Un’indagine dell’ufficio inglese per gli standard educativi, l’OFSTED, rivela una notevole carenza del sistema educativo inglese per quanto riguarda la matematica. Abbiamo chiesto a Flavia Giannoli, esperta nei processi formativi per la didattica della matematica, di commentare questa notizia proponendoci il suo punto di vista, anche in vista della situazione italiana. Nel mondo Occidentale si assiste a una crisi diffusa dei sistemi scolastici per quanto riguarda l’efficacia dell’insegnamento, e ad una conseguente azione di ripensamento delle strategie organizzative e delle tecniche educative, in special modo nel campo delle scienze e della matematica. Il sistema scolastico inglese non fa eccezione, come riportato dal giornalista Graeme Paton nel suo recente articolo apparso su “The Telegraph”: Ofsted: bright children failed by poor maths lessons (Ofsted: gli studenti brillanti non riescono a causa di lezioni di matematica di livello troppo basso). Il sistema scolastico inglese è differente da quello Italiano sotto molti aspetti. I ragazzi inglesi a 16 anni devono sostenere il GSCE, General Certificate of Secondary Education, per poter passare ai gradi scolastici superiori o entrare nella formazione professionale. Il numero e la scelta delle materie dipendono dalle capacità dello studente. Ciascuna materia è oggetto di un esame a sé, che può essere superato o no, a prescindere dall’esito degli altri esami. Dall’esito dipende la futura collocazione del ragazzo nella società. Le scuole private sono spesso quelle con risultati migliori in uscita e costituiscono centri di eccellenza. L’OFSTED (Office for Standards in Education, Children’s Services and Skills) è un’agenzia del governo che ispeziona e classifica le scuole ed i corsi di formazione degli insegnanti. Non ispeziona le scuole private, se non su loro richiesta (che tuttavia moltissime fanno). È stato definito in un recente discorso del chairman delle scuole private come “the government Rottweiler” .
Graeme Paton nel suo articolo sottolinea l’interpretazione dei risultati dell’OSFED dal punto di vista di un approccio conservatore all’apprendimento, quindi non sorprende che molto di ciò che espone riporti al “ritorno alle cose di base”, già ripetuto dal primo ministro John Major fin dal 1992. A complemento è interessante citare anche l’articolo ”Ofsted warns over early entry to maths GCSE” di Hannah Richardson (per la BBC), che riporta come in Inghilterra la matematica sia considerata “ingombrante” e difficile da apprendere: prima si affronta e si supera l’esame e meglio è! inoltre si tende sempre un po’ al ribasso nelle richieste per far risultare buoni o anche ottimi i risultati in matematica in più di metà delle scuole. Questo provoca un impoverimento della presenza di competenze matematiche elevate fra gli alunni inglesi (ed il conseguente recente declassamento nelle classifiche internazionali) nonché l’effetto che pochi cittadini risultano matematicamente competenti. In Inghilterra è socialmente accettabile ammettere che non si sia mai capita la matematica.
Una cosa molto importante da osservare è che gli studenti inglesi, anche se proseguono gli studi fino alla laurea, possono interrompere lo studio della matematica già a 16 anni. Anche gli insegnanti inglesi sono spesso poco qualificati in matematica: nelle scuole primarie la qualificazione GSCE minima che un maestro deve avere per insegnare è “C“ e per accedere al tirocinio formativo per le scuole superiori il candidato deve avere una laurea “con una parte considerevole di matematica” (cosa che viene interpretata in modo molto vario a seconda dei casi), ma ben pochi sono i laureati in matematica.
Entrambi gli articoli evidenziano come sia necessario ed urgente migliorare l’apprendimento della matematica. Per migliorare in fretta il livello dell’insegnamento le proposte sono:
1. Migliorare la formazione degli insegnanti ed Incoraggiare chi vuole diventate professore di matematica, anche con borse di studio
2. Incoraggiare gli studenti più capaci con programmi appositi: i “gifted and talented schemes”
3. Non permettere che si possa abbandonare lo studio della matematica a 16 anni.
Commenta una docente universitaria che lavora in Inghilterra sulla didattica della Matematica: “Si fanno raccomandazioni, il governo commissiona e pubblicizza report e consigli, ma pochi ascoltano, ed è di fatto consentito l’abbandono dello studio della matematica a 16 anni . Il problema non è veramente attaccato dalla radice.”
Da parte loro gli insegnanti inglesi lamentano l’eccessiva pressione delle valutazioni OFSTED, spesso imprevedibili e frustranti (da noi, più modestamente, si chiamano INVALSI), e osservano come il processo di apprendimento della matematica necessiti di tempi lunghi e soffra dell’urgenza di aumentare i livelli con troppa fretta. Eppure l’urgenza c’è, e non solo in Gran Bretagna. I livelli di competenze richiesti sono sempre più semplificati e ridotti anche in Italia, dove si cerca così di riparare ad un sistema di istruzione che soffre di mali strutturali accumulatisi in decenni di decisioni ministeriali dettate più dall’opportunità e convenienza del momento, che da che da un vero e sistematico impegno che ponga al primo posto il miglioramento del processo di insegnamento- apprendimento.
