Quello di oggi è un anniversario speciale, e non solo perché sono trascorsi vent’anni e il lungo tempo che ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio ci consente bilanci e riflessioni di fondo sulla lotta contro la mafia, sull’impegno per la legalità e per la sicurezza. Quello di oggi è un anniversario speciale anche perché gli orribili fatti della vigilia, la barbara sanguinosa aggressione alle ragazze della scuola di Brindisi, e ancor più tutto quello che sta accadendo in Italia, la situazione generale del nostro Paese, rendono importante, anzi prezioso, il richiamo all’esperienza di quel tragico maggio-luglio 1992, di quel drammatico biennio 1992-93; rendono prezioso il richiamo all’insegnamento e all’esempio di Giovanni Falcone.
La mafia, Cosa Nostra e le altre espressioni della criminalità organizzata rimangono ancora un problema grave della società italiana, e dunque della democrazia italiana. Dobbiamo perciò, noi tutti, proseguire con la più grande determinazione e tenacia sulla strada segnata con il loro sacrificio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino vent’anni fa. Se le stragi in cui essi caddero massacrati insieme a uomini e donne delle loro scorte segnarono il culmine dell’attacco frontale allo Stato, ai suoi rappresentanti più temibili nello scontro diretto e quotidiano con il crimine organizzato, e se gli attentati della primavera del 1993, e il loro torbido sfondo, si esaurirono in se stessi, la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose.
Da allora le diverse organizzazioni criminali – tra le quali in particolare la ‘ndrangheta, e in forme violente e spietate – hanno coltivato vecchi e nuovi traffici profittevoli e invasivi, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, anche attraverso pesanti condizionamenti della vita politico-istituzionale. E oggi – nel quadro della crisi generale che l’economia italiana ed europea sta attraversando, con pesanti riflessi negativi anche sulla condizione finanziaria e sulla capacità d’azione dello Stato – la compenetrazione tra la criminalità e l’attività economica è divenuta un nodo di estrema rilevanza per il Mezzogiorno. Un nodo soffocante per ogni possibilità di sviluppo in queste regioni: in cui la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali, e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare, «nero», in un contesto di disoccupazione crescente e disperata. (…) La lotta contro mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre consociazioni criminali, è dunque più che mai una priorità per tutto il Paese.
Già Falcone e Borsellino avevano chiarissima la visione della pericolosità del dispiegarsi della mafia sul versante della penetrazione nella vita economica e nei più sofisticati circuiti finanziari e non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del Nord e in più vaste reti internazionali. E una pericolosità crescente ha via via acquistato in questo senso la ‘ndrangheta calabrese. Ecco i nuovi fronti dell’impegno a combattere, colpire, debellare la criminalità organizzata.
Che questa possa oggi anche tentare feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico, non possiamo escluderlo. Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione. Ma una cosa è certa: questi nemici del consorzio civile e di ogni regola di semplice umanità, avranno la risposta che si meritano. Se hanno osato stroncare la vita di Melissa e minacciare quella di altre sedicenni aperte alla speranza e al futuro, se lo hanno poi fatto a Brindisi, in quella scuola, per offendere la memoria di una donna coraggiosa, di una martire come Francesca Morvillo Falcone, la pagheranno, saranno assicurati alla giustizia. E se hanno pensato di sfidare questa stessa commemorazione, oggi a Palermo, di Giovanni Falcone, delle vittime della strage di Capaci a vent’anni di distanza, stanno già avendo la vibrante prova di aver miseramente fallito. (…)
E venendo ai più vicini giorni di dolore e di sgomento che abbiamo vissuto, lasciate che lo dica anch’io come lo ha detto il presidente del Consiglio: che cosa magnifica sono state le reazioni, le risposte alla viltà criminale di Brindisi, venute dai giovani e dal popolo di quella città e subito, di slancio, di tante altre città italiane. La Repubblica, le sue istituzioni, ne sono fiere: sono fiere innanzitutto di voi ragazze e ragazzi di Brindisi. (…)
Facciamo affidamento sulle forze dello Stato, sulle migliori energie della società civile, sulle nuove generazioni. Vedete, incontro in molte occasioni ragazze e ragazzi più o meno dell’età di Melissa, di Veronica e delle loro compagne, di tante e tanti di voi presenti in quest’aula, e colgo, in questa generazione, una carica di sensibilità, di intelligenza, di generosità che molto mi conforta, che mi dà grande speranza e fiducia. E perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile, e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società, nel segno della legalità e della trasparenza. L’Italia ne ha bisogno; l’Italia ve ne sarà grata.
