La prima direzione dem dopo i ballottaggi. Si terrà martedì prossimo, ma il segretario non vuole presentarsi semplicemente col bottino, sia pure positivo, dei risultati elettorali che hanno confermato il Pd non solo primo partito, ma di fatto l’unico su piazza. La crisi economica incalza, il dramma greco è in pieno svolgimento, le giravolte berlusconiane rischiano di rimettere in discussione anche l’accordo sulla riforma elettorale: il segretario vuole rivolgersi al paese, a quella vasta area di «progressisti, riformatori e moderati» decisa a voltare pagina definitivamente rispetto al berlusconismo senza cadere nei nuovi populismi.
Bersani sa che questo non è il momento di stare fermi, tra le diverse e confuse proposte politiche e discese in campo annunciate. Sa anche, però, che troppe sono le incognite dei prossimi mesi. Allora, vuole intanto mettere un punto fermo, parlare a chi già è nel perimetro di un’alleanza progressista, ma anche aprire le porte, oltre la foto di Vasto. Che quella foto sia tornata attuale è evidente e forse inevitabile: nella stragrande maggioranza dei comuni dove il Pd ha vinto era alleato con Sel e Idv. Il segretario, però, vuole sfuggire alla trappola di un confine scontato e per di più delineato anzitempo, con Di Pietro e Vendola che lo incalzano dal giorno stesso dei risultati elettorali e che per oggi hanno annunciato un «appello pubblico» perché Bersani «esca dall’attendismo e si assuma le responsabsilità che gli competono».
Pensa a un Pd largo e accogliente, il segretario, capace di diventare un polo attrattivo per pezzi di mondo accademico e della cultura. Zagrebelsky e Saviano? «Possono trovare nel Pd la loro casa» ha detto ieri Matteo Orfini, uno dei quarantenni della segreteria, e Bersani la pensa nello stesso modo. Dunque, il segretario vuole offrire un orizzonte e additarlo non tanto e non solo ai partiti, quanto a un elettorato confuso e disperso, spesso gravemente deluso.
Una scommessa che passa anche attraverso l’approvazione delle riforme istituzionali e anticorruzione all’esame del parlamento. Ma anche attraverso la riforma elettorale, che Bersani porrà al primo posto dei cambiamenti da fare subito, in qualche settimana. E su questo punto il sospetto che l’ultima uscita di Silvio Berlusconi e del maggiordomo Alfano serva, alla fine, a conservare il Porcellum è fortissimo e Bersani l’ha esplicitato. «Non riteniamo un tabù, una bestemmia discutere di semipresidenzialismo – ha detto a margine di un convegno del Pd sulla scuola “digitalizzata” – purché non sia un pretesto per non fare niente di niente, compresa la riforma elettorale. Per affrontare credibilmente un discorso del genere non ci sono i tempi». Dello stesso avviso Rosy Bindi: «Un diversivo. Da settimane Berlusconi promette una svolta per far uscire il Pdl dall’empasse in cui si dibatte. Oggi abbiamo capito che è davvero a corto di idee, per il suo partito e per l’Italia».
da Europa Quotidiano 26.05.12