzano funzionari infedeli e (pare) senza scrupoli. Come in un film. E proprio come al di là delle mura benedette.
Che è pur sempre una spiegazione, oltre che una inevitabile constatazione. E che magari può aiutare a capire l’incredulità, lo smarrimento e la rabbia – la rabbia anche, certo di un altro popolo che si sente tradito, e che quasi non ci crede. E’ una suggestione che si insinua ascoltando una signora anziana, nonna Luigina, arrivata fin qui da un paesino vicino Como: «E’ che al Papa – dice sicura – lo vogliono fregare come hanno fregato su da noi l’Umberto. Guai a fidarsi dei figli, dei maggiordomi e ascolti me: anche delle mogli le dico… ». Un popolo disorientato, quello di Piazza San Pietro, come disorientato è il «popolo di Pontida», una fede tradita, due fedi tradite, e non capisci ancora né come nè perché.
Senso di vergogna La lotta – presunta – tra il cardinal Bertone e il Papa, come la lotta – accertata – tra il «cerchio magico» e il resto della Lega. E la delusione del popolo di San Pietro un senso di vergogna – che fa tornare in mente lo smarrimento rabbioso del fu popolo berlusconiano, di fronte all’inefficienza e ai bunga bunga, un Paese che tira la cinghia e gli altri che ballano, cantano e si travestono. Può sembrare un paradosso unire così il sacro e il profano: ma le mura sante del Vaticano sembrano non bastar più ad arginare la «crisi parallela» della più antica istituzione del mondo.
«La fede non basta» E’ quel che teme Marco, che ha i capelli scuri, è giusto al centro della piazza e veste una maglietta nera con la scritta «Viareggio Marineria». E’ preoccupato, e guarda con timore un angolo di folla che rumoreggia: «E’ terribile. Se diventiamo come gli altri è finita ed è terribile. La fede da sola non basta, perché non può camminare sulle gambe di gente cattiva e di uomini infedeli». Il Papa, intanto, è lassù e parla. Prima, dentro San Pietro, aveva celebrato la Pentecoste con parole amare: «Sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi… C’è un senso di diffidenza, di sospetto e di timore reciproco che ci fa diventare pericolosi gli uni per gli altri».
E’ quel senso di diffidenza – quella mancanza di orizzonti certi e di fiducia, insomma – che l’Italia laica conosce già. Ora, questa maledetta crisi di credibilità sembra investire – autoinvestire – anche la cittadella circondata da mura sante. Come se la Chiesa fosse un partito e il Papa il suo segretario, ombre tetre si allungano sugli uomini a lui più vicini: che siano leader anch’essi, che siano tecnici arrivati dal mondo dell’economia e delle banche, che siano amici e servitori del cerchio stretto che vigila sul Santo Padre. Non è che ci si debba soprendere chissà quanto, dopo la sconfinata bibliografia (e filmografia) sui misteri, gli scandali ed i segreti del Vaticano: però sia lecito e sia lecito soprattutto al popolo che riempie questa piazza – dirsi sconcertato e ferito dall’idea che corvi neri abbiano preso (ripreso) a volteggiare dentro le mura sante, come fossero un tribunale, una Procura o perfino la sede di un partito.
Il viaggio a Milano Lassù – intanto – il Papa parla, annuncia un viaggio a Milano, saluta i fedeli in più lingue, ringrazia e rende omaggio alle forze di polizia per il loro «compleanno» e perfino alla Federazione di tiro con l’arco. I palloncini con la foto di Emanuela Orlandi gli passano quasi davanti e salgono al cielo, segno di un passato che continua a inseguire un incerto presente. Il fratello Pietro aspettava dal Papa un segno, una parola. Ma il vento impiega un attimo a portar via la foto. E’ mezzogiorno e un quarto, la messa è finita: e chi riesce, allora, vada in pace..

La Stampa 28.05.12