*Pubblichiamo un estratto dell’Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Cerimonia di commemorazione del Giudice Giovanni Falcone
GIORGIO NAPOLITANO*
Quello di oggi è un anniversario speciale, e non solo perché sono trascorsi vent’anni e il lungo tempo che ci separa dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio ci consente bilanci e riflessioni di fondo sulla lotta contro la mafia, sull’impegno per la legalità e per la sicurezza.
Quello di oggi è un anniversario speciale anche perché gli orribili fatti della vigilia, la barbara sanguinosa aggressione alle ragazze della scuola di Brindisi, e ancor più tutto quello che sta accadendo in Italia, la situazione generale del nostro Paese, rendono importante, anzi prezioso, il richiamo all’esperienza di quel tragico maggio-luglio 1992, di quel drammatico biennio 1992-93; rendono prezioso il richiamo all’insegnamento e all’esempio di Giovanni Falcone.
La mafia, Cosa Nostra e le altre espressioni della criminalità organizzata rimangono ancora un problema grave della società italiana, e dunque della democrazia italiana. Dobbiamo perciò, noi tutti, proseguire con la più grande determinazione e tenacia sulla strada segnata con il loro sacrificio da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino vent’anni fa. Se le stragi in cui essi caddero massacrati insieme a uomini e donne delle loro scorte segnarono il culmine dell’attacco frontale allo Stato, ai suoi rappresentanti più temibili nello scontro diretto e quotidiano con il crimine organizzato, e se gli attentati della primavera del 1993, e il loro torbido sfondo, si esaurirono in se stessi, la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose.
Da allora le diverse organizzazioni criminali – tra le quali in particolare la ‘ndrangheta, e in forme violente e spietate – hanno coltivato vecchi e nuovi traffici profittevoli e invasivi, conservando e acquisendo posizioni di potere soprattutto sul terreno economico, anche attraverso pesanti condizionamenti della vita politico-istituzionale. E oggi – nel quadro della crisi generale che l’economia italiana ed europea sta attraversando, con pesanti riflessi negativi anche sulla condizione finanziaria e sulla capacità d’azione dello Stato – la compenetrazione tra la criminalità e l’attività economica è divenuta un nodo di estrema rilevanza per il Mezzogiorno. Un nodo soffocante per ogni possibilità di sviluppo in queste regioni: in cui la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali, e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare, «nero», in un contesto di disoccupazione crescente e disperata. (…) La lotta contro mafia, ‘ndrangheta, camorra e altre consociazioni criminali, è dunque più che mai una priorità per tutto il Paese.
Già Falcone e Borsellino avevano chiarissima la visione della pericolosità del dispiegarsi della mafia sul versante della penetrazione nella vita economica e nei più sofisticati circuiti finanziari e non solo nel Mezzogiorno ma anche nelle regioni del Nord e in più vaste reti internazionali. E una pericolosità crescente ha via via acquistato in questo senso la ‘ndrangheta calabrese. Ecco i nuovi fronti dell’impegno a combattere, colpire, debellare la criminalità organizzata.
Che questa possa oggi anche tentare feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico, non possiamo escluderlo. Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione. Ma una cosa è certa: questi nemici del consorzio civile e di ogni regola di semplice umanità, avranno la risposta che si meritano. Se hanno osato stroncare la vita di Melissa e minacciare quella di altre sedicenni aperte alla speranza e al futuro, se lo hanno poi fatto a Brindisi, in quella scuola, per offendere la memoria di una donna coraggiosa, di una martire come Francesca Morvillo Falcone, la pagheranno, saranno assicurati alla giustizia. E se hanno pensato di sfidare questa stessa commemorazione, oggi a Palermo, di Giovanni Falcone, delle vittime della strage di Capaci a vent’anni di distanza, stanno già avendo la vibrante prova di aver miseramente fallito. (…)
E venendo ai più vicini giorni di dolore e di sgomento che abbiamo vissuto, lasciate che lo dica anch’io come lo ha detto il presidente del Consiglio: che cosa magnifica sono state le reazioni, le risposte alla viltà criminale di Brindisi, venute dai giovani e dal popolo di quella città e subito, di slancio, di tante altre città italiane. La Repubblica, le sue istituzioni, ne sono fiere: sono fiere innanzitutto di voi ragazze e ragazzi di Brindisi. (…)
Facciamo affidamento sulle forze dello Stato, sulle migliori energie della società civile, sulle nuove generazioni. Vedete, incontro in molte occasioni ragazze e ragazzi più o meno dell’età di Melissa, di Veronica e delle loro compagne, di tante e tanti di voi presenti in quest’aula, e colgo, in questa generazione, una carica di sensibilità, di intelligenza, di generosità che molto mi conforta, che mi dà grande speranza e fiducia. E perciò voglio dirvi: completate con impegno la vostra formazione, portate avanti il vostro apprendistato civile, e scendete al più presto in campo, aprendo porte e finestre se vi si vuole tenere fuori, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società, nel segno della legalità e della trasparenza. L’Italia ne ha bisogno; l’Italia ve ne sarà grata.