Un punto a favore del sistema di istruzione inglese è che in Gran Bretagna l’eccellenza è curata, ma solo se la famiglia ha le adeguate risorse finanziarie, e le Università inglesi riescono a produrre ancora persone di livello eccellente. Tuttavia la maggioranza dei cittadini risulta poco formata e la loro cultura risulta spesso frammentaria a causa della possibilità, da parte dello studente, di scegliere le materie di studio: oltre a interrompere lo studio di Matematica, molti lasciano la Storia o altre discipline profondamente formative.
In Italia avviene l’opposto: la scuola pubblica pensa molto al recupero, ma pochissimo all’eccellenza. Da noi la validità della formazione ricevuta è spesso anche questione di fortuna e di buona volontà degli insegnanti che si sono incontrati, dalle elementari all’Università. Di contro il livello d’istruzione medio è più uniforme e complessivo. Sta di fatto comunque che in tutti i Paesi occidentali, anche oltreoceano, c’è una tendenza diffusa al rifiuto delle cose impegnative, che vengono spesso accantonate a favore di ciò che risulta più semplice e immediato da ottenere. Si ritrova un po’ ovunque un sentimento generale di rifiuto della matematica, che passa anche dalle famiglie, neanche ci fosse un misterioso gene che ne impedisca l’apprendimento!
Forse il punto è però un altro. La società sta cambiando rapidamente ed è diventata una società frenetica, del “tutto” e “subito”, del “qui” ed “ora” e cambiano quindi anche le modalità di apprendimento. Non è detto che ciò sia per forza un male, chi ha tempo non aspetti tempo, ma bisognerebbe saperlo interpretare. La scuola dovrebbe quindi essere capace di adeguarsi alle nuove necessità educative, integrarsi con le nuove forme di comunicazione del sapere e trasmissione dell’informazione. Gli studenti del 2012 ragionano infatti su di un’altra lunghezza d’onda. Sono da privilegiare il “learning by doing” (imparare facendo), la didattica laboratoriale e l’apprendimento collaborativo: mai come oggi è stato importante l’aspetto relazionale e sociale dell’apprendimento. Inoltre le forme di apprendimento sono diverse e si dilatano nello spazio e nel tempo grazie alla possibilità offerte dalla Rete di collegarsi alle fonti di informazione e comunicare con le persone. L’apprendere “a tempo”, fra una campanella e l’altra, può interrompere in maniera brutale il flusso delle attività di apprendimento e l’essere chiusi dentro le quattro mura di un’aula, con il solo ausilio di testi cartacei predefiniti non facilita il potenziamento delle proprie modalità operative, né tantomeno l’allargamento degli orizzonti personali.
Occorre tener presente che i messaggi si trasmettono oggi in modalità molto diverse e che nel sistema educativo non si tengono nel dovuto conto i seguenti punti di attenzione (NMC – Horizon Report 2012):
* Le nuove forme di pubblicazione e ricerca in rete non sono ancora ben acquisite e considerate da chi prende le decisioni per il sistema educativo
* L’alfabetizzazione informatica non è adottata come norma nel sistema educativo,
* Le sperimentazioni con le tecnologie innovative sono spesso estranee all’attività di ricerca ufficiale.
Non si può pensare che il concetto matematico si possa formare nella mente dei cosiddetti “nativi digitali” come si è formato nella mente di chi è nato diversi decenni fa. L’immagine, il movimento e la tecnologia fanno parte del modo solito di interfacciarsi con la realtà, la velocità e l’immediatezza di accesso alle fonti di informazione rendono l’apprendimento più simile a “flash” di conoscenza destrutturata ed atomizzata, che occorre saper organizzare e ricostruire in maniera mirata.
Apprendere la matematica a scuola può diventare un’avventura interessante e piena di scoperte: l’utilizzo di applet e software interattivi possono favorire l’approfondimento dei concetti e le le ricerche su web possono rendere più divertente la ricerca delle informazioni, sostituendo le pagine cartacee di studio sequenziale. Gli strumenti interattivi per il lavoro collaborativo (documenti condivisi, mappe mentali, wiki … ) permettono di condividere l’apprendimento e renderlo anche un fatto sociale e condiviso. Certo, con queste modalità, il processo di apprendimento è a rischio di dispersione e mancanza di sistematicità. La figura dell’insegnante non può più quindi fermarsi a quella di esperto disciplinare (quando anche questa competenza sia conseguita, cosa non sempre vera neanche in Italia), ma deve anche essere esperto dei mezzi tecnologici necessari , nonché capace di gestire comunità di apprendimento (la “classe” sta cambiando). Una bella sfida, non certo alla portata di tutti. Il mestiere di insegnante non si improvvisa: anche in Italia dovrebbe essere richiesta una formazione più strutturata e mirata. Insegnare matematica in modo coinvolgente e significativo deve iniziare dal vissuto moderno dei ragazzi e dar loro fiducia e responsabilità. Basta con le lezioni esclusivamente frontali, nelle quali il solo fatto di esporre concetti dovrebbe renderli comprensibili. La matematica non si “racconta”, si fa.
l’Unità 27.05.12