*Pubblichiamo un estratto dell’Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Cerimonia di commemorazione del Giudice Giovanni Falcone
La Stampa 24.05.12
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“Il calore di questi giovani è stato il più bel regalo alla memoria di Giovanni”, di Alessandra Ziniti
Quella del Capo dello Stato è una chiamata alle armi: dobbiamo scendere in campo per difendere la democrazia.
Il Presidente ha ragione: Palermo ha fatto un salto di qualità. Oggi siamo tutti molto più forti rispetto al ‘92. Le lacrime del Presidente hanno commosso anche lei. «Quella del capo dello Stato è una chiamata alle armi, in senso metaforico naturalmente, una chiamata a tutti noi, a tutti gli italiani perché scendano in campo a tutti i livelli per difendere il nostro paese, per difendere la democrazia». Alle tre e mezza del pomeriggio, ancora negli occhi l´emozione per la mattinata nell´aula bunker dell´Ucciardone, Maria Falcone si prepara al corteo del pomeriggio, all´appuntamento delle 17.58 sotto l´albero di via Notarbartolo, che da vent´anni i palermitani hanno scelto come tazebao per dimostrare al magistrato ucciso a Capaci insieme alla moglie e agli uomini della scorta quell´affetto e quella solidarietà che non ebbe in vita.
Signora Falcone, il presidente ha esortato i giovani a scendere in campo ma non ha nascosto la sua preoccupazione per un possibile ritorno agli anni bui dello stragismo.
«Non si può mai escludere nulla, la storia ci ha insegnato che lo stragismo nasce nei periodi di difficoltà e questo certamente per Palermo, per la Sicilia, per il Paese tutto è un momento di grande crisi, economica, sociale, politica. Oggi, alle date del 23 maggio e del 19 luglio 1992 purtroppo si è aggiunto il 19 maggio 2012 con il vile attentato di Brindisi. L´Italia è stanca di piangere, non si possono mostrare segni di debolezza, bisogna identificare subito i colpevoli. È vero, il Presidente non ha nascosto la sua preoccupazione per un possibile ritorno del periodo stragista, ma vorrei mettere in risalto un altro passaggio del suo discorso, quando ha detto che Palermo, la Sicilia non sono sempre le stesse, sono cambiate».
Un pensiero che evidentemente lei condivide a differenza di quanti continuano ad esprimere pensieri critici nei confronti della città.
«È sotto gli occhi di tutti che Palermo ha fatto un gran salto di qualità, bastava vedere cosa c´era oggi nell´aula bunker. Una folla così, una partecipazione così numerosa ma soprattutto così emotivamente apprezzabile da chiunque io non l´avevo mai vista. Sì, forse il giorno dei funerali, ma quello era un altro momento, la città, il Paese intero era indignato, impaurito, sconvolto. È verissimo quello che dice Napolitano: oggi siamo molto più forti del 92, la società italiana ha fatto tesoro dell´esperienza. Oggi, dopo vent´anni, sentire attorno a noi questo calore, questa partecipazione, questa attenzione è la dimostrazione del cambiamento, è il più bel regalo che si poteva fare a Giovanni, Francesca e Paolo anche se la società civile nella consapevolezza della legalità è più avanti della politica che ancora non ha fatto piazza pulita».
Napolitano si è commosso due volte proprio quando si rivolgeva in modo particolare ai giovani che aveva davanti. Che sensazione ha provato?
«È stato entusiasmante e sono infinitamente grata al Presidente. Quello che ha dimostrato non nascondendo la sua commozione è il sentimento di chi vede, di chi vuole una società giovane a difesa della nostra democrazia, di quella democrazia per la quale si sono sacrificati Giovanni e Paolo. E per chi, come noi, da anni e anni lavora instancabilmente con i giovani, con i bambini, nelle scuole, questo è un grande riconoscimento».
La Repubblica 24.05.12
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“Un faro sui pericoli in agguato”, di FRANCESCO LA LICATA
Dobbiamo essere grati al Capo dello Stato per avere, col suo generoso intervento nell’aula bunker di Palermo, riportato il tema della lotta alle mafie al centro dell’attenzione politica e istituzionale. Senza se e senza ma, di fronte a tanti familiari delle vittime del passato e alle giovani compagne di Melissa, ultima vita sacrificata alla follia terroristica, Napolitano ha detto a chiare lettere che la violenza mafiosa è un pericolo e un attacco alla democrazia. E’ ancora un pericolo mortale, nel senso che non è venuto meno tutto il suo potenziale distruttivo e di penetrazione nel consesso civile. Proprio nel ricordo dei nostri eroi Falcone, Borsellino, La Torre, Dalla Chiesa e di tutti i caduti, allora, bisognerà tenere alta la guardia e impegnarsi nel «garantire stabilità di governo e mettere in cantiere processi di riforma» senza farsi deviare da «attacchi criminali, fenomeni di violenza e comportamenti destabilizzanti di qualsiasi matrice». «Non ci facemmo intimidire – ha assicurato Napolitano – non lasciammo seminare paura e terrore né nel ’92 né in altre dure stagioni e sconvolgenti emergenze. Tantomeno cederemo ora».
Non è stata una semplice commemorazione, quella del Capo dello Stato. Certo, il ricordo di Falcone e Borsellino, il giusto tributo a due grandi italiani sono stati il motore di un discorso che, però, è andato ben al di là dell’esercizio di retorica. Le parole di Giorgio Napolitano hanno messo in evidenza tutta la reale preoccupazione per un momento generale ad altissimo rischio di tenuta istituzionale, ma anche la grande determinazione nel mettere in campo le forze e i rimedi migliori per arginare il pericolo.
Le apprensioni del Capo dello Stato sembrano rivolte principalmente all’attuale fragilità del sistema politico, economico e finanziario, vista come potenziale cavallo di Troia per un possibile attacco mafioso. In questo senso è esplicito il riferimento al 1992 e «agli attentati della primavera del 1993 e il loro torbido sfondo». Aggressione che si esaurì, seppure «la mafia seppe darsi altre strategie, meno clamorose ma non meno insidiose». Anche di queste parole dirette, bisogna esser grati al Capo dello Stato, perché – senza cedimenti al politichese consolatorio – parte dall’esperienza trascorsa per accendere una luce sui pericoli in agguato. Specialmente laddove chiarisce che «la crisi favorisce l’azione predatoria dei clan criminali e questi tendono a porsi come procacciatori di occasioni di lavoro, sia pure irregolare».
Insomma è la debolezza economica che impensierisce più di tutto il Capo dello Stato, fino a temere pericolose irruzioni anche «nei più sofisticati circuiti finanziari». Lo impensierisce tanto da fargli temere persino «feroci ritorni alla violenza di stampo stragista e terroristico». Riferimento chiaro all’attentato alla scuola: «Un sollecito e serio svolgimento delle indagini sull’oscura, feroce azione criminale di Brindisi potrà fornirci elementi concreti di valutazione».
Ma non c’è rassegnazione nel discorso di Napolitano, anzi. Proprio il sangue degli eroi darà la forza di reagire e battere ancora il malaffare, anche con la fierezza di quei ragazzi presenti nell’aula bunker con gli occhi pieni di lacrime, ma fedeli all’eredità di Falcone e Borsellino.
Il Capo dello Stato ha indicato la strada da seguire: la ricerca onesta della verità, anche quella scomoda. Non v’è altro metodo per «dipanare le ipotesi più gravi e delicate di impropri o perversi rapporti tra rappresentanti dello Stato ed esponenti mafiosi». Ma procedere «con profonda sicurezza» non vuol dire «nasconderci la gravità degli errori che in sede giudiziaria possono compiersi, come ne sono stati compiuti nei procedimenti relativi alla strage di via D’Amelio». Non ha voluto tralasciare proprio nulla, il Presidente. A conferma della grande attenzione riposta nell’attuale momento della vita del Paese. Un grande conforto, un immenso sostegno a quanti non hanno abbassato la guardia e continuano a combattere una battaglia sul fronte dell’affermazione della legalità, anche tra gli scetticismi e le critiche di superficiali, frettolose e interessate autoassoluzioni.
La Stampa 24.05.12